Djokovic, aggiungi un posto in panca: “Da solo non so stare” (Crivelli). Il tennis ha bisogno di Roger e Rafa (Bertolucci). È il giorno di Benedetta, due volte figlia d’arte (Paoletti)

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Djokovic, aggiungi un posto in panca: “Da solo non so stare” (Crivelli). Il tennis ha bisogno di Roger e Rafa (Bertolucci). È il giorno di Benedetta, due volte figlia d’arte (Paoletti)

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Djokovic, aggiungi un posto in panca: “Da solo non so stare” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Il tempo cambia molte cose nella vita. Un anno fa, di questi tempi, proprio mentre lui cominciava la campagna trionfale vincendo qui a Doha, al nome di Djokovic si associavano due parole magiche, quelle che nel tennis profumano di leggenda: Grande Slam. E si scomodavano Budge e Laver, due monumenti, mentre dal suo angolo Boris Becker vigilava impettito, in piedi ad ogni successo come un generale napoleonico. Parigi, e poi più. Domato finalmente il Roland Garros, Nole è finito in una spirale di incertezze, si è incartato tra problemi familiari e un polso ballerino, ha perso sicurezza nel gioco e da cacciatore è diventato preda. Il mondo ha conosciuto un nuovo numero uno, Andy Murray, e sembrava impossibile potesse succedere così presto, mentre il buio di sei mesi in affanno ha inghiottito pure il rapporto con Becker. Una rivoluzione inattesa. Ma se cercate parole forti da colui che fino a giugno era stato il dominatore assoluto, non la troverete: «Non è stato un anno di insuccessi, e io non sono in crisi. Nella mia mente, la parola fallimento non è concepita. La mia filosofia è di capire quello che è successo, dove ho sbagliato e trovare le soluzioni per fare meglio. Ho imparato molto dalle ultime sconfitte, perché poi mi sono seduto a un tavolo, ho scavato in profondità dentro me stesso e mi sono raffigurato tutto quanto serve per andare oltre. Non credo esistano limiti, nello sport e nella vita in generale: bisogna spingere per provare a sorpassarli». Nella versione 3.0 di Novak sembra esserci molto degli insegnamenti spirituali di Pepe Imaz, il guru cui si è rivolto a ottobre per cercare una nuova dimensione interiore che lo portasse fuori dalle secche. E così Robotovic si è d’improvviso riscoperto umano, tentando di ripartire dalla mente, prima ancora che dal fisico e dal gioco: «Mi piaceva il motto “Resta affamato”, mi ci rispecchio ancora, ma adesso la fame è il modo in cui sento e capisco quanto lontano possono portarmi le mie capacità». Certo, fuori dal contesto di certe frasi da santone, restano la considerazioni pratiche di uno come Wawrinka, che senza giri di parole ha detto che parlare di crisi per il secondo giocatore del mondo, uno che nel 2016 ha vinto 65 partite e ne ha perse nove conquistando due Slam, è una cosa da pazzi. Ma intanto Nole riparte con lo stesso cammino dell’anno scorso (Doha, Australian Open, Indian Wells e Miami) e con un nuovo compagno di viaggio. E’ Dusan Vemic, 40 anni, ex doppista di discreto livello, già suo collaboratore tecnico dal 2011 al 2013 e adesso ingaggiato come vice coach dello storico Martin Vajda fino ai tornei di primavera americani. Una sorta di ritorno alle origini: «Lo conosco da quando abbiamo cinque anni, siamo cresciuti nello stesso circolo, da ragazzino era il numero uno di Serbia e mi ha sempre trattato con rispetto. Si è costruito una buona carriera da giocatore, poi ha avuto esperienze importanti come allenatore, abbiamo già lavorato insieme e conosce i miei metodi. Soprattutto, va d’accordo con Marian e questa è la cosa più importante». Per adesso, ha portato tre vittorie, l’ultima (facile) con Stepanek nei quarti, ma non è ciò che conta: «Connors, McEnroe non avevano allenatori e stavano bene così, io invece ho bisogno di confrontarmi a fine partita, ho bisogno di qualcuno con cui scambiare idee, qualcuno che possa ampliare le mie prospettive». E così sia.

