Andy-Nole, atto I

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Andy-Nole, atto I

Pronti, via e il 2017 ci regala il primo episodio della rinnovata rivalità tra Djokovic e Murray. Un nuovo spettacolo, di cui andrà in scena a Doha il primo atto. Chi vincerà?

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Il piede fasciato è di Berdych. Il vantaggio nel punteggio di Murray. È ancora la seconda semifinale ma in realtà i qatarioti stanno già lustrando i box per quello che sarà, che sia fiducia nello scozzese o sfiducia nell’altro la sostanza non cambia. Di fatto il ceco non è uno di quelli che si mette di mezzo, se c’è una sfida che deve essere disputata e lui può impedirlo di solito non lo impedisce. A meno che non ci sia in campo Federer e allora capita che diventi baldanzoso. Va detto che invece Verdasco ci ha provato con altro ardore, quei cinque match-point falliti ancora gridano vendetta e Nole la gocciolina di sudore l’ha dovuta versare. Non tanto per la fatica, quanto per il pericolo scampato. E tra qualche ora sarà Andy-Nole, atto I.

Più che altro però è Murray quello che in campo mostra un altro ardore. Il passaggio di consegne autunnale non è rimasto solo su carta, l’ex numero uno ha ceduto quel tanto che è bastato per dare coraggio allo scozzese. Un clic, una scintilla, e adesso Murray sembra poter contare sul fantomatico punto in più che qualche mese fa sorrideva invece al suo rivale. Quel punto in più che gli avversari sono sistematicamente costretti a giocare fino a sfiancarsi, e quello che lui, alla bisogna, ritrova sul suo lato del tabellone perché la sicurezza porta supremazia e adesso Andy sente di essere il più forte. E Novak invece teme di non esserlo più, rovesciato da un ciclone che in soli sei mesi l’ha spodestato dal trono che sembrava ormai appartenergli di diritto.

Un po’ di numeri. A inizio 2016 Scozia insegue Serbia con un ritardo di quasi 8000 punti, a inizio 2017 la situazione è invertita e Scozia guida su Serbia con vantaggio di 630 punti. Nel corso del 2016 Murray batte Djokovic due volte su cinque, la prima al Foro Italico e l’ultima nella finale di Londra che sancisce il sorpasso avvenuto un paio di settimane prima. Ma se a Roma Murray più o meno passeggia fino alla finale e Djokovic si lascia stancare dalle sfide con Nadal e Nishikori, l’incontro conclusivo del torneo dei maestri finisce nettamente tra le mani di Sir Andy e senza troppe attenuanti per un Nole svagato, addirittura sciagurato in un paio di apparizioni a rete. Dubbi, controdubbi, un guru di troppo e il licenziamento di Becker. Mentre l’altro gongola, festeggia il Natale sereno e viene nominato Cavaliere della Regina.

Eppure soltanto sette mesi fa, con Nole trionfante sul Philippe Chatrier, l’indirizzo di questa rivalità sembrava ben delineato. Murray vinceva, sì, ma non così spesso. Djokovic perdeva, sì, ma ogni volta sembra un’eccezione. Poi la metà di stagione che in futuro potremmo ricordare come l’anno zero di questa rivalità – così come il 2011 lo è stato per quella tra Djokovic e Nadal – e le carte si sono rimescolate. Nulla di sostanziale è cambiato sotto il profilo tecnico. Forse Murray è riuscito a incrementare la resa sulla seconda di servizio, il suo cronico punto debole, sicuramente invece per il serbo si è trattato di una flessione atletica. Becker l’ha confermato dopo il suo addio rivelando un approccio meno certosino del solito agli allenamenti nel periodo successivo al trionfo di Parigi. Un comprensibile appagamento, all’interno del quale il più piccolo di casa Murray ha saputo creare uno squarcio. Nel tennis la metafora della bilancia riesce sempre a restituire l’immagina corretta: per qualcuno che scende c’è sempre chi sale, nel corso di una partita oppure di una carriera, le cause si intersecano e non sono districabili. La discesa di Djokovic ha quindi favorito e propiziato l’ascesa di Murray.

Cosa ha detto sinora il torneo di Doha. Djokovic ha iniziato stentando, poi le buone prestazioni contro Zeballos e Stepanek prima dello spauracchio-Verdasco che ha enucleato diverse delle sue attuali difficoltà, guidate da una profondità di palla troppe volte insufficiente per poter comandare il gioco da fondocampo. Murray invece somiglia al serbo quando vinceva, e questo all’ex n.1 non dovrebbe piacere. Spesso sornione durante gli incontri piazza le accelerazioni quando serve, può passare un intero set in affanno prima di chiuderlo in suo favore giocando tre punti in fila da campione. È stato così contro l’esuberanza di Melzer e di fronte ai fendenti di Almagro, mentre con Berdych i giri del motore sono – logicamente – saliti. Un torneo condotto con l’agio di chi si aspetta di vincerlo. Rispetto a Nole c’è una maggiore dimestichezza con il gioco di volo, più corse e meno esibizioni di elasticità, medesima è la capacità di stanare l’avversario.

Questa finale non va sottovalutata. Non sposterà molti punti né consegnerà un trofeo pesante ma sarà il primo atto della pièce Djokovic-Murray 2.0, laddove la 1.0 si è conclusa con il 24-11 in favore di Nole e gli applausi del pubblico in sala. Definirà i primi riferimenti di una stagione in cui la parte del leone non verrà, almeno inizialmente, interpretata dal solito attore. I due “gemelli” del tennis moderno si conoscono a memoria ma adesso che i panni si sono scambiati, chissà. A Djokovic tocca difendere i primi 250 punti di un trimestre nel quale potrà soltanto perderne, Murray invece può aumentare il distacco. Ma il vento, si sa, può cambiare direzione. E Nole deve ancora scoprire le sue carte.

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