La silenziosa ambizione di Andy Murray, il cavaliere oscuro

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La silenziosa ambizione di Andy Murray, il cavaliere oscuro

Come il protagonista dei film di Christopher Nolan, Andy Murray si è nascosto nell’oscurità, aspettando il momento giusto per riemergere. E ora la prima posizione mondiale è sempre più vicina

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Costantemente bastonato nelle fasi decisive dei tornei più importanti dal suo gemello serbo che fa tutto come lui ma un pochino meglio. In lotta per la seconda posizione del mondo fino all’ultimo contro un re svizzero che non ne voleva sapere di abdicare e di arrendersi all’inesorabile avanzare dell’età. Costretto ad “accontentarsi” di diventare l’idolo di una nazione che ha inventato questo sport ma che da decenni non sapeva più come vincerci. Così avevamo lasciato Andy Murray a fine 2015 e così pensavamo di ritrovarcelo a fine 2016.

Non avevamo fatto i conti con la silenziosa ambizione di quel pallido ragazzo dall’andatura ciondolante nato a Dunblane il 15 maggio del 1987. Quella che da piccolino, quando in Gran Bretagna già dominava i pari età, lo ha spinto a fare armi e bagagli per andare ad allenarsi all’accademia Sanchez-Casal di Barcellona. Quella che a soli diciannove anni gli ha permesso di conquistare il suo primo torneo ATP a San José battendo due ex n.1 al mondo come Andy Roddick e Lleyton Hewitt. Quella che nel 2012, quando già era un protagonista del circuito ma non aveva ancora vinto uno Slam, gli ha suggerito di smetterla di lamentarsi durante i match e assumere come coach il severo Ivan Lendl per affermarsi definitivamente. Quella che, in fondo, gli ha dato il coraggio di rimpiazzare lo stesso Lendl con Amelie Mauresmo, donna e dichiaratamente gay.

C’eravamo dimenticati di questo sacro fuoco. A dir la verità, lui non ha fatto niente per ricordarci della sua esistenza. Il cavaliere oscuro Murray si è rinchiuso nelle tenebre della Batcaverna ad attendere che la sua nemesi belgradese scendesse dalle nuvole e che il presunto “greatest of all time” di Basilea si inginocchiasse di fronte al divino crono. Dopo aver perso l’ennesima finale contro Nole a Madrid, si è reso conto che la nuova “Alfred” non lo stimolava a sufficienza e che bisognava tornare a quello vecchio, quello che gli ha fatto vincere la medaglia d’oro olimpica a Londra e Wimbledon, quello con il quale si è trasformato in un supereroe insomma. Nel frattempo Federer passava più tempo dal fisioterapista che sul campo da tennis ma Djokovic continuava a mietere vittorie, completando addirittura il Career Grand Slam sul leggendario Philippe Chatrier di Parigi.

Il guardiano della notte scozzese però, circondato dall’ombra e dallo scetticismo degli addetti ai lavori, non ha mollato, sapendo che il momento propizio per tentare di ripulire il circuito ATP dal dominio del manigoldo balcanico sarebbe arrivato. E alla fine l’occasione giusta è giunta per davvero. Infatti il “Joker”, resosi conto che ormai non aveva nessuna nuova cassaforte da far saltare in aria, è andato in confusione, come se fosse stato privato della sua ragion d’essere. Murray è così piombato a fari spenti sulla seconda parte di stagione, ristabilendo innanzitutto l’ordine nel suo giardino di casa e, successivamente, nelle favelas di Rio addobbate a festa. Dopo una trasferta americana interlocutoria, in cui personaggi di contorno sono balzati agli onori della cronaca, il britannico, di nero vestito, si è presentato in Cina, ormai da anni teatro delle scorribande del suo antagonista. Ma questa volta le cose sono andate diversamente. Nole ha confermato di non essere più infallibile e il figlio prediletto di mamma Judy ha avuto gioco facile nell’imporsi anche nella terra degli imperatori, prima a Pechino e poi a Shanghai.

Ora Murray è sempre più vicino all’obiettivo che non ha mai raggiunto e che tutti noi, diciamocelo francamente, solo dodici mesi fa pensavamo non avrebbe mai potuto raggiungere, ovvero diventare il miglior tennista del mondo. Perdonaci Andy, abbiamo commesso un macroscopico errore: sottovalutare la silenziosa ambizione del cavaliere oscuro.

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