Rio 2016: bene l'impianto, così così le strutture, male la superficie

Olimpiadi

Rio 2016: bene l’impianto, così così le strutture, male la superficie

La superficie troppo lenta ha un po’ rovinato la buona impressione che ha lasciato il nuovo Olympic Tennis Center di Barra da Tijuca. Spartane ma nel complesso adeguate le strutture accessorie, anche se i protocolli del CIO rendono complicate le interviste post-match

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Con il torneo olimpico ormai giunto alle fasi conclusive, è arrivato il momento dei bilanci di questa avventura olimpica n.8 dell’era moderna, ovvero da quando il tennis è stato reintrodotto a tutti gli effetti nel novero delle discipline a cinque cerchi a Seul nel 1988. Ma se per un bilancio tecnico è doveroso attendere l’assegnazione di tutte le medaglie per avere un quadro completo, possiamo invece fare un resoconto piuttosto dettagliato della manifestazione dal punto di vista organizzativo.

Il confronto con la magia dell’All England Club che aveva ospitato l’edizione 2012 del torneo olimpico era ovviamente impossibile da sostenere, e sarebbe ingiusto confrontare il neonato Olympic Tennis Center di Barra da Tijuca con l’ultracentenario All England Club che ogni anno riceve investimenti economici di milioni di sterline per rimodernare le sue strutture. Tuttavia si può dire che, nonostante alcune magagne, l’impianto carioca meriti una sufficienza piena, e forse ci potrebbe stare anche qualcosa di più se non fosse per la superficie eccessivamente lenta. Se ne sono accorti subito i giocatori che hanno unanimemente bollato il cemento di Rio come “lentissimo”. Oltre al cemento, sono state soprattutto le palle ad essere accusate di eccessiva lentezza: “Dovrebbero essere le Wilson che vengono usate agli Australian Open – ci ha detto Andreas Seppi – ma qui sembrano qualcosa di totalmente diverso”. Probabilmente si tratta di un effetto collaterale della superficie, talmente ruvida da distruggere il feltro delle palline in pochi giochi e rendere le sferette gialle grosse come “gatti arrotolati”, che fanno attrito con l’aria e non consentono ai colpi di filare via. Ci è capitato per sbaglio di finire in campo, dietro ai raccattapalle, durante la partita tra del Potro e Daniel, e ci è capitato di vedere le palline dopo soli tre game di utilizzo: già quasi distrutte. Capita un po’ la stessa cosa ad Indian Wells, dove i campi sono molto ruvidi ed usurano le palline molto rapidamente, ma come ci ha detto l’olandese Bertens “sono molto più lenti di Indian Wells, decisamente”.

Superficie a parte, l’impianto è piuttosto funzionale, il centrale è accogliente con una visuale ottima da tutte le posizioni (siamo stati spesso in ultima fila), e siamo convinti che sarà un’ottima legacy per la città di Rio dopo le Olimpiadi, e potrebbe essere una sede perfettamente adeguata per un torneo del circuito.
Per quel che riguarda i servizi accessori, come capita spesso in eventi di questo tipo, era tutto “provvisorio”: i bagni erano temporanei, la sala stampa era in un tendone ad un lato del campo centrale, mentre l’unica ‘infrastruttura’ permanente era la sala delle conferenze stampa, ospitata nella pancia del campo centrale. Anche se, in pieno rispetto del protocollo olimpico, quella sala è stata usata solo per alcune conferenze stampa pre-torneo delle superstar ed in occasione delle finali. Tutte le altre interviste vengono raccolte nella famigerata “zona mista”, un’area con giornalisti ed atleti divisi da una transenna nella quale decine di reporter si accalcano per schiaffare registratori e microfoni davanti a un giocatore o ad una giocatrice appena uscita dal campo, accaldata, magari con ancora la borsa sulle spalle, la quale deve ripetere sempre la stessa storia prima davanti a tutte le televisioni, poi davanti ai vari capannelli di giornalisti. Difficile avere dichiarazioni originali o interessanti in questa situazione.

Come abbiamo già scritto in precedenti occasioni, il concetto di “zona mista” è già stato introdotto in alcuni tornei dell’ATP, in particolare in America, mentre la WTA ha mantenuto un approccio più tradizionale al rilascio delle dichiarazioni post-match. Se dovreste vedere un deterioramento della qualità delle interviste post-partita che Ubitennis riporta doviziosamente durante i grandi tornei, questo potrebbe essere uno dei motivi.

Un altro cruccio, soprattutto del Direttore Scanagatta, è stato quello della mancanza di TV in sala stampa: c’erano quattro monitor per 150 giornalisti, con battaglie varie e negoziati per decidere su quale canale sintonizzare i vari apparecchi. Certo, con uno streaming decente si riusciva ad ovviare al problema, ma si sa, a noi piace lamentarci…

Tutto sommato, un buon torneo, che speriamo ci regali finali altrettanto buone. Il doppio maschile ha già cominciato con il piede giusto, speriamo gli altri continuino.

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