Pennetta un anno dopo: “Da Signora Fognini ai tornei soffro di più” (Semeraro). Polso e famiglia, i dubbi di Djokovic: “Ma non ho mai paura di perdere” (Lopes Pegna). Il gaucho Del Potro spaventa tutti i big (Semeraro). L’US Open deve dirci chi sono i numeri uno (Azzolini)

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Pennetta un anno dopo: “Da Signora Fognini ai tornei soffro di più” (Semeraro). Polso e famiglia, i dubbi di Djokovic: “Ma non ho mai paura di perdere” (Lopes Pegna). Il gaucho Del Potro spaventa tutti i big (Semeraro). L’US Open deve dirci chi sono i numeri uno (Azzolini)

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Pennetta un anno dopo: “Da Signora Fognini ai tornei soffro di più” (Stefano Semeraro, La Stampa)

Flavia Pennetta. Com’è dolce New York un anno dopo l’indimenticabile finale tutta italiana vinta su Roberta Vinci agli Us Open.

Che effetto fa rimettere piede a Flushing Meadows da ex?

E’ stato bello arrivare in America, ancora più emozionante venire qui e sorteggiare il tabellone. Quest’anno voglio visitare bene la città, vedere tutti i posti che non ho mai visto. Me la farò tutta a piedi.

Il primo anno da «pensionata» è stato come se lo aspettava?

Fino al matrimonio ci sono state tante cose da fare. Poi mi sono detta: mo’ che faccio? La cosa buona, lo dicevo giorni fa a mia madre e mia sorella, è che non ho mai pensato: vorrei essere là. Neanche alle Olimpiadi; sono stata benissimo a casa, a fare il tifo. L’Italia era partita con poche aspettative, invece sono arrivate tante medaglie. Per la prima, quella di Rossella Flamingo, ero come tutti con il fiato sospeso. Il volley mi ha esaltato, Tania Cagnotto è stata bravissima. Mi è dispiaciuto per le “farfalle” della ritmica.

La vita ai tornei da signora Fognini è meno eccitante?

Be’, continui a vedere le persone che conosci, però si: è un po’ pallosa. Quando giochi hai la tua routine, se devi startene al circolo con le mani in mano il tempo non passa mai. E da fuori si soffre di più. Ora capisco, e ringrazio, chi mi ha dovuto seguire per 15 anni.

Potrebbe fare la coach di suo marito? E’ girata la voce.

No. Il giusto equilibrio nella coppia sta nel fare ciascuno le sue cose. Mai mischiare affetti e lavoro.

Il tennis femminile è in crisi di campionesse?

Le prime dieci non fanno più la differenza. Può vincere chiunque, perché si è alzato molto il livello dietro. La Puig oro alle Olimpiadi può sembrare una cosa assurda, ma è giovane, ha un tennis aggressivo e ha beccato la settimana perfetta. Ci sta.

E Serena Williams?

E’ sempre la n. 1 ma ogni tanto stacca la spina. Non ce la fa fisicamente, forse anche di testa. A 35 anni, con gli ultimi 20 passati a vincere praticamente tutto, è comprensibile. Io però vorrei vedere un po’ più di tennis italiano. Al momento siamo indietro. Parlo spesso con la mia amica Maria Elena Camerin, che segue le under 18 della Federazione e la verità è questa. Anche in campo maschile, dove però qualcosa si vede. Fra le ragazze c’è proprio uno scalino. Non so cosa sia mancato. Le ragazze di oggi non le ho viste crescere, non posso dirlo. Posso dire quello che abbiamo fatto io, Francesca, Roberta, Sara, che ci siamo guardate, spiate, motivate a vicenda.

Secondo lei si accontentano di poco o si scoraggiano in fretta?

Forse si scoraggiano presto. Vorrebbero tutto subito, invece bisogna stare lì, anche quando si perde. Questo è il messaggio.

Nella serie B di Fed Cup, dopo 4 titoli vinti, le fa impressione?

Un po’ si. Però è un ciclo, ora bisogna lavorare per creare un gruppo capace di risalire net World Group.

Le piacerebbe collaborare all’impresa?

Datemi ancora un po’ di tempo per me. A fine anno parlerò con la Federazione, ma non è la mia priorità.

Chi vince a New York fra i maschi?

Come? Beh, qui Fognini mi dice Fognini. Fabio può fare grandi cose, nel tennis tutto può succedere. Ovviamente Murray arriva con tanta fiducia, mentre Djokovic ha avuto un po’ di problemi fisici. Il circuito è impegnativo e le Olimpiadi sono state una mazzata. Sono tutti acciaccati. Abbiamo visto l’impresa di Del Potro, che è rinato, ma ha alle spalle due anni e mezzo di stop. Quando ti fai male è brutto, però ti rigeneri. E’ capitato anche a me.

Il ruolo da opinionista tv con Sky le piace?

