Luce Federer «Che bello! Sono tornato normale» (Crivelli), Vinci e Schiavone, l'ultima Australia è amara (Azzolini), L’elisir della racchetta, Federer riparte bene (Semeraro), I facili ostacoli sulla strada del ritorno di Federer (Clerici)

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Luce Federer «Che bello! Sono tornato normale» (Crivelli), Vinci e Schiavone, l’ultima Australia è amara (Azzolini), L’elisir della racchetta, Federer riparte bene (Semeraro), I facili ostacoli sulla strada del ritorno di Federer (Clerici)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Luce Federer «Che bello! Sono tornato normale»  

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 17.01.2017

 

Palpiti d’amore. Avevano un nome solo impresso sul cuore. Tutti i 24.557 che si sono affacciati ai cancelli di Melbourne Park per la sessione serale della prima giornata, regalando subito un record di presenze agli Australian Open. Erano li per lui, per la sua. magia, che in un match ufficiale mancava dall’8 luglio, dalla semifinale persa con Raonic a Wimbledon. NORMALITA’ E Roger, il messia finalmente riapparso sulla Terra dopo la rentrée morbida in quell’esibizione mascherata che è la Hopman Cup, non li delude. Anche perché, a memoria d’uomo, un’ovazione che terremota il Centrale di uno Slam per il 17 giocatore del mondo non si era mai sentita, amplificata pure da quelli che, senza il biglietto per la Rod Laver Arena, si spelleranno le mani davanti al maxischermo. Dall’altra parte della rete c’è un vecchietto come lui, suo coetaneo (sono 10 gli over 35 in tabellone, un primato) e compagno di doppio all’Orange Bowl da junior, il mancino austriaco Jurgen Melzer, a suo modo un altro giocatore risorto, numero 8 al mondo nel 2011 e poi travolto dagli infortuni (spalla), oggi numero 300 ma senza alcuna intenzione di mollare il colpo. Com’è ovvio, non può essere il Federer perfetto, chirurgico, millimetrico di cento e cento inimitabili vittorie, e magari quello non lo rivedremo mai più, ma intanto nei 13 punti consecutivi con cui ribalta il primo set da 4-2 sotto ci mette lampi dell’antico splendore. Poco importa che nel secondo set, quando pare in controllo (3-1 per lui), conceda cinque game consecutivi e dunque il parziale: nel terzo e nel quarto salirà con il servizio e non correrà più rischi. Offrendosi alla fine un sorriso genuino: «E’ bello poter tornare a giocare un tennis normale. La strada è stata lunga ma sono qui. Anche se avessi perso, non ci sarei rimasto male, perché finalmente ho ritrovato le emozioni del campo, della passeggiata nel tunnel, del match point ottenuto e poi realizzato. Se mi guardo indietro, so che i primi turni sono sempre stati difficili, e poi ammetto che all’inizio ero nervoso, ho fatto fatica a trovare il ritmo. A un certo punto, mi sono reso conto che pensare troppo su ogni punto non avrebbe aiutato la mia prestazione, così ho cercato di rimanere più calmo». IL 13′ SLAM Quel che conta, e sono parole sue, è di aver apprezzato la gioia di essere tornato definitivamente a far parte di quel mondo che per sei mesi si è ritrovato orfano del Più Grande, perché il tennis è mancato a Roger, ma sicuramente lui è mancato di più al tennis: «Se ho mai pensato di ritirarmi? Sono sette anni che mi fate la stessa domanda, sembra che non possiate farne a meno. Comunque è tutto ok, voi domandate e io continuerò a rispondervi». Era dal 2002 che in Australia non aveva una testa di serie così bassa (allora era 12), ma quell’anno vinse uno Slam (a New York) proprio la testa di serie numero 17, un certo Pete Sampras. Corsi e ricorsi storici con il filo conduttore di Paul Annacone, allora coach dell’americano e poi allenatore di Roger: «Pete veniva da 26 mesi senza successi, ma quando c’è di mezzo un grande campione le regole normali non valgono. Federer viene da un periodo difficile, però la pausa gli ha dato l’opportunità di sistemare il fisico e di allungare la carriera di altri tre anni. La classifica non conta, può ancora vincere tanto. Anche un altro Slam. Soprattutto a Wimbledon». Destinazione paradiso.

 

Vinci e Schiavone, l’ultima Australia è amara

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 17.01.2017

 

L’ultimo Open d’Australia Dichiarato o meno, comunque l’ultima E non ha niente di speciale. Anzi, è l’Open delle delusioni, o forse dei giramenti di scatole, che ne sono la diretta conseguenza. E lascia strinature dolorose nell’animo di Roberta e Francesca, già fuori, ahinoi, e senza colpo ferire. Le uniche differenze vengono dall’indole delle due. Più aspra, e meno incline a perdonare errori e omissioni, quella di Roberta Vinci, che delle due appariva la più acquiescente verso le umane debolezze; e invece più morbida la natura di Francesca Schiavone, cui si attribuiva uno spirito critico da sergente di ferro. Così, è dolente l’addio di Roberta, addirittura simile a uno sfogo, quando annota «quanto sia stato sfortunato e negativo il sorteggio», che l’ha piazzata subito contro una giocatrice – Coco Vandeweghe – che già vale le posizioni a ridosso delle prime 10, se non altro per potenza di fuoco, davvero imperiosa. Mentre Francesca la prende con la filosofia di chi il passo d’addio l’ha già compiuto, e potrebbe risultare lungo un’intera stagione. Ma è un fatto, Schiavone il suo addio di fine anno lo ha ormai annunciato. Roberta no. Si lascia un margine di ripensamento. Una possibilità di ulteriori verifiche. Certo, non sarà la sconfitta con la Vandeweghe a rincuorarla, giunta per getto della spugna dopo essere stata a lungo in balia dell’americana C’è poco da consolarsi quando le altre, e sono tutte ragazzine, giocano pallate che poco le vedi, ma molto le senti, perché fanno male. È come se il tennis che hai sempre avuto a disposizione non bastasse più e fosse anch’esso invecchiata Sul 4-2 del secondo set, quando Roberta ha avuto l’unica chance di accedere al terzo, l’altra si è perfino sentita poco bene, un colpo di calore niente di più. Masi è ripresa ed è tornata a colpire più forte e più precisa di prima. Fa bene la Schiavo a concedere tutti i meriti della vittoria alla Boserup, altra americana. «Ha fatto il suo, giusto che abbia vinto. Io? Così così, ma voglio chiudere in bellezza, con qualche buon risultata Aspetto il mio turno», che non era o . Così, meglio i ragazzi. Lorenzi che supera Duckworth e Seppi che lotta con Mathieu (e incontrerà Kyrgios). Resta fuori solo Vanni, ritiratosi per un problema all’inguine dovuto al caldo e un po’ – dice lui – alla sfiga.

