New York applaude all' Italian style di Lorenzi e Vinci (Clerici), Lacrime e trionfo: la vinci vola ai quarti (Lopes Pegna), Roberta ai quarti. Il sogno continua (Piccardi), Paolo e Roby già al lavoro per il futuro (Valesio), La Vinci ai quarti con un gamba sola (Azzolini)

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New York applaude all’ Italian style di Lorenzi e Vinci (Clerici), Lacrime e trionfo: la vinci vola ai quarti (Lopes Pegna), Roberta ai quarti. Il sogno continua (Piccardi), Paolo e Roby già al lavoro per il futuro (Valesio), La Vinci ai quarti con un gamba sola (Azzolini)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

New York applaude all’ Italian style di Lorenzi e Vinci

 

Gianni Clerici, la repubblica del 5.09.2016

 

Mi può dare del tu, se crede, Dottor Clo rid.. Cosi mi aveva apostrofato Paolo Lorenzi, e aveva poi proseguito a spiegarmi, in termini rispettosi e civili, che la sua era una famiglia di medici, e anche lui si sarebbe laureato, in ritardo causa tennis. Avevo assentito, prendendo nota della sua esistenza, sin 11 sfuggitami, e avevo aggiunto che anch’io mi ero laureato tardi, grazie a una grave malattia che, nel distruggermi la speranza di diventare campione, mi aveva offerto un mestiere, quel che necessita per vivere. Mi avesse detto che sperava di rivedermi sul Centrale di New York l’avrei sconsigliato da quella ipotesi onirica, gli avrei suggerito di affrettar-si verso la laurea. Eccolo invece 11, su un campo nel quale ho messo i piedi una volta, da telecronista, prima che un incaricato mi scaccia. Ecco-io ll, tra gli applausi dei molti sostenitori degli underdog, come gli aficionados Usa chiamano chi non è favorito. Di fronte a lui Murray, capace di vincere quest’anno oro olimpico e Wimbledon, e quindi n. 2, con attendibile prospettiva di n. 1. A chi guardava con me, nel mio club, la tv, avevo appena detto che mi aspettavo qualcosa come un triplice 6/3, se andava bene. Invece Lorenzi prendeva a palleggiare alla pari, con un rovescio di lunghezza e peso non inferiore a quello bimane di Murray, uncinava il diritto e addirittura lo vedevo vicino alla rete, con una buonissima chiusura degli angoli Murray è ormai celebre per i suoi monologhi. Sarà uscito dalla gravitazione della mamma Judy, per entrare spero felicemente in quella della moglie Kim. È comunque un tipo che non riesce a trattenersi dall’autodia logo, e quello che gli proponeva il gioco di Lorenzi non faceva che suscitarglene di sempre più in itati. Non meno irritato di lui, nel suo atteggiamento forse ispirato da Buster Keaton, mi pareva il suo coach attuale, il fu campione Ivan Lendl, che sembra ancora infastidito per non essere riuscito a vincere Wimbledon. Lorenzi, dunque, con la sua maglietta del fu campione italiano Maioli, altro studente ritardato dal tennis, con un cappellino a sghimbescio e la falangetta delle dita sanguinanti, riusciva a servire a 5-4 per il set, non lo chiudeva, lo perdeva, ma apparentemente impassibile riusciva, nel secondo, a condurre 5-2 contro un Murray più incredulo di me. Assistevo spesso a scambi che andavano oltre i 20 tiri, addirittura ne ammiravo uno di 42, colpi che inchiodavano i giocatori alla riga di fondo. E mi accorgevo che avevo iniziato a prendere note dello score, come faccio soltanto per i match incerti . Murray insisteva in soliloqui sempre più irritati, riapparigliva a 5 pari, ma 8 punti a 3 mandavano Lorenzi a un set pari. Con Murray! Sul Centrale di Flushing Meadows! Sarebbe seguito un 3 set nel quale lo scozzese trovava sempre più la palla, mentre la regolarità di Lorenzi non bastava a contenere la lunghezza del giuoco avverso. Alzavamo il bicchiere in onore di Lorenzi, insieme ai soci del club, e ci dicevamo che era stata una bella lezione. Ci dicevamo che si può imparare un mestiere non essendo estremamente dotati, a furia di intelligente testardaggine, termini che paiono escludersi ma che Paolo ha dimostrato complementari. L’inizio della giornata di domenica è allietato dalla vittoria della Vinci su un’avversaria, l’ucraina Tsurenko che, per invo- lontaria sportività, aveva una gamba ancor più fasciata di quella di Roberta, e che l’ha anche superata nel numero di errori. Sarà, il prossimo, il 4 quarto di finale della Vinci a New York. Cha-peau, dicono i francesi.

