Rio 2016: devastante Juan Martin del Potro! Djokovic si arrende in due tiebreak

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Rio 2016: devastante Juan Martin del Potro! Djokovic si arrende in due tiebreak

Del Potro schianta Djokovic nel primo turno delle Olimpiadi. L’argentino non concede nessuna palla break nel match ed elimina il n.1 del mondo dopo una prestazione memorabile. Punteggio finale 7-6 7-6

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J.M. del Potro b. [1] N. Djokovic 7-6(4) 7-6(2)

Stat Djokovic Delpo

Novak Djokovic cade nel giorno della resurrezione di Palito. L’abbraccio che sancisce la fine della contesa è intenso e sincero, ma non cancella dagli occhi del dominatore di quest’era tennistica lo smarrimento provato nel corso di una partita passata a rincorrere, senza che un reale appiglio per risalire gli venisse mai offerto. Dopo il fracasso di Wimbledon, Djokovic perde anche la possibilità di inseguire l’agognato Career Golden Slam, e chissà se avrà l’occasione di riprovarci. L’Olimpiade, ci hanno insegnato, assume sfumature e significati diversi per ogni atleta e Novak, orgoglioso come pochi quando di mezzo c’è la madrepatria, sembrava aver attribuito all’obiettivo un valore nient’affatto trascurabile, altro che turismo tennistico. Il match di primo turno proposto al serbo pareva fatto apposta per rendere magico l’inizio della sua avventura brasiliana, in ogni caso. Dall’altra parte del net, imponente ma tenero nella cornice di malinconia sudamericana che da sempre ne contiene i tratti del viso, Juan Martin del Potro. Come già altre quattordici volte. Come quattro anni fa a Londra. L’ultima volta che Olimpia aveva assistito a un torneo di tennis, nell’estate del 2012 a Church Road, Nole e Palito si erano fronteggiati nella finale di consolazione e l’argentino aveva colto uno dei tre successi in carriera negli scontri diretti, conquistando un terzo posto che resta prima di tutto un simbolo; la trasposizione iconografica sul bronzo di un mito. Roger Federer aveva costretto delPo a giocarsi il gradino basso del podio, battendolo in una semifinale leggendaria chiusasi in favore dello svizzero sul 19 a 17 nel parziale decisivo dopo quattro ore e ventisei minuti di epica lotta, record di durata per un incontro al meglio dei tre set nell’era Open. Juan Martin era riuscito a onorare la storia lasciando a Nole il sapore amaro della medaglia di legno, e si era così seduto un’ultima volta alla stessa tavola dei grandissimi. Poi il polso, stramaledetto, e un calvario infinito; due anni e mezzo passati in poltrona a guardare i Simpson o in ospedale in cerca di uno spiraglio medico. In febbraio, a Delray Beach, l’atteso ritorno di un giocatore diverso, con un rovescio quasi mai spinto e un back non disprezzabile ma meramente difensivo, e la difesa non è stata né mai sarà il cavallo di battaglia del vincitore dello Us Open 2009.

Bisogna dire che l’argentino è bersagliato dalle forme di sfortuna più variegate. Stamane è rimasto bloccato in un ascensore del villaggio olimpico per quaranta minuti, tratto in salvo rocambolescamente dalla seleccion albiceleste di pallamano: non esattamente il miglior viatico per affrontare il favorito del torneo. Eppure del Potro, almeno per una sera, torna ad essere parente prossimo del devastante giocatore che ardiva mettere in discussione il regno dei cosiddetti Fab Four. Certo, sul lato sinistro soffre, contiene, si arrabatta. Si arrabatta bene però, lungo, non dà modo al serbo di aggredirlo facilmente. E il dritto beh, il dritto. Quello sarà lo stesso anche tra trent’anni, probabilmente. La torre di Tandil inoltre serve alla grande, e per l’intero primo set soggioga di forza e spirito un numero uno a disagio e decisamente svagato. Le uniche palle break sono argentine, tre nel lunghissimo primo gioco dell’incontro e una nel nono. Nole si aggrappa con le unghie ma non riesce a far scoccare la scintilla della tensione e offre la peggior versione di sé in risposta che si ricordi negli ultimi tempi: nell’intera prima frazione, udite udite, il più grande ribattitore del globo guadagna il 30 sul servizio avverso una sola volta. Il tie break infine raggiunto è grasso che cola, ma per il fenomeno di Belgrado non sembra giornata. Distratto, falloso come raramente si ha la ventura di ammirarlo ed emotivamente spento, Djokovic cede ben tre punti in battuta, mentre delPo raccoglie i frutti della grande pressione con uno strepitoso dritto lungo linea che gli regala il primo parziale.

Nella seconda frazione nulla sembra cambiare. “Martino” è lucido ed entusiasta, mentre Nole, cogitabondo, continua a non trovare la chiave per scalfire le rinnovate certezze dell’avversario. Nel secondo gioco Djokovic passa un altro momento di terrore quando si trova costretto ad annullare due spaventose palle break, ma il pericolo scampato non basta a destarlo. Del Potro spinge come un ossesso, è in piena trance agonistica; i suoi turni in battuta scorrono veloci e lineari, mentre Djoker deve salvare una palla break che lo porterebbe a meno di un passo dalla sconfitta nel sesto gioco. Stavolta si aggrappa a un ace, e insieme ad esso compaiono i primi segnali di auto incitamento. Ma i pugnetti, sfortunatamente, non servono a dissimulare lo sguardo smarrito del serbo, che nel delirio generale va a servire nel decimo gioco per salvare capra e cavoli. L’argentino per tre volte si trova a due punti dalla vittoria, ma due risposte lunghe e una spericolata discesa a rete di Nole gli impediscono di arrivare a giocarsi il match point. È dunque ancora il tie break a decidere, ma stavolta non c’è storia. Djokovic, smarrita ogni stilla di lucidità, si incaponisce nell’attaccare sul lato destro e Delpo, che ormai sente l’odore del sangue, sgancia una serie di siluri da brividi per avvicinare il clamoroso successo, che in effetti arriva poco dopo grazie all’ennesimo drittone.

La forza equilibratrice del mondo ogni tanto emerge in tutta la sua straordinaria potenza, e la ruota gira. Del Potro vince un match splendido, in cui ha sferrato 29 vincenti con il grandioso dritto, uno dei colpi definitivi degli ultimi quindici anni di tennis, senza offrire una sola palla break al detentore della miglior risposta in circolazione. Il prossimo ostacolo sulla strada della rinascita si chiama Joao Sousa, ma a Palito il nome dell’avversario interessa poco. Non c’è un rivale peggiore di un altro, quando si è visto così da vicino l’incubo della fine.

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