Racconti dal XX secolo: la Dea affronta la Regina, duello al sole - Pagina 2 di 4

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Racconti dal XX secolo: la Dea affronta la Regina, duello al sole

Suzanne Lenglen e Helen Wills furono forse le due tenniste più grandi di un’epoca magica ma si incontrarono una volta sola. Opposte in tutto tranne che nella coscienza della propria grandezza, lasciarono il loro sangue sul rosso campo di terra battuta incastonato in uno degli angoli più incantevoli della terra. Quel ricordo non morirà mai

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I precoci successi non potranno comunque preparare il cristallizzato e sussiegoso mondo del tennis femminile a quel che succederà nel 1914 al World Hard Court Championships di Saint Cloud, un importante torneo parigino su terra battuta precursore del Roland Garros. Il singolare maschile viene vinto dall’immenso Tony Wilding, che morirà meno di un anno dopo al fronte, ma Suzanne sorvola con la leggerezza dei suoi quindici anni tutte le avversarie lasciando poi tre giochi all’esperta Germaine Golding. La povera Germaine raggiungerà altre tre volte quella finale. Purtroppo dall’altra parte della rete c’era sempre Suzanne. Il passo successivo è scritto, si tratta del campo verde più verde del mondo che si trova in un sobborgo di Londra chiamato Wimbledon. Papa Charles però è troppo scaltro, non abbandona la certezza per l’abbaglio di un momento e dichiara alla stampa adorante che la figliola per ora non passerà la Manica. È tutto previsto, tranne l’agguato della tragedia che tronca di netto la Belle Epoque. Lo studente bosniaco Gavrilo Princip non ha ancora vent’anni quando il 28 giugno 1914 a Sarajevo estrae di tasca la sua Browning 7.65 e colpisce a morte con due soli proiettili l’erede al trono d’Austria-Ungheria Francesco Ferdinando e la moglie Sofia. Per un paio di mesi si incrociarono alleanze e dichiarazioni bellicose, poi a settembre la grande valanga della Prima Guerra Mondiale travolge tutto. Cinque anni di reciproci attacchi all’arma bianca contro il fuoco delle mitragliatrici per poche spanne di terreno, la vita disumanizzata della trincea nella snervante attesa del temuto ordine di avanzare, il quotidiano contatto con l’orrore della morte rese per sempre vittime anche coloro che ebbero la buona ventura di sopravvivere. Sarà Erich Maria Remarque a raccontare tutto questo meglio di tutti in “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, scritto nel 1929.

La famiglia Lenglen è sfollata a Nizza, la natìa Compiègne è in piena linea di fuoco e se certo è vero che gli anni della guerra tolsero a Suzanne la possibilità di vincere numerosi allori lo è altrettanto il fatto che anche quel tempo non passò invano. Il regime degli allenamenti aveva anch’esso un che di militare e nel 1919, al termine del conflitto, la ventenne è pronta per la sua prima corona di Wimbledon. La detentrice che l’attende al Challenge Round è Dorothea Douglass-Chambers, la sette volte campionessa che ha il doppio dei suoi anni. Potrebbe essere la madre ma agli spettatori appare addirittura come la nonna. Al contrario di lei Suzanne mostra tutta la sua modernità, indossa una gonna plissettata appena sotto il ginocchio e una camicetta a maniche corte per avere la massima libertà di movimento, le guizzanti braccia muscolose tinte di bruno dal sole del Mediterraneo. È il battesimo del fuoco per la futura dominatrice. Davanti a più di 8.000 persone Lenglen corre veloce fino al 4-1 ma viene raggiunta e comincia una battaglia di nervi infinita. Ha un duro scambio di opinioni con la madre seduta ai confini del campo ma riesce alfine nel break decisivo che le consegna il primo set per 10-8. Chambers però è una campionessa vera e alternando chop corti a fucilate passanti pareggia il match con un 6-4 che sembra preludere alla vittoria perché Suzanne è distrutta dalla tensione e ai cambi campo cerca ristoro in una fiaschetta d’argento contenente cognac ghiacciato e zucchero. Uno scatto d’energia la porta ancora avanti 4-1 ma Dorothea non vuole mollare il suo titolo e raddoppia gli sforzi tenendo alta la velocità della palla. Adesso è il suo turno, risorge, pareggia e sul 6-5 in suo favore servizio Francia va a doppio match point sul 15-40. Il manierato pubblico inglese non si contiene più, anche dal monte Olimpo stanno seguendo la battaglia e gli dei si schierano. Sul punto seguente Suzanne – coraggio, coraggio, coraggio – colpisce un attacco profondo e scatta a rete. Sembra passata dal veloce cross della Chambers ma in un tuffo disperato riesce ad incocciarlo con il legno della racchetta. La palla passa appena il net e muore nel campo avversario. Dorothea è incredula e si vede annullare anche la seconda opportunità da un rovescio lungolinea che la lascia immobile sulla linea di fondo. La fiducia scorre ora potente nelle vene della ragazzina che non sbaglia più un colpo, è come se tornasse a vedere i fazzoletti posti sul campo di Nizza e li colpisce a ripetizione danzando sull’erba. Strappa l’ultimo game a zero per il 9-7 che vale la corona e dopo la stretta di mano vola fra le braccia del suo demiurgo e padre. È il trionfo della grandeur francese, la petite Suzanne diventa istantaneamente La Divina.

