Stanchezza da Masters, ora conta l'orgoglio (Bertolucci). Murray e Djokovic, adesso il mondo ne vuole uno solo (Cocchi). Il numero 1 è di casa dai Murray (Marcotti). La bella evoluzione del pallettaro, Murray sempre più travolgente (Azzolini). Murray, il piglio del nr.1, ora c'è Raonic (Clerici). Le leggende del tennis si danno battaglia a Bari (Longo)

Rassegna stampa

Stanchezza da Masters, ora conta l’orgoglio (Bertolucci). Murray e Djokovic, adesso il mondo ne vuole uno solo (Cocchi). Il numero 1 è di casa dai Murray (Marcotti). La bella evoluzione del pallettaro, Murray sempre più travolgente (Azzolini). Murray, il piglio del nr.1, ora c’è Raonic (Clerici). Le leggende del tennis si danno battaglia a Bari (Longo)

Pubblicato

il

 

Stanchezza da Masters, ora conta l’orgoglio (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Nell’arco di una stagione agonistica i migliori giocatori del circuito disputano 60/70 partite, qualcuno arriva addirittura a 80, come il Murray di queste Finals. Solo in rare occasioni, però, scendono in campo in piena efficienza ed esprimono il massimo potenziale. II servizio atterra preciso negli angoli, la racchetta risponde alla perfezione ai comandi, i piedi frullano sul terreno a pieno regime e i riflessi captano con anticipo le intenzioni avversarie risultando praticamente imbattibili. Quasi sempre, invece, accusano qualche problema fisico, dolorini che ne limitano il rendimento e rendono difficile la concentrazione. A rendere ancor più ostico il compito può esserci il sole, il caldo o addirittura il fastidioso vento che cambia le traiettorie e limita la precisione dei colpi. Ecco allora che la rete appare più alta del solito, il rettangolo avversario si restringe, le gambe sono pesanti e i movimenti perdono di fluidità. E’ in queste situazioni, o alla fine di una stagione massacrante e quindi durante 11 torneo che la chiude, il Masters appunto, che si vede la differenza tra un buon giocatore e un campione. Pur limitati nel rendimento, i fenomeni riescono a gestire la situazione e a garantire un discreto rendimento anche se sono privi delle loro armi migliori. Mettono in campo altre doti che esulano dal fisico e dalla tecnica: mi riferisco all’ardore agonistico, alla determinazione, alla rabbia, al cuore e all’orgoglio che insieme alla classe (cioè l’abilità di elevare l’asticella nei punti importanti) consentono loro di arrivare comunque al successo

 

