180 secondi con il Direttore: per i tennisti di colore è più duro riuscire ad emergere

Editoriali del Direttore

180 secondi con il Direttore: per i tennisti di colore è più duro riuscire ad emergere

Fra donne e uomini è tutto diverso. Grazie a Serena e Venus Williams e non solo. Donald Young? Un fenomeno: 24 anni con la racchetta in pugno. Frances Tiafoe la speranza

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Spero sia piaciuto anche a voi come a me l’eccellente articolo di Lorenzo di Candia Everyday America: il tennis è ancora uno sport per ricchi (e bianchi). Gli spunti che ha suggerito sono tanti. Fra i tanti ne ho estrapolato uno con l’idea di svilupparlo. Scrive Lorenzo: “Mentre le tenniste sono spesso la categoria meglio retribuita in ambito sportivo, considerando tutte le discipline, i tennisti faticano a posizionarsi fra i primi posti, fatta esclusione per i primi quattro-cinque giocatori”. Certamente lui si riferisce a tenniste come Sharapova, le Williams, ma anche altre “ultra milionarie” come tutte le top-ten. E anche le top 20 e top 30 del tennis, se andiamo a confrontare i loro guadagni con le campionesse degli altri sport, guadagnano molto di più.

Per gli uomini invece non è così: tolti i soliti Fab Four che possono figurare fra gli atleti più ricchi del mondo, tutti gli altri tennisti sono preceduti da tantissimi atleti di altri sport. Anche centinaia. Non solo i Mayweather, i Pacquao, i Tyson della boxe, ma quelli che praticano gli sport di squadra, football americano, basket, baseball, hockey su ghiaccio, calcio. E anche i campioni del golf che possono godere di 3 circuiti diversi. I modesti guadagni, decisamente minori rispetto ad altri sport e difficilissimi da conquistare perché il tennis è sport individuale, costosissimo e che va cominciato da piccolissimi, sono il motivo principale per cui il tennis non ha sfondato negli Stati Uniti -ma anche altrove, Africa ad esempio – fra le popolazioni di colore.

Ero al mio secondo Wimbledon, quando mai avrei immaginato che di Championships ne avrei seguiti 43 di fila. Era l’ anno del Signore 1975. Arthur Ashe dominò il superfavorito Jimmy Connors, campione in carica, giocando un match di straordinaria intelligenza tattica, e tanto più straordinaria in quanto Arthur era fino ad allora considerato soprattutto un tennista istintivo, poco ragionatore, capace di giocare colpi secchi ed esplosivi, ma mai intravisto fino ad allora quale tessitore di trame più sofisticate. Vinse trasformando il suo tennis, solitamente un tennis -parafrasando le azioni della boxe – un uno-due e la sua caratteristica frustata di rovescio in una sequela di pazienti rasoiate, slice ed incrociate, con quelle Slazenger che si acquattavano, proprio non si alzavano dall’erba verdissima e maligna di quei giorni e finivano immancabilmente sul lato del dritto mancino di Jimbo, basse basse, quasi nelle stringhe. Non riuscì a trovare la soluzione per tirarle su, l’irriducibile Jimbo.

Per la prima un tennista di colore – e che grande, grandissimo uomo! – trionfava all’All England Club com’era riuscita nel biennio ’57-’58 soltanto ad un’altra tennista della sua stessa razza, Althea Gibson. Ma da allora, da quel 1975, soltanto Michael Chang, campione a sorpresa nell’89 e di nuovo finalista nell ’85 a Parigi e poi Mailvai Washngton, finalista a Wimbledon 1996, sarebbero stati i soli uomini non bianchi capaci di raggiungere le fasi finali di uno Slam.

Come si spiega?

Fra le donne, proprio perché altri sport non consentono loro di sognare fortune multimilionarie, l’avvento delle due sorelle Williams – dopo il duo Garrison-Mc Neil dgli anni Novanta – avrebbe smosso un tantino le acque, anche se non come avrei pensato. È un fatto che oggi Madison Keys e Sloane Stephens, e tante ragazze cinesi ispirate dalla Li Na, e giapponesi da Kimiko Date (Misaki Doi, Naomi Osaka…), occupano posizioni anche non secondarie fra le top 100. Fra gli uomini invece, dopo James Blake ritiratosi nel 2003, soltanto l’ex promessa junior Donald Young e ora la nuova promessa Frances Tiafoe sono top100. Ma non ai vertici sebbene io speri che Tiafoe possa salire più si Young il quale, tuttavia, per me è un fenomeno.

Le ragioni di tutto ciò, oltre che nei tanti soldi che si potrebbero guadagnare diventando top-player, stanno in diverse circostanze. La prima: i college americani che competono nelle gare di tennis offrono otto borse di studi alle ragazze che fanno parte di ogni team. Non è così per ragazzi invece. Un buon college americano costa anche più di 100.000 dollari l’anno. Per i genitori delle ragazze è un discreto incentivo ad avviarle al tennis che, altro fattore, è negli USA il terzo sport più popolare fra le donne. Gran merito di Billie Jean King e Chris Evert, prima che delle Williams che comunque hanno stimolato molte ragazze afroamericane ad abbracciare il tennis. Pensavo, per la verità, che sarebbero state anche di più.

All’ultimo US Open Scoville Jenkins, un ragazzo di colore che 12 anni fa, nel 2004, fu il primo nero a vincere i nazionali under 18, ci ha raccontato: “Era quasi imbarazzante per me a scuola dire che io non giocavo a football o a basket. Mi guardavano strano, quasi fossi matto, o uno snob, quando dicevo che io preferivo giocare a tennis”. E Rodney Harmon, altro nero dal gran servizio che è stato attorno alla sessantesima posizione ATP – oltre che protagonista di una scappatella amorosa con Chris Evert, peraltro mai ufficialmente confermata da quella birichina – ha spiegato: “Non basta il talento, la coordinazione, il fisico ad un nero: serve anche la voglia di viaggiare in un ambiente assolutamente diverso a quello nel quale sei cresciuto per trovarti spesso solo, unico nero fra tutti ragazzi bianchi. Se non sei molto forte di testa, autonomo e indipendente, soffri troppo per emergere”.

Concludo io per ricordare a quei pochi che non lo sapessero che il tennis è uno di quei rari sport per i quali quindici anni di sacrifici, di duri allenamento con tante privazioni, spesso non bastano. Quindici anni da solo contro tutti, come ad esempio è toccato di fare all’ex numero uno del mondo junior Donald Young, circondato da incredibili aspettative dacchè quindicenne esordì all’US Open essendo già il n. 1 del mondo junior con tre anni di anticipo.

E’ dura, molto dura, quasi impossibile. Per questo ragazzi, io considero Donald Young (best ranking n.38, oggi n.82 a 27 anni) molto più fenomeno di tanti altri. Ha cominciato a giocare a …3 anni, dice una sua biografia. Non saranno stati tutti sacrifici, però 24 anni con la racchetta in mano è sempre tanta roba

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