Gli articoli più letti dell’anno. Agosto: come affrontare il tennis senza Federer

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Gli articoli più letti dell’anno. Agosto: come affrontare il tennis senza Federer

Vi riproponiamo gli articoli di maggior successo del 2016 di Ubitennis, quelli più apprezzati da voi lettori. Agosto, Roger Federer annuncia di dover chiudere la sua stagione con 4 mesi d’anticipo, Alessandro Stella spiega ai suoi tifosi come disintossicarsi dal fuoriclasse svizzero

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“Non temo (l’assenza di) Roger Federer in sé, temo il Roger Federer in noi”. Così potrebbe aprirsi un manuale di disintossicazione dal tennista svizzero

Un famoso adagio dedicato a un personaggio appena meno atletico ma più comunicativo di Roger Federer poneva l’accento su quanto le conseguenze che si scatenano in noi siano quelle decisive per giudicare la portata di un fenomeno. Qualcosa succede e noi ne assorbiamo l’urto, in modo più o meno controllato. E ne risultiamo plasmati. Il fenomeno in sé può essere straordinario piuttosto che bieco e censurabile ma saremo noi a stabilirne l’importanza grazie ai cambiamenti che è in grado di provocarci.

Adesso che qualche giorno è trascorso l’analisi risulta più ponderata. Federer ha squarciato un’epoca tennistica, è ormai ridondante sottolinearlo. Prima di lui si sono visti campioni e colpi inverosimili, grandi battaglie e mancini con seconde di servizio da alieni, ma la presa del singolo atleta sul pubblico non è mai stata la stessa. C’erano i tifosi adoranti, masse di tifosi adoranti che dopo anni si sono declinati in gruppetti di nostalgici e oggi come allora parteggiano per uno stile di gioco, per un modo di intendere il tennis, per una particolarità caratteriale.

Con Federer no. Con Federer è successo qualcosa di diverso. Si tratta per i tifosi di un’esperienza totalizzante, che per certi versi esula dal tennis espresso perché quella è soltanto la ragione per cui tutto nasce, poi prende una piega diversa e si una nutre da una parte dell’uomo che potremmo definire spirituale. Le persone non amano Federer, le persone vivono una simulazione incarnata del loro campione. Non accettano condizioni nella loro passione. Eppure l’espressione dello svizzero non è di quelle che trasmettono vitalità o empatia a prima vista, tutto si genera dalla successione perfetta dei suoi gesti e crea assuefazione, lascia quel segno che non si può cancellare. Roger è un fenomeno che rompe le frontiere della psiche, difficile ricordare uno sportivo che abbia raccolti consensi e notorietà così trasversali senza “essere” in effetti un personaggio particolare, distinguibile, in qualche modo interessante. Federer in noi diventa più del Federer in sé, del suo incredibile valore tennistico, del suo ineguagliabile talento motorio.

Si dice dei neuroni specchio che siano in grado di farci provare una sensazione esattamente identica a quella che proveremmo svolgendo l’azione che stiamo osservando. Un passo ancora oltre l’empatia. La sensazione di onnipotenza che Federer dimostra quando va sulla palla è quella che noi vorremmo riversare sul nostro modesto campo nella nostra modesta sgambata del giovedì, a guardarla ci sentiamo partecipi, per un attimo anche noi con la racchetta facciamo quello che vogliamo. L’assenza apparente di fatica, forse. No, non è solo quello. Il Federer in noi è persino più grande della nostra capacità di spiegare perché esiste, e talvolta infastidisce per la sua presenza ingombrante e per come impedisce di concepire una passione tennistica priva, appunto, di questo signore elvetico. Se anche non siamo suoi tifosi facciamo difficoltà a relegarlo in una posizione più marginale.

Bene, senz’altro affascinante, ma non è conciliabile con il fatto che Federer un giorno finirà. Inevitabilmente. Che la sua recente decisione di chiudere il 2016 sia l’effettivo inizio della fine o solo l’ennesimo degli allarmi poi rientrati non cambia la sostanza dei fatti, va detto che un giorno ci sveglieremo e Federer sarà un ricordo sulle dirette televisive, uno strettino di rovescio stampato nella memoria in modo troppo flebile perché hai la speranza di poterlo guardare ancora e invece no, quella volta a Wimbledon rimarrà l’ultima. Bisogna guardare avanti, affrancarsi dal Federer che alberga in noi, scuotersi dalla tentazione – così comprensibile – di idealizzare in eterno la sua figura. Federer è un vizio da cui prima o poi dovremo guarire. E sembra che lui in questo non voglia aiutarci. “Dai”, sembra sussurrare, “questa è l’ultima. L’ultima”. Questa potrebbe essere l’ultima. Fateci il callo.

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