E’ divertente, però dicono che sono troppo buona. Sarà perché mi immedesimo ancora nella fatica che si fa in campo…

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Polso e famiglia, i dubbi di Djokovic: “Ma non ho mai paura di perdere” (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

Le lacrime di Rio ormai sono passate. Ora Novak Djokovic torna fra le mura rassicuranti di Flushing Meadows, dove ha vinto l’anno passato (e nel 2011), e appare sereno e riposata, nonostante tutto. Nonostante il polso sinistro dolorante, che lo ha costretto al forfeit a Cincinnati un paio di settimane fa e che potrebbe essere stato la causa della clamorosa eliminazione al primo turno del torneo olimpico per mano di Del Potro. Ovviamente il polso sarà l’argomento principale dell’intervista, perché Nole è il numero uno del mondo e qualsiasi notizia su un suo acciacco diventa rilevante. E poi prima di incepparsi a Wimbledon (sconfitta al 3 turno con l’americano Querrey) stava avendo una stagione memorabile: vittoria numero uno allo stregato (per lui) Roland Garros, con Grande Slam personale, cioè 4 successi consecutivi anche se non nello stesso anno solare. Ma e dalle batoste che si riparte. E quando gli viene chiesto se anche il tonfo di Wimbledon avesse a che fare con il polso malandato, lui piazza una risposta spiazzante: “No, lì non ero infortunato. Almeno, i guai fisici non c’entravano niente. Ero disturbato da questioni personali”.

Quella questione adesso l’ha risolta?

Si, tutto a posto. Ora e tutto ok. Anche noi tennisti, come tutti abbiamo problemi personali che dobbiamo affrontare. Però nel mio caso lo definirei più un ostacolo di percorso e lo devi saper superare se vuoi evolverti come essere umano. Ecco, a Wimbledon mi sono trovato in quella delicata situazione. Ho risolto e la vita ora procede serena come prima.

Tutto rimane strettamente riservato, ma le speculazioni che circolano nell’ambiente è che Nole fosse sull’orlo di separarsi dalla moglie Jelena Ristic, con la quale ha un figlio, Stefan, nato nel 2014. Il suo polso come sta?

Nelle ultime tre settimane e mezzo, non benissimo. Ma sto facendo tutto il possibile, con l’aiuto dello staff medico, per arrivare a essere vicino al 100 per cento già dal primo turno. Mi sono fatto male a Rio, pochi giorni prima dell’inizio del torneo. In carriera, ii polso non mi aveva mai fatto soffrire. E ho affrontato Del Potro, che per lungo tempo era stato fuori proprio a causa dello stesso infortunio. Scherzi del destino.

Situazione migliorata?

Decisamente. Soprattutto dopo essermi sottoposto a certi trattamenti. Quelli che avete visto nella foto Instagram postata da mia moglie con dei fili nel braccio sono parte di una terapia. Sono cavi elettrici che aiutano a rigenerare il tessuto. Avrei bisogno di riposo, ma ora non si può. Sto cercando di recuperare, speriamo di farcela.

Nole dunque non si sente a posto: un’ammissione di cui gli avversari potrebbero approfittare. Peggiore la botta subita a Wimbledon o a Rio?

Entrambe. Non venivo eliminato nella prima settimana di un torneo del Grande Slam dal 2009. Ho sempre giocato al massimo e credo di trovarmi al picco della mia carriera. Nonostante questi due passi falsi pero ritengo il 2016 uno dei miei anni migliori. E a volte anche perdere può far bene. Ti permette di fermarti a riflettere. Serve a ricaricarti ed è una lezione di vita importante. Mi sono ritrovato a pensare a ciò che ho fatto a Parigi. Una vittoria che mi ha emozionato tantissimo, ma mi ha anche prosciugato di energie.

E’ vero che le piacerebbe andare in campo sempre con il nuovo tetto retrattile chiuso?

(Ride). Diciamo che non mi lamenterei se giocassimo indoor. Ci sarebbe più umidità e la pallina andrebbe più lenta. Per uno che fa della risposta un’arma importante sarebbe un leggero vantaggio. Però non mi alzerò la mattina facendo una danza della pioggia.