 

 

Lacrime e trionfo: la vinci vola ai quarti

 

Massimo Lopes Pegna, la gazzetta dello sport del 5.09.2016

 

Stesso orario e per la terza volta sul Louis Armstrong, dove, per qualche motivo (sua ammissione), ama particolarmente il cemento. Stavolta, però, Roberta Vinci, contro la 27enne ucraina Lesia Tsurenko, 99 del mondo. N° 15 La posizione della Vinci (aggiornata ai quarti) nel ranking Wta di lunedì prossimo. Se raggiungerà le semifinali sarà virtualmente numero 13 (ora è 8) riesce a sfoderare il miglior tennis. Quello bello e spettacolare che quando è in giornata, come contro la tedesca Witthoeft, andrebbe mostrato nelle Academy sparse nel mondo. Ammette: «Non riuscivo a scuotermi, a respirare bene, troppa tensione. Non trovavo la via d’uscita, non potevo spingere con il piede». Stavolta non compare quasi mai neppure l’accattivante sorriso di ragazza felice, mentre lotta, soffre e si dispera soltanto quando spalanca la bocca per gridare a squarciagola e liberare la frustrazione come le capita con frequenza nel primo set. «La frustrazione di non essere al cento per cento. Perché quando non sei al meglio, è difficile non pensare alle tue magagne. E allora il match si complica», spiegherà. SCHEMA Stavolta, a differenza delle tre sfide precedenti in cui nel primo set aveva lasciato la miseria di tre giochi, incontra il suo Mortirolo. Sbaglia tantissimi dritti, 14. E per un bel po’ non trova la via d’uscita, appunto. «Ho avuto la palla del 4-1 e ho perso il game, poi quella del 4-2 e ho ceduto il servizio. Ma non ho mollato e ho continuato a lottare». Stavolta le fa male un po’ tutto, il solito tendine d’Achille della gamba destra e anche la schiena si è messa a fare le bizze. «Alla vigilia mi sono allenata per appena una decina di minuti, faccio laser, ghiaccio, antinfiammatori e cammino giusto l’indispensabile. Mica è semplice così«, si sfogherà. No, non è semplice. Per cui quando riesce a pareggiare sul 6 pari con una volée che la porta al tie-break, sa che deve portare per forza a casa quella prima partita. Racconta: «Mi sono detta che dovevo assolutamente vincerla, che questa sarebbe stata la chiave del match». E in quel tie-break il suo gioco sale di livello. Porta a casa il set, proprio come si era prefissa e poi recupera bene dopo essere andata sotto di un game nella seconda frazione. VI AMO Dice: «Sono stata brava a pareggiare all’inizio, perché lei poi è un po’ crollata fisicamente e tutto è stato più facile». Infatti, il secondo set diventa un bel discesone, aiutata anche dalla Tsurenko che comincia a perdere fiducia. L’italiana va sul 4-1, sul 5-2 e chiude la quarta fatica di questi Us Open in 1h39′ (1h07′ il primo set). Nel momento in cui la rivale sbaglia, sparando fuori il 37 errore gratuito, Roberta si commuove e piange. Il pubblico se ne accorge e applaude. «Sono nei quarti, l’anno passato in finale: i love you», dice emozionata nel microfono dello stadio Robertina da Taranto. Non ha difficoltà a fare autocritica: «Non ci sono dubbi che il mio tennis non sia stato brillante come negli altri giorni. Ma in un certo senso queste sono le vittorie più belle. Quelle che arrivano quando non giochi benissimo e le ottieni senza brillare».