E come tale prende ad abbigliarsi e atteggiarsi. Non è più solo una tennista fantastica, è l’orgoglio di una nazione intera. Ora la sua natura capricciosa è libera di esprimersi, scende in campo perfettamente truccata, indossando stole di ermellino o bianchi cappotti di vigogna, i capelli coperti da un bandeau di seta colorata fermato da una gemma preziosa. Per buona parte degli anni ’20 i Lenglen sono la famiglia reale di Francia. La città di Nizza concede loro in usufrutto la splendida Villa Ariem, che diventa il cuore pulsante della dolce vita in Riviera. I suoi abiti sono creazioni uniche di Jean Patou, i suoi gesti imitati, ogni atteggiamento diventa moda. In tutto questo il suo tennis rimane strabiliante, con l’eccezione del 1924 Wimbledon sarà suo per sei volte. La stagione iniziava a gennaio e fino a Pasqua i tornei della Costa Azzurra si disputavano la sua presenza. Gli ipocriti premi sottobanco del tennis amatoriale trovarono nuovi modi per essere elargiti. Gli organizzatori erano soliti avvicinare papà Charles ammiccando “scommetto 1.000 franchi che mademoiselle Lenglen non disputerà il nostro torneo”. Lui sorrideva e accettava. Poi c’era il prestigioso Hard Court World Championships di Saint Cloud, infine l’estate inglese e il Centre Court. Eccettuando gli australiani, poco presenti per ovvie questioni di distanza, all’epoca il tennis era ancora una questione fra Europa e Stati Uniti. Wimbledon aveva il primato ma gli US Championships erano stati istituiti solo quattro anni dopo, nel 1881, e nello stesso anno era nata la USLTA, l’associazione nazionale statunitense. Tradizionalmente il campione del mondo si incoronava sul Centre Court ma al di là dell’Atlantico si sosteneva la stessa tesi a parti invertite. Gli incroci erano rari ed estemporanei per motivi logistici e fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale l’albo d’oro dei rispettivi tornei vedeva ben pochi nomi stranieri. Uno di questi era norvegese. Anna Margarethe Bjurstedt Mallory, detta Molla, era nata a Mosvik ma si era trasferita a New York. Dal 1915 vinse quattro titoli USA consecutivi per la sua nazione d’origine e in seguito altrettanti come cittadina statunitense. Divenne grande amica di Bill Tilden, il quale odiava tanto Suzanne quanto solo una star può odiarne un’altra, ed era la sola credibile rivale della Lenglen al mondo.

