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Al femminile

Lo strano caso di Johanna Konta

Dopo più di trent’anni il tennis femminile britannico ritrova una top ten, grazie a una giocatrice che ha cominciato a vincere dopo aver perso l’aiuto della sua federazione

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Prima di chiudere vorrei provare a individuare le ragioni del successo di Johanna Konta, cercando anche di capire perché è avvenuto così tardi, attorno ai 25 anni.
Confesso innanzitutto che non sono mai stato un suo grande fan. A scanso di equivoci: mi riferisco al puro tennis, visto che sul piano del comportamento mi pare una ragazza assolutamente corretta, e anche simpatica. Parlo invece di quanto comunica mentre gioca, e del suo modo di condurre i match. Devo dire che trovo l’osservazione di qualche anno fa del Guardian condivisibile: a mio avviso pratica un tennis piuttosto semplice, quasi basico. Però estremamente solido.
La costanza di rendimento negli ultimi tempi le ha consentito di vincere tanti match. Da lei non mi aspetto la giocata che ti lascia a bocca aperta, o l’invenzione sorprendente; piuttosto un palleggio da fondo condotto con molta concretezza, in cui i colpi sono eseguiti con pressione e profondità, colpi che a lungo andare finiscono per diventare difficile da sostenere.
Ecco Johanna Konta nel 2011:

I maggiori cambiamenti rispetto alla tennista di allora si notano dalla parte del dritto e sono la conferma di quanto ha più volte sostenuto nelle interviste e nelle telecronache Sam Smith, ex giocatrice inglese, oggi commentatrice: il dritto, il colpo che andava in crisi nei momenti di difficoltà, è diventato con il tempo piuttosto solido, tanto da fare di Konta una tennista in grado di spingere con notevole potenza da entrambi i lati, anche se il rovescio rimane più spontaneo e fluido.

Ma il maggiore punto forte a mio avviso è l’efficacia del servizio. Magari non dà l’impressione di travolgere di ace le avversarie, come accade a Serena, oppure a Pliskova quando è in giornata, ma resta il fatto che attualmente è quarta nella classifica WTA degli ace, con 269 in 64 incontri (una media di 4.2 a partita).
Il dato più interessante riguarda però i punti vinti sulla seconda di servizio: nelle classifiche del 10 ottobre 2016 è la prima di tutto il circuito, con il 52,6% di punti vinti. Ricordo che solo cinque altre giocatrici superano il 50% (Keys, Rogers, Garcia, Serena, Halep) e la seconda, Madison Keys, è distante di due punti percentuali, ferma al 50,6. Anche in questo caso: difficilmente una seconda di servizio può diventare un colpo spettacolare, ma si sa che il rendimento sulla seconda è fondamentale per valutare l’efficacia complessiva di un giocatore.

Tutti coloro che hanno avuto la possibilità di starle accanto negli allenamenti (coach, compagne di squadra, tecnici federali) la descrivono come una ragazza estremamente professionale e meticolosa, che si applica senza riserve e con grande costanza. Ecco: unendo queste doti caratteriali alle qualità fisiche di base, si comprende meglio come abbia potuto costruirsi nel tempo e progredire, sino a sfondare ad alti livelli.
E così oggi è diventata una giocatrice che, soprattutto nel gioco da fondo, è molto, molto efficace. Potente e resistente, ma anche mobile, e reattiva a sufficienza per difendere piuttosto bene. Non utilizza molto le variazioni sulla verticale, anche se nel suo tennis c’è un moderato ricorso ai drop-shot, che di solito decide di seguire avanzando a rete.

La sua storia ci dice che forse non disponeva di un talento tennistico straordinario, ma ha saputo costruirsi con il lavoro, progredendo passo dopo passo, e probabilmente facendo il salto definitivo quando ha imparato a gestire i problemi di ansia e di stress che le impedivano di dare il meglio nei momenti chiave delle partite.

Trovo che i suoi tempi di affermazione, in età insolitamente avanzata, la avvicinino ad Angelique Kerber: un’altra tennista che da junior e agli esordi nel circuito WTA non sembrava avere un futuro eccezionale, ma che invece dopo stagioni difficili ha saputo, attorno ai 24 anni, compiere il salto di qualità; inizialmente arrivando fra le prime dieci, poi addirittura ai vertici del ranking.

La realtà si fa beffe delle previsioni: la predestinata Laura Robson ha avuto la carriera duramente segnata da un infortunio al polso, e sta faticosamente cercando di tornare. A me piaceva molto il suo modo di giocare, e se avevo l’occasione seguivo volentieri i suoi match, cercando di capire quanto in alto sarebbe potuta arrivare. Non so chi, invece, qualche anno fa, avrebbe previsto che Johanna Konta sarebbe stata una futura top ten.
Il suo caso ci dice che, così come per Kerber, non bisogna sottovalutare le possibilità di chi è disposto ad applicarsi dando sempre il 100%. In campo come fuori.

Nel 2014 durante il torneo di Eastbourne era stato chiesto a Johanna: “Quanto sei ambiziosa?”
E lei aveva risposto, sorridendo: “Molto. Mi piacerebbe andare sempre più alto”.
(“I’d like to be going higher and higher”).

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