Karlovic, l'antid-Ivo che non poteva essere eroe

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Karlovic, l’antid-Ivo che non poteva essere eroe

La finale di Davis vista con gli occhi dello sconfitto. Il gigante buono che non poteva trasformarsi nell’orco cattivo

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Più su. Più in alto. E poi, di colpo eccomi qua, sarei arrivato io in vetta al sogno mio. E poi, più in alto e ancora su, fino a sfiorare Dio. E gli domando: “Perchè mi trovo qui?”.

Ma si, cosa ci faccio io qui, in questa arena tra tifosi urlanti e impazienti? La storia, la leggenda, la vita. Mi dicono anche che in tribuna ci sia un pazzo scatenato  che una volta ha segnato un gol con la mano dicendo che era stata la mano del Signore e che poi per ripicca aveva messo a sedere dieci avversari.

Dicono che stia facendo segno che noi croati ce la stiamo facendo sotto. Eh, certo che ha ragione. Bel regalo mi ha fatto Marin, davvero. Cosa dovrei fare io adesso? L’eroe della Patria?

Mi hanno sempre dipinto come un gigante, come se la grandezza di misurasse solo nei 211 centimetri del mio corpo. Hanno detto che sono uno da tiro al piccione, che oltre al servizio non so fare nulla: provateci voi a svolazzare come un canarino con le ali di un fenicottero.

Poi però adesso “devo”vincere, perché in fondo di là c’è uno che se la fa sotto più di me, hanno già perso tante volte. In tv scherzano anche sul mio nome, che simpatici, Ivo  non è cattivo, Ivo è un diminutivo. Che fantasia.

Che poi devo dirlo, un po’ sono contento per Delpo con tutto quello che ha passato. Lo capisco benissimo, io. Non si ricorda nessuno che in fondo anche io stavo quasi per morire. E’ così bello essere di nuovo in campo, è così bello essere di nuovo qui.

Oddio, proprio qui no. C’è tutta questa gente vestita come me, tutti spettatori che, davvero, vogliono che io viva quel sogno che non osano vivere loro.

Ma che ne sanno loro? Lo sanno che ho anche paura a parlare? Beh, poi ho scoperto twitter: che bello, posso fare battute senza parlare! Una volta a Parigi una ragazza italiana che forse a stento mi arrivava all’anca mi chiese un’intervista.

A me? Terrore vivo, balbettavo tutto il tempo parlando di tennis. Poi mi ha chiesto cosa mi mancasse della Croazia: mamma e papà, la mia casa. Non ho tremato nel dirlo. Come vorrei essere lì ora.

Non so neanche chi sia questo qui di là dalla rete, penso di non averlo mai nemmeno visto anche se dicono che l’ho battuto qualche settimana fa. Ma non è lui e io non sono io. Dai, non è vero, mi alza i pallonetti. Allora è vero che non sono un gigante, lo vedete?

Vae victis. Ma davvero? E’ brutto perdere, soprattutto quando si fa sera e adesso che tra i capelli un po’ di argento li colora. Ma no, io non resterò nella memoria di questa sconfitta. Rimarrò nel mio silenzio, lo sanno tutti che era Marin, il predestinato, quello che doveva vincere.

In fondo sono diventato grande in un tempo piccolo, quello che serve per tirare un ace. Sono diventato un albero per oscillare, sposterò lo sguardo per mirare altrove, cercando un modo per dimenticare.

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