Lenglen-Tilden, odio fra star

Lenglen-Tilden, odio fra star

Era stato lo stesso Tilden a creare i presupposti della sfida nel torneo di Saint Cloud del 1920. Lui e Molla erano stati mandati al torneo francese nella speranza che Suzanne avrebbe graziosamente ricambiato la visita ai campionati statunitensi. Si stavano allenando quando Big Bill vide la Divina assistere dagli spalti. Quel che successe dopo non fa onore al campione statunitense ma sarà lui stesso a dichiarare: “Non ne sono particolarmente orgoglioso ma in quel momento sembrava l’unico modo per stabilire una volta per tutte la superiorità del gioco maschile su quello femminile”. Bill comincia a giocare male, finge di essere giù di forma e fallisce numerosi colpi in serie nella speranza che Suzanne gli chieda di giocare. E la sventurata rispose, come direbbe Manzoni.

La notizia si diffonde e presto bisogna fare a gomitate per assistere. Tilden le rifila uno spietato 6-0 usando tutta la potenza di cui dispone, col deliberato intento di umiliarla pubblicamente. Dopo pochi minuti, alla stretta di mano, i suoi occhi mandano lampi luciferini quando mellifluo le chiede: “Will you play another?”. “No, you hit too hard” rispose lei sull’orlo delle lacrime. Poco dopo lo stesso Bill dichiarò che anche Molla l’avrebbe distrutta. Suzanne invece dispose facilmente di Mallory in finale così accettò di partecipare allo US Championships quell’estate. Varcò l’Atlantico contro il parere del padre, che si rifiutò di accompagnarla temendo una trappola. Ed era nel giusto. Il sorteggio le assegna al primo turno la n° 5 statunitense Eleanor Goss e subito dopo la stessa Mallory. Sembra incredibile che le due favorite si scontrassero così presto, gli organizzatori si scusarono per l’inconveniente ma nulla più. Voci sempre più insistenti diffondevano la teoria di un complotto al fine di mettere Lenglen e i suoi fragili nervi sotto pressione e il forfait di Goss poco prima del match non fecero che confermarle. Suzanne era arrivata tardi negli Stati Uniti, non aveva utilizzato il campo allestito sul piroscafo che la portava a New York preferendo le ore piccole di serate danzanti e lo stesso aveva fatto una volta giunta a terra. Quando scese in campo contro una Mallory col sangue alla bocca e caricata al massimo dai consigli di Tilden non toccava racchetta da più di un mese. Fu un disastro. Molla non era neanche lontanamente completa come lei ma aveva il dritto. “Molla had a hell of a forehand. She didn’t have a backhand. She have the weakest service I have ever seen. But what a forehand!” scrisse di lei Alison Danzig. Mallory è un treno in corsa, spinge il suo fiammeggiante colpo western come non mai, vola 2-0 e intasca il primo set facilmente 6-2. I nervi di Suzanne cedono di schianto, non c’è Charles a bordo campo a spingerla con le giuste parole e lei cerca istintivamente una via di fuga, la meno nobile. Comincia a tossire sempre più ostentatamente e ad inizio secondo set, dopo un doppio fallo, si avvicina alla sedia dell’arbitro e con accento francese mormora: “I cannot go on. I am really too ill”.

Solo in Francia cedettero alla tesi della malattia, i giornali americani si scatenano. Su tutte le prime pagine a stelle e strisce diventa “Suzanne Cough and Quit”. Fu l’unica sconfitta nella carriera amatoriale di Lenglen ma ne valse cento. Aveva coraggio ma la sua forza mentale e la confidenza dipendevano in gran parte dalla sua maestria tecnica. Le conseguenze destabilizzanti del rigido condizionamento fisico e mentale al quale l’aveva sottoposta il padre dall’età di undici anni per inseguire il suo sogno cominciarono a manifestarsi a partire da quella sconfitta. In Europa il regno restò inattaccabile ma momenti di inspiegabile malattia o spossatezza facevano notizia. Nel 1924 si ritirò da Wimbledon dopo aver clamorosamente perso un set contro la sua compagna di doppio Ryan prima di vincere faticosamente al terzo. L’anno dopo tornò a vincere. Il 1926 era alle porte e il suo regno solido come non mai quando all’orizzonte si stagliò la figura ancora indistinta di una pretendente al trono che giungeva da lontano, molto lontano.

Il grazioso inchino di una Dea

L’inchino di una Dea

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