London Calling, Novak Djokovic: la rabbia e l’orgoglio

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London Calling, Novak Djokovic: la rabbia e l’orgoglio

I profili degli otto qualificati, il n.2. In cinque mesi il campione serbo è passato da dominatore assoluto a giocatore in piena crisi. Ma il quinto sigillo di fila alle Finals di Londra è più che possibile

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5 giugno 2016, Parigi, Porte d’Auteuil, Campo Philippe Chatrier. Novak Djokovic alza al cielo di Parigi il suo primo Roland Garros. La conquista del Career Grand Slam coincide col dodicesimo Major. Giornalisti e tifosi assistono al dominio incontrastato del tiranno di Belgrado, i primi riverenti e acritici (del resto cosa gli si può dire?) verso colui che ormai nulla separa dal Grande Slam, i secondi divisi fra i trionfali supporter e i depressi detrattori, questi ultimi ormai rassegnati a vedere i rispettivi idoli Federer e Nadal superati nel numero di Slam vinti.
4 novembre 2016, Boulevard de Bercy, Palais Omnisports di Parigi-Bercy: con la sconfitta ai quarti di finale per mano di Marin Cilic, il serbo è destituito. Andy Murray diventa il nuovo n.1 del mondo il giorno dopo, quando Milos Raonic non scende nemmeno in campo, ma è chiaro a tutti che era solo questione di tempo. Il mondo del tennis scaraventa Nole fuori dal palcoscenico. Il brutto anatroccolo scozzese è finalmente diventato cigno e per la stampa non c’è più né lo spazio né il tempo per curarsi del suo predecessore, ormai bollito e da cinque mesi lontano dalla vittoria, a parte Toronto, unica eccezione del suo percorso involutivo che l’ha visto perdere ogni cosa che c’era da perdere.

La calda e assolata Parigi che aspettava l’estate adagiata sulle rive della Senna applaudiva festante il Re balcanico, mentre varcava l’Arco di Trionfo e gli Champs Elysees tra due ali di folla oceaniche che ripetevano il suo nome. La fredda e tetra Parigi che attende l’inverno celebra il nuovo Re britannico e ha ormai dimenticato quel serbo che ora si trascina a stento, solo e disorientato, per le fredde e lugubri vie attorno a Notre-Dame, accompagnato solamente da solitudine e oscurità.

I tifosi di Andy, dopo quasi una decade di bocconi amari e sfottò da parte del resto della galassia tennistica, vivono il loro meritato momento. I supporter di Roger e Rafa non hanno molti motivi per sorridere, ma almeno possono tirare un enorme sospiro di sollievo: l’Orco dei Balcani non ha oscurato l’aurea del loro campione e ormai è un lontano ricordo.

Così potrebbe partire un articolo che farebbe imbufalire i tifosi di Djokovic e magari, proprio per le sue improbabili iperboli che lo rendono inverosimile, aprirebbe gli occhi ai molti che oggi vedono quasi finito uno che fino a metà stagione sembrava semplicemente invincibile. Vero, a determinate quote, le pressioni dentro e fuori dal campo sono talmente elevate che un vistoso calo di rendimento può risucchiarti in un pesante vortice involutivo. Dopo tante vittorie e l’agognata conquista dell’ultimo Slam ancora non in bacheca, peraltro, Novak potrebbe considerarsi appagato, tanto più ora che la vita fuori dal campo gli ha riservato la gioia della nascita di un figlio. Viene in mente quella frase di Enzo Ferrari, per il quale “un pilota perde un secondo a ogni figlio che gli nasce”.  Nel tennis non si rischia la vita come in Formula 1, ma gli sportivi sono uomini come tutti, col tempo emergono priorità che escono dai quattro lati del campo.