 

Roberta ai quarti. Il sogno continua

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 5.09.2016

 

I suoi (primi) 33 anni sembrano non finire mai. La città la elettrizza, il torneo la esalta, squadra che vince (coach Cinà) e ristorante portafortuna di riferimento (Bistrot Milano, specialità pappardelle al telefono) non si cambiano. Nella metropoli che l’anno scorso le allungò la carriera, Roberta Vinci rinasce. Incerottata, evidentemente stanca, sull’orlo di un ritiro che procrastina più per inerzia che per convinzione, Robertina nostra sbuca nei quarti di finale dell’Open Usa che l’ama — ricambiato — dalla rocambolesca e fantastica vittoria del 2ar5 su una Serena Williams lanciata verso il Grande Slam, prima che la corsa finisse tra le braccia di Flavia Pennetta, la signora Fognini che oggi siede in tribuna. L’ucraina Tsurenko (n. 99 del mondo) nei quarti non è una formalità: «Sapevo che era fondamentale vincere il primo set. E stato un match duro, molto fisico, con due parziali tirati. Alla fine eravamo un po’ provate tutte e due». 7-6, 6-2, per continuare a sognare. Roberta non è a posto fisicamente, a tratti zoppica, si tiene la schiena, è Tennis Vinci avanti agli Us Open Tsurenko k.o. adesso i quarti avanti e si fa riprendere da un’avversaria intimorita dal suo carisma newyorkese. Scherzare sull’età è ormai un rito scaramantico post-match: «I miei 33 anni? La stanchezza c’è, inutile negarlo. Ho una certa età ma in campo non voglio mai perdere: ci metto sempre l’anima, anche quando non sono al massimo della forma». L’obiettivo non sono i punti della finale dell’anno scorso da difendere (la Vinci, n. 8 del mondo, è destinata a scendere in classifica da lunedì). Lo scopo della missione a New York è regalarsi un ultimo urrah, fare scorta di applausi per il lungo inverno, chiudere — magari — in bellezza, come fece la Pennetta con la coppa dello Slam in mano. Il prossimo ostacolo si chiama Petra Kvitova, due volte campionessa di Wimbledon, o Angelique Kerber, regina dell’Australian Open e finalista lo scorso luglio all’All England Club, che si sono sfidate nella notte. Nulla è precluso a chi gioca con la leggerezza dell’ultimo volo a planare. «Brutta roba la vecchiaia, ragazzi…». Ma se sembri una ragazzina, Robi.

 

Paolo e Roby già al lavoro per il futuro

 

Piero Valesio, tuttosport del 5.09.2016

 

Un amico maestro di tennis (uno dei tanti che lavorano con i ragazzi non per illudere i medesimi e i loro genitori e di conseguenza assicurarsi una rendita prolungata nel tempo ma per tentare di far uscire da loro il meglio) l’altra sera ha pubblicato di Facebook un post il cui tono era il seguente: «Spero che i miei allievi stiano guardando questo match Perché cosa capiranno cosa vuol dire essere uno vero». Il match in questione era quello di Lorenzi con Murray laddove Paolo, a 35 anni, ha fatto impazzire finchè le forze lo hanno sorretta il numero2al mondo Murray. Ieri lo schema si è ripetuto ma è cambiato il protagonista che è diventata una protagonista: la sempiterna Roberta Vinci che 33 anni e con un tendine che a quanto è dato sapere, resta attaccato al calcagno per miracolo divino, ha conquistato l’accesso ai quarti dello Us Open, quello stesso torneo di cui l’anno scorso ha perduto la finale per mano di Flavia Pennetta. Che Paolo abbia alla fine perso e che Roberta si trovi ora dover affrontare avversarie di tutt’altro livello rispetto a quelle battute fino ad oggi non ha alcun peso ai fini di questa riflessione Ciò che conta è che due tennisti agèes, due persone normali nelle reazioni e nella fisicità, due ex ragazzi che sanno sorridere stanno mostrando ai ragazzi -allievi dei maestri di cui sopra cosa si può combinare quando la passione si mantiene viva. Nutrendo dunque il divertimento che scaturisce dal proprio lavoro, la capacità di elaborare le sconfitte e fornendo energia alle proprie gambe. Questi due stanno già lavorando al futuro del tennis italiano, nel modo più efficace possibile: giocando. Se tra qualche anno avremo un asso che vincerà uno Slam e dirà di essersi ispirato a loro non stupitevi. Perchè sarà vera.