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Il tennis ha bisogno di Roger e Rafa (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Finalmente la crisi d’astinenza è finita. Sotto il sole australiano Roger Federer e Rafa Nadal sono tornati in pista facendo ritrovare il sorriso agli appassionati. Diciamo la verità: senza nulla togliere ad Andy Murray e Novak Djokovic, la loro assenza dai campi aveva mandato il tennis un po’ in letargo. Roger e Rafa nell’ultimo decennio hanno scritto la storia di questo sport vincendo e divertendo in lungo e in largo. Il pubblico degli appassionati ancora si divide tra lo svizzero e lo spagnolo e dove gioca uno dei due si registra sempre il tutto esaurito. Le prime uscite non potevano che rivelarsi altalenanti ma a questo punto i tifosi si staranno chiedendo se, nel corso dell’anno appena cominciato, si riformerà la dinastia dei Fab 4. Domanda da un milione di dollari che al momento non può avere una risposta sicura. Gli anni passano anche per Roger e gli acciacchi tormentano ancora Rafa ma quando si parla di giocatori che hanno dominato il circuito bisogna usare una particolare cautela per non rischiare figuracce. E’ vero che non avranno il fiato sul collo dei vari Ferrer, Berdych ,Tsonga e che Wawrinka non possiede grande costanza di rendimento ma nomi nuovi (primo fra tutti il tedesco Zverev) si affacciano con la prepotenza e la forza della gioventù. Dobbiamo inoltre tener presente che i sei mesi di assenza dalle competizioni hanno sicuramente lasciato scorie nel corpo e nella mente dei due fenomeni. Per questo motivo i tifosi non dovranno esaltarsi in caso di successi né abbattersi se le prime uscite non daranno risultati positivi. Ci delizieranno sempre e comunque con il tennis classico, elegante dell’uno e quello fisico e consistente dell’altro. I due fuoriclasse avranno bisogno di 10/15 partite prima di riprendere, a pieno regime, il discorso interrotto la passata stagione ritrovando il giusto feeling e verificando lo stato di forma fisica e mentale sulle lunghe distanze. A loro non è certo preclusa la singola prestazione ad alto livello ma per tornare a sedere al tavolo dei primi del mondo dovranno ritrovare la continuità di rendimento che rimane la sola strada che conduce in alto. Una cosa comunque è certa. Il tennis ha ancora bisogno di loro. Sono i migliori ambasciatori di uno sport che sta attraversando un periodo di ricambio generazionale non semplice. Roger e Rafa a buon livello garantiscono ancora spettacolo, stadi pieni e grande business.

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È il giorno di Benedetta, due volte figlia d’arte (Francesca Paoletti, La Gazzetta dello Sport – Roma)

Emulare mamma Alessia e ‘vendicare’ la finale amara di due anni fa. A Benedetta Sensi non mancano le motivazioni; il baby-talento romano, portacolori del club Le Magnolie, è a un passo dal trofeo under 12 del Lemon Bowl 2017, il torneo internazionale giovanile che si chiude, come da tradizione, alla Befana. Dopo aver battuto nettamente in semifinale la toscana Paradisi, oggi la romana contende il titolo a Federica Urgesi (Ct Fano). Il profumo di limoni in casa Sensi è noto e inebriante; mamma Alessia (all’anagrafe Sciarpelletti) vinse, infatti, tre titoli a fine anni Ottanta (l’under 12 nell’edizione 1986, l’under 14 nel 1988 e il titolo under 16 nel 1989). Curiosamente, però, nel primo incontro tra Benedetta e il tennis si è inserito il papà-maestro Fabio: «Avrà avuto sette o otto anni – racconta – e un po’ per gioco un po’ per seguirmi sui campi ha preso la racchetta». Fino a diventare campionessa italiana under 11 in singolo e doppio: «Ha buone qualità fisiche e agonistiche ma, soprattutto, il tennis la diverte moltissimo. I suoi idoli sono Djokovic e Sharapova. Non perde un loro match alla tv». L’albo d’oro ci racconta di una lunga tradizione vincente dell’Europa dell’Est. Ma il Lemon Bowl rappresenta da sempre il primo vero banco di prova dei baby-tennisti di casa; qualcuno degli ex partecipanti al Lemon è riuscito ad emergere (basti ricordare Gloria Pizzichini e il compianto Federico Luzzi), qualcuno oggi torna da queste parti nelle vesti di maestro e poi c’è chi, vedi Camila Giorgi e Gianluigi Quinzi, qualche sfizio se lo è già tolto ma continua senza sosta il suo giro per il mondo in cerca di gloria. Racchette e sogni in una stessa sacca… proprio come quella volta al Lemon.

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