Lo strano caso di Johanna Konta

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Lo strano caso di Johanna Konta

Dopo più di trent’anni il tennis femminile britannico ritrova una top ten, grazie a una giocatrice che ha cominciato a vincere dopo aver perso l’aiuto della sua federazione

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Tre passaporti, una vita fatta di viaggi, trasferimenti e cambi di nazionalità, in cui il vero punto fermo è il tennis, e il desiderio di riuscire a sfondare in uno sport difficile, impegnativo e costoso. Johanna Konta, la finalista del torneo Premier Mandatory di Pechino, è la prima giocatrice britannica ad entrare in top ten dopo oltre 30 anni.
Agli inglesi una tennista nell’élite del ranking mancava dal 1984, dai tempi di Jo Durie capace di salire fino al numero 5 del mondo; Durie era l’ultima rappresentante di un movimento femminile che negli anni settanta aveva avuto almeno altre due forti giocatrici: Sue Barker e soprattutto Virginia Wade, una delle figure più rappresentative del periodo di passaggio dal dilettantismo al professionismo: vincitrice in singolare di tre Slam, ultimo dei quali l’edizione del centenario di Wimbledon (1977).

Negli anni ottanta inizia il declino del tennis femminile inglese, che non riesce più ad esprimere figure all’altezza del suo glorioso passato. Eppure la federazione tennis britannica (che si chiama LTA, Lawn Tennis Association), dispone di un bilancio molto ricco, grazie agli utili che genera annualmente il torneo di Wimbledon, uno degli eventi più redditizi dello sport mondiale.
Negli anni duemila il team di Fed Cup langue nel girone più basso tra quelli previsti dalla manifestazione, e forse anche per questo si prova ad allargare il reclutamento facendo ricorso a giocatrici non del tutto inglesi. E così la federazione si muove per fare diventare britanniche due promesse di nascita australiana come Laura Robson (nata a Melbourne) e Johanna Konta.

Konta è nata il 17 maggio 1991 a Sydney, da genitori ungheresi. Comincia a giocare a tennis a otto anni perché ha i campi vicino a scuola, e mostra subito di essere molto dotata. Per la verità riesce bene anche nell’atletica, visto che negli 800 metri è la più veloce della scuola, maschi inclusi, e viene selezionata per una corsa a livello statale. Del resto in famiglia c’è un DNA sportivo di qualità, visto che Johanna è nipote di un ex calciatore professionista in Ungheria.
Ma il suo idolo è Steffi Graf e la sua passione il tennis; per questo rinuncia alla corsa: quello che vuole provare a fare da grande è la giocatrice professionista. E così, ad appena tredici anni, si trasferisce in Spagna, a Barcellona, alla accademia Casal-Sanchez (la stessa frequentata in passato da Andy Murray).

In quel momento Johanna è a tutti gli effetti una giocatrice australiana, e inizia l’attività da junior avendo la sigla AUS di fianco al cognome.
Vivere così giovane da sola in Spagna per lei è molto difficile (lo ha raccontato in una intervista recente), e allora per cercare di starle più vicino i genitori tornano in Europa e trovano lavoro in Inghilterra. Le nuove leggi favoriscono il trasferimento, visto che dal 2004 l’Ungheria è diventata parte della Comunità Europea e la famiglia Konta ha il doppio passaporto (ungherese e australiano). L’esperienza spagnola si rivela molto dura per Johanna, tanto che dopo un paio di anni decide di tornare dai genitori in Inghilterra, ad Eastbourne.

La sua attività tra le junior non è ai massimi livelli (non fa molta strada negli Slam o all’Orange Bowl), ma è comunque più che discreta; inizia nel 2004 e ha il picco nel 2008 quando arriva al numero 11 del ranking e vince il torneo di Santa Croce , superando in finale proprio Laura Robson. In quel momento, Robson (che è più giovane di due anni e mezzo, visto che è nata nel gennaio 1994) gioca già sotto la bandiera inglese, mentre Konta ha appena avviato le pratiche per il cambio di nazionalità. Nel suo caso perché il passaggio sia consentito occorrono almeno quattro anni, e infatti solo nel 2012 riceverà il passaporto britannico, arrivando così a possederne tre (ungherese, australiano, inglese).

Il cambio di nazionalità sportiva è accompagnato da qualche polemica, perché emerge che il padre di Johanna, Gabor, ha ricevuto in passato una ingiunzione dal tribunale della contea per mancati pagamenti (circa 3000 sterline) alla Sutton Tennis Academy, un club privato che però ha rapporti con la federazione.
Il proprietario Keith Soll dichiara: “Non abbiamo alcun problema con Johanna, che è una ragazza a modo (“a nice girl”) e una giocatrice molto promettente. Le auguriamo i migliori successi; solo vorremmo ricevere quanto ci spetta”.
Dal canto suo un portavoce della federazione dice: “Continueremo a supportare sia Johanna che la Sutton Academy. Ma questa è una faccenda tra la Academy e il signor Gabor Konta”.

Johanna diventa a tutti gli effetti britannica nel maggio 2012, ma già da un po’ di tempo, con l’appoggio della federazione, si è spostata a Roehampton, dove ha sede il centro tecnico nazionale, e viene seguita da coach della LTA. Ora però, da inglese, potrà usufruire di wild card nei più importanti tornei nazionali, Wimbledon incluso, e giocare in Fed Cup.

In settembre, quando è 203 del ranking, sembra che le cose si mettano subito bene: esordisce agli US Open 2012 superando le qualificazioni e vincendo anche il primo match del tabellone principale; curiosamente batte proprio un’ungherese, Timea Babos, con la quale in passato ha anche giocato in doppio. Al suo exploit si unisce quello di Laura Robson, ugualmente capace di passare il primo turno.
Nel match successivo Konta si trova avanti 5-2 nel set decisivo contro Olga Govortsova, e pare avere spianata la strada per il terzo turno. Invece al dunque si blocca, subisce un parziale di cinque giochi a zero e finisce per perdere 7-5 al terzo.
Non solo. La sua partecipazione viene oscurata sui media inglesi dalle imprese di Laura Robson: ad appena 18 anni è in grado di sconfiggere Kim Clijsters e poi anche Li Na, con due prestazioni fenomenali che la proiettano al centro dell’attenzione di tutti gli appassionati di tennis.

Tra le ex australiane diventate inglesi la predestinata sembra essere Laura, mentre Johanna viene descritta in modo più prudente; ecco cosa scrive il Guardian: “Il suo gioco non è complesso; si potrebbe perfino definirlo poco spettacolare, però solido. Alla domanda su quali siano i suoi punti di forza, risponde semplicemente: “Penso di essere una buona atleta, credo di avere il fisico adatto per lo sport che faccio”.
In sostanza: pochi trionfalismi, e nessuna particolare aspettativa da parte dei media, maggiormente interessati alle imprese delle più giovani Robson e Watson.

A pagina 2: gli anni difficili con la LTA e il successo lontano dalla federazione

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