Ma quella sfera che vedi volteggiare, tu credi sia una pallina o un rovescio?

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Ma quella sfera che vedi volteggiare, tu credi sia una pallina o un rovescio?

Cosa si nasconde dietro uno dei più bei gesti che si possano ammirare su un campo da tennis. Cosa pensa Wawrinka quando si indica la testa?

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Rispetto a quel dritto che stai eseguendo là in fondo dall’altra parte del campo, ho da dirti molto. In primis, è bellissimo. È bellissimo il gesto che il tuo corpo sta mettendo in scena, l’orchestrata strutturazione di una figura omogenea ed armoniosa composta da miriadi di segmenti, fasci e “pezzi”, la collimazione di propulsioni normalmente indipendenti e ora, per l’occasione, riunitesi per fare fronte comune ad una grande richiesta di uniformità. Eterogeneità che s’irradia in tutte le sue sfaccettature grazie ad un’implosione dei fini, specificità che si colgono tutte con una sola occhiata. È uno sguardo d’insieme. Ma come fai? Ti ho lanciato (non ho altri verbi per denotare l’evidente carenza artistica della mia esecuzione) la pallina con una tal violenza e precisione che il tempo perché compiessi un gesto anche semplicemente coordinato era pressoché nullo. Proprio in virtù di questa mancanza temporale, tu ti sei fatto un baffo della fisica e ti sei dato alla danza sinuosa. Se non ci fosse la pallina, se non ci fosse la pallina che arriva in quel modo, non compiresti nulla del genere, non ne saresti capace. Ma la pallina c’è, e sta giungendo. È l’esito di un mio rovescio, dunque una pallina-rovescio. Quel qualcosa che è tanto una sfera pelosa quanto un colpo, quanto una storia. Diciamo allora il retaggio del mio rovescio, che lo serba tutto contratto e sintetizzato in sé. Di certo, non è solo una pallina quella che ti si sta avvicinando. È un rovescio lungolinea, è il gesto di un braccio che si blocca sul lato sinistro per non permettere all’impatto con la pallina di fiondarla in direzione incrociata.

Ricordo che il rovescio fu l’ultimo colpo che aggiunsi al mio repertorio, nell’unico senso per cui una frase di questo tipo possa avere un senso: fu il passaggio dalle due mani con cui lo eseguivo inizialmente all’unica con cui lo fissai poi per sempre, a costituire l’ultima aggiunta al mio bagaglio tecnico. Lo imparai ad una mano per il semplice fatto che mi dava l’idea di essere un gesto tecnico esteticamente più gradevole. Solo più tardi constatai che l’eleganza del gesto dipende dall’eleganza del gesto, e che il gesto è sempre unico ed irriproducibile, slegato dalle basi con le quali lo si sostanzia, tutt’al più agevolato da certe componenti più “aerodinamiche” e “leggere”, forse più disponibili all’evento creativo, all’inserimento di quel qualcosa in più, totalmente personale, con cui renderlo effettivamente pregiato. C’avevo investito sudore e nervi su quel colpo, sull’alleggerimento di quel colpo. Avevo lavorato assiduamente per concedermi la possibilità futura di essere elegante con più semplicità, d’ottenere con pochi sforzi la bellezza che con tanti sforzi a monte m’ero lasciato in eredità. Alla fine le mie fatiche avevano ottenuto i loro buoni risultati, a fronte di tanti insuccessi sul campo derivanti da un colpo evidentemente poco funzionale. Una volta stabilizzato il suo assetto, tornarono anche i risultati, e anzi tornarono con molta più frequenza e qualità di quanto non accadesse ai tempi in cui le due mani mi davano tanta stabilità e praticità, ma pochi sbocchi estetici. E questo cammino di funzionalità e bellezza che a braccetto si spartivano i bottini delle mie esibizioni mi ha condotto sino a qui, a questo torneo, a questa finale. È decisamente il palcoscenico più importante cui l’orchestra dei miei movimenti m’abbia condotto.