Murray e Djokovic, adesso il mondo ne vuole uno solo (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Corrono su binari paralleli come due treni ad alta velocità. Andy Murray e Novak Djokovic procedono rapidamente verso la finale del Masters. C’è tanto in ballo tra i due, c’è la questione più importante, c’è lo scettro del tennis da giocarsi. E succederà già a partire da oggi, dalle semifinali che non li vedranno scontrarsi uno contro l’altro, ma che potrebbero già decretare chi sarà il numero 1 del mondo di fine stagione. Eh già, perché da oggi chi andrà più avanti nel torneo sarà re. Djokovic, per riguadagnare il trono che gli è appartenuto fino a due settimane fa, dovrà vincere il torneo, oppure gli basterà arrivare in finale battendo oggi Nishikori, purché Murray venga fermato da Raonic in semifinale. E se si ritroveranno in finale, il vincitore prenderà lo scettro di fine anno. PICCHIATORE Andy, che ieri si è sbarazzato abbastanza velocemente di Stan Wawrinka, campione dello Us Open a settembre e arrivato alla O2 Arena col fiato un po’ corto, oggi affronta il gigante canadese allevato da Riccardo Piatti. A dispetto del viso angelico, il 25enne nato a Podgorica è un bel picchiatore, e con i suoi servizi oltre i 200 orari può mettere in difficoltà anche un grande esperto della risposta come lo scozzese: «Contro Stan all’inizio ero un po’ stanco — ha detto Murray dopo l’ultima partita del round robin — perché le tre ore e passa contro Nishikori mi sono pesate abbastanza. In più lui picchiava forte e per un po’ mi sono preoccupato. Poi ho iniziato a cercare delle opportunità e sfruttarle, così ne sono uscito». Lo stesso dovrà fare oggi contro Milos, metterlo in crisi:-«Lui ha un servizio micidiale — ha spiegato ancora il n.1 — ed è anche capace di grandi colpi, in più sa scendere a rete quando ne ha la possibilità. Poi la superficie quest’anno è molto veloce e questo lo mette a suo agio. Dovrò essere bravo nel ribattere e crearmi l’opportunità di fare il mio gioco, quando ci sono riuscito (vedi la finale di Wimbledon, ndr)l’ho battuto». SORPRESE Novak Djokovic non ama le sorprese, soprattutto se riguardano i suoi risultati: «Penso che potrei tranquillamente tornare subito numero 1 al mondo e questo non sarebbe una sorpresa, per me. Sto giocando meglio, mi sto riprendendo e qui a Londra mi sono sentito sempre molto a mio agio». Non vuole sentire parlare di stress, o del suo momento di flessione: «Siamo tutti esseri umani — ha detto il Djoker, ultimamente un po’ teso nei rapporti con la stampa — non è la prima volta  che ho passato periodi difficili e non sarà nemmeno l’ultima». Di sicuro Nole si presenterà in campo contro Nishikori abbastanza riposato, ha giocato l’ultima volta giovedì contro Goffin e il match è stato rapido e indolore, quasi un allenamento. Anche il pupillo di Michael Chang non ha vissuto l’ansia da qualificazione: la vittoria pomeridiana di Murray lo aveva aritmeticamente qualificato per la semifinale. FAMIGLIA Intanto a Londra c’è l’intera famiglia Murray a far festa, mamma Judy insieme ai genitori è venuta ad applaudire i suoi numeri uno. La realizzazione di un sogno cullato e poi plasmato, se non addirittura forgiato, con le sue mani. Oltre al numero 1 di Andy in singolare, c’è quello di Jamie in doppio con Bruno Soares. Il fratello maggiore del due volte campione di Wimbledon, infatti, ha conquistato la leadership della classifica di specialità. Quanto tempo è passato da quando i due facevano a gara di qualunque cosa, e ora eccoli a celebrare insieme un primato conquistato e uno da difendere: «Sono molto orgoglioso di Jamie — ha detto Andy — l’anno è stato fantastico per entrambi. E’ chiaro che speriamo di chiuderlo nel migliore dei modi e… c’è anche una possibilità concreta che non accada. Scherzi a parte, comunque finisca, saremo sempre molto orgogliosi dei risultati che abbiamo raggiunto come famiglia». Mamma Judy ha già lo champagne in fresco.

 

Il numero 1 è di casa dai Murray (Gabriele Marcotti, Il Corriere dello Sport)