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Il gaucho Del Potro spaventa tutti i big (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Quando due settimane fa è volato a casa sua, a Tandil, con la medaglia d’argento vinta a Rio al collo, ad aspettarlo c’erano diecimila persone. Più o meno le stesse che lo avevano festeggiato nel 2009, fresco trionfatore a New York dopo aver frantumato prima Nadal e poi Federer nella finale degli Us Open. Era sembrato, quello, il primo di una lunga fila di trionfi sicuri per Juan Martin Del Potro, che allora aveva 21 anni ed era l’immagine della potenza e del talento; invece si ruppe lo specchio e iniziarono sette anni di guai. Quattro operazioni ai polsi: la prima al destro nel 2010, le altre tre al sinistro nell’ultimo anno e mezzo. Un calvario infinito, molte stagioni all’inferno con il purgatorio interrotto di un bronzo olimpico a Londra 2012 (strappato a Djokovic) e del momentaneo ritorno fra i top-5 nel 2013. E’ rientrato dopo quasi un anno di stop a febbraio, ora spera solo che il conto aperto con la iella si sia esaurito. «Stavo per piantarla con il tennis – ammette Palito – ci sono stati giorni in cui faticavo ad alzarmi dal letto, devo ringraziare chi mi ha convinto a non farlo. C’era la speranza che un giorno avrei rivisto la luce in fondo al tunnel, mi sono tenuto su con quella. Il tennis è un grande sport, e mi ha dato tanto, ma ormai credo di aver restituito tutto». Il tempo di riscuotere qualche credito arretrato in effetti pare arrivato. In Brasile Delpo ha smantellato al primo turno Djokovic e negato la finale a Nadal, rischiando poi di battere anche Murray nel match che valeva l’oro. Sembra quello di un tempo, il castigamatti dei Fab Four, anche se il ranking, impietoso ma bugiardissimo, oggi lo piazza al n.141. Di sicuro è la mina vagante degli US Open, dove al primo turno incontrerà l’altro argentino Schwartzmann. E’ capitato nella metà tabellone di Andy Murray, nel quarto di Stan Wawrinka, la sua ombra lunga è un incubo per chiunque. «Non credo ci sia nessun giocatore in tabellone a New York che non abbia paura di incontrarlo», dice Alex Corretja, ex n.2 del mondo e oggi commentatore per EurosporL «Con il rovescio non ha più la potenza devastante di un tempo, e bisogna capire se può reggere giocando due settimane al meglio dei cinque set. Ma su una partita secca può battere chiunque» . Per il suo ex collega e connazionale, il molto scettico Gaston Gaudio «Del Potro ha zero possibilità di vincere a New York: se ce la fa vado a vivere a Dubai». Ma Juan Martin non è uno che bada troppo a quello che dice la gente. Il suo sguardo celeste, da ragazzino, maschera l’istinto di un guerriero. «Continuare come a Rio non sarà facile, ma contro le previsioni di tutti sono tornato ad un livello altissimo, e ora so che se sto bene posso giocarmela contro chiunque, come un tempo. Ho imparato che con l’orgoglio e la forza di volontà puoi fare cose incredibili. E che a volte la mente può dominare il corpo». Hasta la victoria siempre, come diceva un altro argentino convinto di poter cambiare il mondo…

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L’US Open deve dirci chi sono i numeri uno (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Il tennis si chiede se vi siano ancora i primi della classe, e lo chiede direttamente agli Us Open che partono domani sotto un tetto nuovo di zecca. Ashe Stadium rinnovato, tetto mobile, Grandstand ricostruito. Il tennis investe su se stesso, sugli impianti, sui giovani. Il futuro è già qui, ma è il presente che sfugge a ogni logica osservazione. Doveva essere l’anno di Djokovic. Ora non si sa più che cosa sia. I colleghi serbi ci vengono a dire a mezza bocca che nostro ha problemi familiari. Sara vero? In campo soffre i forzuti che lo attaccano fin dal servizio, questo è poco ma sicuro. Pere non è nemmeno una novità. Del resto, chi non soffrirebbe sull’erba un cecchino come Sam Querrey, che colpisce sopra i 220 e poi non si sa dove possa tirare la palla successiva, anche perché il primo a non saperlo è proprio lui? Dopo Sam, Del Potro. Stesso tipo di trattamento, ma in chiave olimpica. E lacrime… D’accordo, ma tutte le incertezze palesate, tutti quei momenti di scarsa presenza di spirito, quegli errori madornali assolutamente non da lui? Solo un momento di scarsa forma? A guardarlo c’è da non credere ai propri occhi: sembra di rivedere ii Djokovic di sei anni fa, quello che andava in tilt contro i grandi di allora, Federer e Nadal su tutti. Gli Us Open sono chiamati a rispondere se la stagione, nata sotto il segno di Djokovic finirà sotto quello di Murray. I segnali ci sono tutti. Andy di Dunblane diventa più forte se al suo fianco ha Ivan Lendl. Strana coppia, trasversale è dir poco. Wimbledon, poi i Giochi. Gli Us Open Murray li ha gia vinti quattro anni fa. Fossimo in Djokovic saremmo preoccupati. Ma è nel settore femminile che lo Slam americano darà il meglio di sé. Li c’è in palio ben più, di un titolo. Serena mette in gioco la sua leadership proprio nel momento in cui riuscirà a pareggiare le 186 settimane di dominio consecutivo firmate da Steffi Graf. A insidiarla, ironia della sorte, c’è un’altra tedesca, Angie Kerber. Poteva essere numero 1 già a Cincinnati ma si è lasciata battere dalla Pliskova, e ha concesso a Serena di agguantare la Graf. Cosi, fino domenica della finale degli Us Open, Serena sarà numero uno. Ma dopo? Dato che i punti ottenuti lo scorso anno verranno scalati già domani, in termini puramente informali Angie comincerà questo Slam avanti di 460 lunghezze rispetto alla Williams, lasciandole ben poche possibilità di rimediare alla situazione se non quella di vincere il torneo. Stessa situazione di 12 mesi fa, per Serena, anche se lì c’era di mezzo il Grande Slam. Agli Us Open il tennis le chiede sempre di fare i conti con la Storia. E sappiamo tutti come andò a finire l’anno scorso.

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