Tutto vero, ma Novak Djokovic è un campione. Di più, uno che nel tennis ha già raggiunto l’immortalità. Chi la raggiunge ci mette molto prima di sentirsi appagato. Soprattutto, non può difettare in orgoglio. Da mesi Nole sente dire che da quell’inopinata sconfitta contro Sam Querrey a Wimbledon non si è più rialzato. È andato a Rio motivatissimo ed è subito tornato a casa. È arrivato in finale a New York e ha offerto una resistenza quasi nulla al miglior Wawrinka. Quell’autunno che l’ha sempre visto dominatore nelle ultime stagioni ora l’ha visto raccogliere le briciole. Nel frattempo Andy Murray ha offerto una continuità di rendimento spaventosa, senza scoraggiarsi dal quarto di finale perso agli US Open contro Nishikori, fino a strappargli il n.1 del ranking ATP. Insomma, un modo più mesto per arrivare alle Finals di Londra non poteva esserci. Proprio per tutto questo, è legittimo aspettarsi un Djokovic motivatissimo al Masters. Al di là di chi chiuderà al n.1 il 2016, vincere il quinto titolo di Maestro quando tutti si aspettano l’ultima impresa di Murray avrebbe il sapore della rivincita. Non contro Andy, ma contro tutti quelli che ne hanno decretato troppo frettolosamente la fine o quanto meno l’inizio della parabola discendente della carriera. Con un vantaggio in più, del tutto imprevisto per uno che ha appena perso il vertice del ranking. Non avere, paradossalmente, nulla da perdere. Dovesse incappare nell’ennesima delusione degli ultimi cinque mesi, cosa cambierebbe? Tutti aspettano l’Australian Open per capire se davvero si può parlare del suo tramonto. Tesi quanto meno ardita se si parlasse del fresco vincitore del quinto Master consecutivo.

Il Djokovic di oggi scende comunque in campo da n.2 ed è in effetti il secondo favorito del torneo, ma oggi potrebbe perdere da ognuno degli 8 partecipanti. Cilic l’ha appena battuto ai quarti di Parigi-Bercy, per la prima volta in carriera dopo 14 sconfitte. Come il croato, i giocatori che da lui hanno sempre perso hanno ora la possibilità di ottenere il suo scalpo per la prima volta: Thiem (sotto 3-0 nei precedenti), ma soprattutto avversari di lungo corso come Monfils (13-0) e Raonic (7-0) scenderanno in campo contro di lui con la consapevolezza di poter vincere, a maggior ragione Nishikori (vittorioso nella semifinale US Open 2014 e nella lontana Basilea 2011, ma sconfitto nelle ultime 9 sfide) e Wawrinka (spauracchio di Nole negli Slam con le finali di New York 2016 e Parigi 2015 e i quarti di Melbourne 2014, oltre alle lontanissime – e poco significative – vittorie del 2006 a Umago e Vienna). Ecco, soffocare sul nascere questi assalti nel quinto torneo più importante dell’anno sarebbe un segnale importante, specie se confermato da un’eventuale vittoria in finale contro Murray, in quello che sarebbe l’unico confronto dell’ultimo periodo tra i due protagonisti del 2016, vinto nel caso da Novak proprio quando il migliore è Andy.

Infine, il sorteggio amico e la formula del torneo possono davvero essere preziosi nella situazione di difficoltà psicofisica attuale. Non dover affrontare nessuno tra i tre avversari più forti (oltre a Murray, Wawrinka e Nishikori) e potersi permettere il lusso di perdere una partita consente a Djokovic di avvicinarsi alla fase finale procedendo per gradi, un passo alla volta. La forte carica motivazionale, unita a una buona dose di rabbia per tutto quello che è successo negli ultimi tempi (sconfitte in serie, perdita del trono e secondo molti della fiducia, fino alle chiacchiere sulla serenità coniugale e sul famoso guru Josè “Pepe” Imaz), potrebbe infatti risultare un’arma a doppio taglio se Novak si facesse prendere dalla fretta di spaccare tutto, di mostrare al mondo da un giorno all’altro che è sempre lui, quello che l’anno scorso ha vinto per la seconda volta in carriera 3 Slam su 4.

Insomma, pur con tutti i limiti mostrati da Wimbledon in poi, sarebbe davvero sorprendente non ritrovarsi un Nole che chiude la stagione, se non col successo alle Finals, con la sensazione di essere ancora Novak Djokovic.

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