Le ATP Finals scorrono verso l’epilogo più scontato, non meno che atteso. La finale tra i due contendenti allo scettro di numero 1 al mondo. Tre vittorie per Novak Djokovic nella fase a gironi, altrettante per Andy Murray che ieri si è sbarazzato con autorevolezza anche di Stan Wawrinka. Una vittoria di slancio, in due set, nonostante la maratona di più di tre ore di mercoledì contro Kei Nishikori. «Stan ha iniziato alla grande, ha avuto un paio di opportunità sul mio servizio, ma superate le difficoltà iniziali, ho servito meglio, senza più soffrire troppo negli scambi». Oggi nella prima semifinale lo attende Milos Raonic, sul quale conduce 8 a 3 negli scontri diretti (oltre a due ritiri del canadese). E dal 2014 che lo scozzese non perde contro l’avversario di giornata, superato negli ultimi sette confronti. «Sarà una gran partita, Milos serve fortissimo, e penso che gli piacciano queste condizioni di gioco perché la superficie è rapida. E’ difficile crearsi delle opportunità con lui, ma quando ci ho giocato quest’anno ho sempre fatto bene. Milos più riposato? Non penso, a questo punto della stagione siamo tutti ugualmente stanchi». In caso di sua vittoria del torneo, domani sarà festa grande in casa Murray. Non solo perché Andy si sarà così assicurato di chiudere la stagione al primo posto del ranking. Ma anche perché nel frattempo lo stesso risultato lo ha raggiunto suo fratello Jamie, nella classifica di doppio, in coppia con Bruno Soares. Due fratelli ai vertici del tennis mondiale, un evento senza precedenti. «Hanno disputato una stagione incredibile, vincendo anche uno Slam. Nè Jamie né Bruno ci erano mai riusciti. Si completano alla perfezione, e hanno giocato benissimo i tornei importanti. Se lo meritano, anche qui hanno già raggiunto la semifinale». Si annuncia un fine settimana magico per la famiglia scozzese. «In verità tutto l’anno è stato fantastico per entrambi e potrebbe finire alla perfezione, anche se non si può mai sapere. In ogni caso saremo orgogliosi». L’altra semifinale, quella serale, vedrà di fronte Djokovic contro Nishikori. Il serbo conduce gli head to-head 10 a 2, e ha vinto le ultime nove partite, compresi i due match disputati nelle ultime due edizioni del Torneo dei Maestri. E ormai da più di due anni, dagli US Open 2014, che il giapponese non riesce a battere Nole.

 

La bella evoluzione del pallettaro, Murray sempre più travolgente (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Pallettaro può darsi. Difficile dar torto ad Adriano Panatta, quando definisce così il Murray numero uno, se non altro per rispetto a un tennista che dei pallettari Anni Settanta è stata la Nemesi. Ma pallettaro di che tipo, lo scozzese? È bene chiederselo, dopo i contrappunti combinati offerti nella prova di ieri con Stan Wawrinka, in una esibizione di musica da tennis che da un po’ non si vedeva, e tale da annichilire il povero Stanimal. Peggio, tale da rimbalzarlo indietro di mesi. Finirà numero 4, o 5, lo svizzero, accasciato sulla poltrona che abitava prima del maestoso Us Open strappato a Djokovic. Murray, in un pomeriggio da “sei quattro sei due” gli ha cancellato tutti i benefits di quella formidabile impresa. Un Sublime Pallettaro, verrebbe da dire, sempre ammesso che nella classificazione che andiamo tentando sia accettabile quello che a tutti gli effetti suona come un ossimoro. Via, diciamocelo: bello il pallettaro non è mai stata. Si arcigno, indisponente, provocatorio, e certo anche generoso e combattente. E invece Murray è anche bello. Non solo evoluto, o specializzat0. Bello negli impatti sempre pieni sulla palla, nel servizio che davvero non è quello di certi terraioli di un tempo, tipo un Solomon o un Dibbs, non a raso ribattezzati dalle nostre parti (Roma, entro le mura Aureliane) il sordo e lo gnomo. Bello nel disporre non solo una muraglia a fondo campo (tutti i pallettari sono un po’ anche ingegneri), ma renderla in qualche modo mobile, mutante, verrebbe da dire addirittura intelligente. Uno che non aspetta solo che il Wawrinka di turno, esasperato, cacci la palla in rete, ma che lo aiuta un po’ alla volta a comprendere come il farlo sia la cosa migliore per lui. Ci credereste? Abbiamo avuto quasi l’impressione, ieri, che Wawrinka fosse felice di sbagliare, pur di liberarsi della tensione e delle tossine accumulate. Così, Murray prosegue il cammino, che sin qui è stato da vero numero uno. Ovvio che il match con Wawrinka fosse il più insidioso. Era il numero tre, lo svizzero, almeno fino a qualche ora fa. Ma il curioso di questa vicenda è che Murray troverà in semifinale un altro numero tre, il nuovo, e non ancora ufficializzato dal ranking. Milos Raonic. Ce ne sono altri in giro di numeri tre? Sì, forse uno, Nishikori. Ma solo se andrà in finale. L’accesso alla semi gliel’ha offerto Murray stracciando Wawrinka. Sarà il giapponese l’ultimo test per Djokovic prima dei 100 finali. La gara che deciderà a chi andrà il trofeo con il numero uno in argento che l’ATP da qualche tempo mette in palio. E riprendiamo in mano la tabellina. Wawrinka si ferma a 5.315 punti. Raonic è già a 5.450, terzo, ne potrà aggiungere 400 per la finale e 600 per la vittoria. Nishikori è a 5.105, quinto al momento. Ma terzo se dovesse battere Djokovic, e Raonic cadere con Murray. Ipotesi possibile? Difficile, comunque. Nei testa a testa il serbo è avanti 10-2, Murray conduce 8-3 su Raonic, con cui non perde da 7 confronti filati. Siamo agli ultimi due giorni del Master e restano tre match per decidere i primi quattro in classifica. Se vi pare poco