 

La Vinci a New York conquista i quarti con una gamba sola

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 5.09.2016

 

C’è un “modello Vinci”, e non lo sapeva nemmeno lei, la Roberta. Evitiamo di definirlo “Codice”, per non scivolare nella più deprimente banalità. Piuttosto, uno stile. Un’impronta. Certo più di un’illuminazione. Potrebbe diventare persino un brevetto. Agli americani piace da matti, anche perché c’è chi si è preso la briga, in questi giorni di tennis, di semplificarlo e proporlo in patinato sulle riviste, come decalogo morale: essere se stessi, vincendo da persone normali; essere felici di quello che siete e ottenere il massimo dal vostro modo di essere. Non più il “Winning Ugly”, il vincere sporco dell’exagitatore di menti Brad Gilbert, semmai una sorta di “Winning Soft”: farlo con quella morbidezza che implica il volersi bene ed evita qualsiasi volontà di sopraffazione altrui. Di fatto, un compendio che somma molte delle aspirazioni attuali di un popolo stanco di parole d ordine eccitate, di aggressività, di avvocati minacciosi, di finanza alla cocaina. Roberta, nel tennis, sembra abbia dato un volto a questi desideri di rinascita. Lo ha fatto con un sorriso in più, con il suo stile italiano, per vie del tutto naturali. E senza sapere di farlo. Così, se fosse possibile decidere attraverso un sondaggio i nomi delle due finaliste di questa edizione degli Open, gli americani voterebbero lei e Serena, per ritrovarle di nuovo in campo, e rivivere da capo le emozioni di un anno fa. Ancora loro, per capire se in dodici mesi la Williams è riuscita a scrollarsi di dosso la superbia che finì per tradirla, e cogliere il messaggio che l’italiana le consegnò in semifinale. Ma non e così che accade nel tennis, dunque Roberta alla sua finale dovrà arrivarci da sola, se davvero la vorrà. E sarà un percorso talmente accidentato da rischiare non uno, ma mille capitomboli. C’è però una novità, un fatto che non era previsto in alcun pronostico. Roberta è nei quarti di finale, ed è la quarta volta in questo torneo, in tutta evidenza il più affine al suo tennis. Ha messo alle spalle la tedesca Friedsam, la statunitense Mchale, ancora una tedesca, la Witthoeft, ieri l’ucraina Lesia Tsurenko. Persino il dolore al tendine ha tenuto a bada, anestetizzato dall’adrenalina che le dona un piglio corsaro, e la fa sentire di nuovo in missione verso una meta che non ha precisi contorni, salvo quelli di sentirsi di nuovo protagonista, forse per l’ultima volta. Ed è a due vittorie da una nuova finale. II match con la Tsurenko si è giocato in un set, il primo. Roberta lo ha vinto in un tie break spinoso, e solo perché più dell’avversaria ha saputo gestire le risorse e pianificare le mosse. C’era da tenere duro, e lo ha fatto. I colpi le uscivano privi di forza, ma ha puntato il fuoco sulle parti scoperte dell’avversaria, sul dritto che è quasi sempre svolazzante, e ha immagazzinato i punti che servivano. II resto, nella seconda frazione, è venuto da sé. Lì Roberta ha persino ritrovato servizio e frustate di dritto. Ma quel che conta è che ha vinto con l’intelligenza. Quella dote che finirà per farla adottare dai newyorchesi stanchi di una società così aspra. A fine match si è anche concessa un pianto liberatorio: «Ho pianto perché ho giocato una grande partita nonostante un sacco di problemi fisici che mi porto dietro. La realtà è che mi piace giocare qui, mi piace tutto, il cibo, la folla, l’entusiasmo… E adesso? Adesso sono nei quarti e l’anno scorso sono arrivata in finale: cosa volete che vi dica?». Winning Soft, cara Roberta. Puoi scriverci un libro.

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