 

L’elisir della racchetta, Federer riparte bene

 

Stefano Semeraro, la stampa del 17.01.2017

 

L’estate passata a fare camminate nella sua Svizzera verde, a rilassarsi in famiglia («No, non sono andato a pesca, è troppo noioso. Il mio vero compito era inseguire i gemelli intorno a casa»). Due puntate a Dubai per la Formula 1 e a Parigi per la settimana della moda. E poi bang!, il ritorno alle gare che contano, dopo sei mesi di stop per l’infortunio al ginocchio. Ieri, nel primo turno degli Australian Open, vinto lasciando un set per strada contro un rivale scorbutico come Jurgen Melzer. «E stato più difficile di come me l’ero immaginato», ha confessato Roger Federer dopo il 7-5 3-6 6-2 6-2 al mancino austriaco. «Mi sono divertito» «Quando è iniziato il match ero molto teso, poi ho pensato che i primi turni degli Slam non sono facili, quasi mai. Mi sono calmato, ho smesso di pensare troppo e alla fine ero contento di come ho giocato. Mi sono divertito, del resto Jurgen lo conosco da 16 anni, da ragazzini all’Orange Bowl di Miami abbiamo giocato il doppio insieme». Ragazzino Roger non è più, in agosto compirà 36 anni. A Melbourne ha vinto 4 volte, la quinta lo avvicinerebbe al vero fenomeno di longevità del tennis, Ken Rosewall, che nel 1972 fu capace di vincere proprio questo torneo per la quarta volta a 37 anni. Ieri Federer ha approfittato del fresco della sessione notturna, contro il suo prossimo avversario, il baby americano Noah Rubin, potrebbero toccargli il sole (30 gradi) e l’umido: «Che problema c’è? Sono bene allenato e ho fiducia nel mio fisico». Molto più brutta di lui se l’è vista il suo amico Stan Wawrinka, che ha avuto ragione solo al quinto set dell’irriducibile Klizan. Ma, quando soffre cosl all’inizio, Stan the Man di solito finisce per vincere il torneo.

 

I facili ostacoli sulla strada del ritorno di Federer

 

Gianni Clerici, la repubblica del 17.01.2017

 

Ero davanti al televisore, in attesa del quotidiano doppietto dei pensionati, e guardavo Federer, in buonissima salute, che stava avanti di un set, contro tale Melzer. «È un qualificato», commentava il mio partner Antonio. «Sembra glielo abbiano sorteggiato apposta». Jürgen Melzer, mancino, barbuto, trentacinquenne, mise in quella un dirittaccio liftato, poi un altro, e un altro ancora, e mi ricordai che già l’avevo visto, un giorno di libeccio violento a Montecarlo. Aveva battuto proprio Federer. La carriera dei due tennisti si era poi del tutto separata, uno a raccogliere gloria e denari, l’altro a farsi eliminare sempre più spesso, a essere scambiato sovente per suo fratello Gerald, anche lui tennista. Mentre rimmemoravo, Roger stava perdendo il secondo set. Steccava più di un diritto, giocava corto di rovescio, faticava nelle risposte al servizio mancino dell’avversario. Un avversario che, all’inizio, pareva simile a Ljubicic, incaricato, quale un massaggiatore con racchetta, di riscaldare i muscoli un po’ stanchi di Roger. Dopo una vittoria giovanilissima a Wimbledon ’99, quel Melzer era giunto tra i primi 10 AUSTRALIAN OPEN I facili ostacoli sulla strada del ritorno di Federer nel suo benedetto 2011, in singolo e in doppio, per di più, dimostrando talento alla volée. Chissà se il pensiero del passato è scivolato nella mente dei due. Il ricordo più breve e forse incredulo deve aver sfiorato l’ippocampo di Melzer, mentre Roger ritornava al presente, che, come diceva a un intervistatore, «può di nuovo essere felice». Roger ha mostrato oggi la tradizionale facilità nella mezza volata di rovescio, nei servizi centrali, nelle scelte tattiche. Ad eccezione di quella parentesi, in cui Melzer si era d’un tratto ritrovato nel 2011. In tutt’altro luogo, con un cielo diverso dal tetto di Melbourne, un cielo lavato dal vento, sopra onde burrascose. Sarà Federer eguale a se stesso degli ultimi anni, com’è apparso nel terzo e quarto set? O sarà stato Melzer, secondo set a parte, a farlo apparire tale? Lo vedremo nel terzo turno, contro Berdych.

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