 

Murray, il piglio del nr.1, ora c’è Raonic (Gianni Clerici, La Repubblica)

La fabbrica del tennis ha prodotto le due semifinali, Murray contro Raonic, e l’altra, Djokovic contro Nishikori, comunque termini il match tra il giapponese e Cilic. Spero che il lettore sia in grado di capirlo, perché lo scriba ha dovuto chiedere conferma a un raccattapalle, un bambino di nove anni, prima di avventurarsi in simile, insolita affermazione. Quel che mi ha impressionato è stato l’atteggiamento di Murray che ha dominato Wawrinka 6-4, 6-2. Un atteggiamento mutato, dagli abituali infuriati monologhi che qualsiasi regista avrebbe sconsigliato a un suo attore drammatico. Murray era ben noto per le smorfie, gli spasmi facciali, oltre i limiti del rictus, lo scoraggiamento infantile, il digrignar dei denti. Ad un certo punto del felice match contro Stan Wawrinka, l’ho visto sorridere. Non sorrideva né di se stesso, e nemmeno dell’avversario. Era un sorriso buono, quello che tutti noi siamo in grado di dedicare a chi faccia qualcosa di inatteso. Il sorriso, totalmente privo di irrisione, era diretto a Wawrinka che aveva appena spezzato la sua racchetta. Simile vicenda si verificava sullo 0-3 nel secondo set, a svantaggio dello svizzero, che andava giocando una partita ineguale, alternando qualcuno dei suoi splendidi gesti ad errori insoliti per chi, come lui, è imbattibile nell’eleganza. Era stato allora che Stan non si era trattenuto da quello che – sicuramente – rappresenta un trasferimento di responsabilità, un tentativo di dichiarare la racchetta colpevole al posto nostro. Tentativo talmente irrazionale che lo stesso Wawrinka se ne rendeva conto, raccogliendo i frammenti dell’arma, e andando docilmente a gettarli nel più vicino bidone dei rifiuti. Vecchio scriba che sempre più spesso si sbaglia, contavo di assistere ad una sorta di finale anticipata del torneo, al match di maggiore importanza, e sicuramente di maggior qualità, prima della finale autentica, che immagino, salvo incidenti, tra Djokovic e Murray. Avevo verificato i risultati dei match precedenti, nove vittorie a sette dello scozzese sullo svizzero che mi consentivano di dubitare del risultato previsto dai bookmakers a favore di Murray. Avevo ammirato l’inizio, con l’abituale gestualità di Wawrinka, che cercava il punto vincente, non solo sui rimbalzi, ma con la superiore velocità e lunghezza. E avevo apprezzata la viva regolarità di Murray, e soprattutto i suoi cambiamenti di rotazione. Proprio questo, le palle che giungevano ora liftate, ora tagliate, ora addirittura piatte, aveva aumentato la percentuali negative di Stan, che, nel settimo game, subiva un primo break che non sembrava decisivo. Appariva invece, issata sicuramente da un conoscitore, la croce bianca su sfondo blu di Sant’Andrea, la Saltire flag e, da quel momento, addirittura io comprendevo che Andy avrebbe vinto. Vado ora ad assistere a un’esibizione tra Nishikori e Cilic, un match che mai dovrebbe esistere in un torneo di tennis, in cui si vince o si perde. Erano queste le antiche regole, dal 1400, vergognosamente contraddette dal cosiddetto Masters