Il rovescio, soprattutto, m’ha portato qui. La mia storia, condensata tutta in questo colpo che non è uno ma la possibilità d’esistere di centinaia d’altri, m’ha tenuto la mano nel tragitto che è giunto ad oggi, ad ora. Nell’ultima mia esecuzione, nell’ultimo mio rovescio, si nascondono tutti i rovesci ad una mano che l’hanno preceduto e, con cambio di paradigma, tutti i rovesci a due mani che hanno preceduto quelli ad una. Dietro a quest’ultimo colpo, ci sono tutti i miei colpi, tutte le mie partite, ogni mia emozione provata in campo ed incisa sul mio gesto motorio Interiore, quel colpo archetipico che non è un dritto, non è un rovescio ma precede e accompagna ogni dritto e ogni rovescio che io esegua, dall’inizio della mia carriera sino ad ora. Quel moto silente e compatto che agisce nei recessi più nascosti del mio animo e che permette al mio corpo di tentarne una riproduzione, sempre comunque imperfetta, sempre differente. La racchetta che sta dentro, ben più pervicace e duratura di ogni Yonex abbia mai tenuto in mano. Tu, dall’altra parte del campo, stai per venire investito da una storia lunghissima, un racconto che solo considerando la mia biografia s’estende per rade e pianure tra le più estese ci sia dato modo di frequentare, ma che se aprisse squarci su tutte le vicende di sua competenza non basterebbe una storia globale per riprodurne un’eco. Perché quello che ti sta arrivando, caro avversario, è l’ultimo e più recente esito della grande storia cui stiamo partecipando. Una storia che coinvolge tanto i piani alti quanto quelli più bassi, una manifestazione spirituale che ha a che fare solo di sfuggita con l’evento mediatico e puramente umano che ne tenta la diffusione e congelazione, una striatura che ad ognuno non è lecito ma naturale compiere, ogni qual volta aderendo alla trama che lo sovrasta ne smuove i fili, ne allunga il tessuto, compromette il senso stesso della sua adesione.

Ti sta arrivando, in altri termini, la tua stessa storia, il motivo per cui ti trovi di là a colpire. Non ti scuote un poco il fatto che ciò che stai per andare ad impattare con la tua racchetta, la tua violenza, la tua fantasia, sia la ragione stessa per cui ti trovi su questo campo? Sei di là per colpire, per far collidere la tua protesi sportiva con il gioco che stai giocando, tutti quello che lo hanno giocato e lo giocano ancora, me fra tutti, anni ed anni di tornei, classifiche, trionfi, racchette rotte, vincenti, lacrime, lustri fatti tanto di circoli provinciali quanto di eventi dalla risonanza mediatica mondiale, grandi campioni e piccoli amatori, stecche e vincenti. Stai per far vibrare la giustificazione per cui ti trovi qui, e questa scossa cambierà le sorti della partita, della tua carriera, della Storia. Sei sul punto di compiere un gesto che segnerà per sempre coloro che vorranno praticare questa disciplina e il modo che avranno per farlo, sei lì lì per decidere del tuo futuro e di quello altrui, e, non posso tacerlo, la tua posizione d’attesa è tra le più belle che mi sia mai stato dato di ammirare. Sei semplicemente perfetto nel tuo movimento di recupero storico, nell’avvicinamento che la tua persona sta compiendo per inserirsi all’interno di un processo che in ogni caso l’attirerebbe a sé. Perché, per quanto tutto quanto evocato sia compresso all’interno della pallina ad aria compressa, anche se non ti riuscisse di impattare la piccola sfera pelosa, ciò andrebbe a coinvolgerti e inglobarti comunque nel suo perimetro. Forse allora non sta tanto nel modo oggettivo con cui pieghi le gambe, abbassi la spalla, allunghi il braccio sinistro come ad indicare che sì quella è proprio la storia che vuoi raccontare, non un’altra, la testa lievemente voltata a lato, il braccio destro inclinato a formare un angolo retto tra omero ed ulna; non sta tanto in questo assetto geometricamente impeccabile e stilisticamente ineccepibile la grandezza del tuo movimento, quanto nel fatto che tu con ardore, dignità e rispetto non indietreggi, ti immetti nel corso che le cose stanno prendendo e cerchi di farlo nel modo più caparbio che ci sia.

Come se fossi costretto a farlo. Dopotutto, proprio in virtù del tuo avvicinarti ad un bagaglio di memorie così fitto non puoi che farlo in modo raffinato. Una sorta di provino inconsapevole cui ti sottoponi e dal quale esci a pieni voti nel momento stesso in cui scegli di abbracciarne la storia. Se vuoi farlo, non puoi che farlo bene. E considerando la grandiosità della tua movenza, non posso che prevedere un felicissimo incontro con la pallina. Forse vincente. Sei semplicemente strabiliante, così impassibile a svolgere il tuo compito nonostante le pressioni di così tante sorgenti, imperturbabile nel bel mezzo della tempesta più terribile. Certo, a quel punto passerai la palla, mi demanderei il compito di aderire o meno a tutto ciò che è stato ed è, mi sottoporrai allo stesso sovrastante cimento, e io dovrò saper reagire, o forse, agire. Solo che a quel punto il peso della storia potrà essere così pressante ed insopportabile da spingermi ai ripari, da farmi desistere dal rimettere ancora una volta la questione in gioco, scegliendo in un certo senso di non scegliere più. Oppure, in caso eguale e contrario, mi assicurerà un ruolo in seno al Grande Gioco, al Grande Racconto. Tutto sta nel vedere se io risponderò o meno alla tua azione. Ma è così bella, così giusta, perché non sedermi semplicemente a contemplarla e farmi sommergere da un’onda oceanica che avrà la dolcezza di un rivolo montano, la freschezza della sorgente e la speranza di un esito sempre ancora da scoprire?

Perché non rimanere semplicemente qui, ancora un po’?

Riccardo Zuliani

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