 

Le leggende del tennis si danno battaglia a Bari (Roberto Longo, La Gazzetta del Mezzogiorno)

Si sono fatti attendere alla stregua di una sposa destinata all’altare ma quando i quattro big che oggi e domani allieteranno gli appassionati de «La Grande Sfida» hanno fatto ingresso nella sala stampa che li avrebbe presentati alla città di Bari tutti, nessuno escluso, sono scattati all’unisono in un lungo e coinvolgente applauso. La Grande Sfida è iniziata così. Perchè «Superbrat», il mancino terribile del tennis che fu che risponde al nome di John McEnroe, l’istrionico francese Henri Leconte, l’affascinante vikingo Thomas Enqvist, divenuto in men che non si dica il preferito in quota femminile, ed una vecchia conoscenza del pubblico barese, l’austriaco Thomas Muster, nel capoluogo vincitore più di tre decenni addietro, tutti insieme a portata di selfie non si erano mai visti da queste parti. L’emozione iniziale ha lasciato il posto alle domande degli addetti ai lavori. Cosa ricorda di quel successo? La prima domanda rivolta a Muster: «Mi chiedo ancora oggi perchè quel torneo sia finito così presto, perchè lo avete interrotto?» la risposta di un Muster in tuta, con la barba di qualche giorno ma sorridente. Subito dopo è la volta del mancino americano al quale un cronista irriverente chiede se il broncio faccia parte del personaggio: «E’ una domanda?». Risponde senza fare una piega l’ex numero uno al mondo che nell’applausometro divide la scena con l’altro mancino Henri Leconte. Insieme a quest’ultimo il più rilassato è il bel Thomas Enqvist, gli chiedono se ha mai incontrato l’austriaco in carriera. Dice di si, «soprattutto adesso che sono in pensione» ma quello di oggi, appunto il secondo match del programma odierno, promette scintille tra i due ex top-player dalle caratteristiche tecniche assai simili. Tra una smorfia e l’altra Henri Leconte attende diligentemente il suo turno e quando gli chiedono quale tattica metterà in campo oggi contro l’americano sgrana gli occhi suscitando l’ilarità generale: «Dovrò giocar bene, giocare un buon tennis, dovrò impegnarmi a fondo cercando di capire innanzitutto le intenzioni del mio avversario, ma mi dovrò davvero impegnare a fondo…». L’ultimo passaggio è per «The Genius» al quale viene posto l’annoso quesito sul miglior tennis di sempre: «Penso che le differenze stiano tutte nei differenti materiali, avevamo racchette diverse e il gioco era meno veloce. Mi piacerebbe giocare con gli attrezzi di oggi e far giocare i campioni di questa epoca con le nostre racchette in legno: ne vedremmo delle belle». L’eleganza della conduttrice, Nicola Virgintino, traghetta l’incontro aura-verso i doverosi saluti alla madrina del tennis azzurro, Lea Pericoli, ospite d’onore a Bari. E’ il momento dei saluti, ora si passa al tennis giocato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement