A nessuno interessa chi vincerà

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A nessuno interessa chi vincerà

Che la malinconia, l’emozione e il privilegio di guardare Federer-Nadal non siano, paradossalmente, rovinati dal tennis giocato

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A metà degli anni ’90, una nota marca di gelati mise in commercio un prodotto innovativo per il genere: un dolce confezionato semicircolare, fatto di cialda ripiena di crema alla vaniglia, e ricoperta sulla parte superiore da una lastra di cioccolato fondente e arachidi. All’interno c’era anche una striscia di caramello. Fu un successo clamoroso, d’estate non si trovava un ragazzino che non lo addentasse anche a rischio del congelamento dei denti, un grande classico per gli amanti degli ice cream. Andavano tutti pazzi per il Winner Taco, che era sponsorizzato con una reclame in cui il protagonista era un gigantesco orso polare. Poi di colpo venne tolto dal mercato. Nessuno si ricorda neanche bene come e perché, semplicemente non lo si trovava più nei banchi frigo dei supermercati o nel retro degli stabilimenti balneari. Tutto finito, e tutti a domandarsi “ma ve lo ricordate il Winner Taco?”. Faceva nostalgia. Fino a un paio d’anni fa, in cui la suddetta marca approfittò delle decine di pagine Facebook in cui si inneggiava alla mezzaluna dell’orso per rilanciarlo alla grande, con tanto di campagna pubblicitaria per le strade e sui media. Ci si aspettava una sorta di boom delle borse dei gelati, e invece fu un fiasco da annali. Niente più arachidi, la vaniglia aveva un gusto meno deciso. Sembrava anche più piccolo della prima versione, forse semplicemente perché chi lo acquistava da molto giovane, era cresciuto quanto bastava per far caso alle dimensioni. Quello a cui tutti erano affezionati, anticipato da una sorta di clamore propagandistico, si rivelò un flop. Semplicemente, il Winner Taco non era più lo stesso. Ma se non lo avete mai provato, fatelo, almeno una volta nella vita.

E tutti quei prodotti, quegli oggetti, quelle esperienze che si potevano fare in passato e che adesso è impossibile ripetere. Fumare in aereo, quando uscire dalla cabina con gli abiti impregnati di nicotina valeva la pena di poter curare il mal d’aria e la paura di volare aspirando tiri che poi venivano riversati sui finestrini. Una zona carrabile che adesso è diventata pedonale e il pullman che si prendeva per andare a scuola non passa più, ma torna in mente ogni volta che in quell’area ci si torna per passeggiare, e al posto della fermata hanno messo un cartellone pubblicitario. Del Winner Taco, ovviamente. I biscotti Palicao, ve li ricordate? Quelli che appena messi nel latte (ma anche solo tenuti in mano per qualche secondo) diventavano polvere al cacao, senza neanche dare il tempo di capire se erano croccanti, morbidi o chi lo sa. Quel tipo di nostalgia però non finirà, non si trasformerà in eccitazione per un ritorno, con il rischio di essere delusa. Non ci sarà attesa, fremito dopo l’annuncio di qualcosa che non c’era più e adesso può essere di nuovo nostro. E forse è meglio così. Magari farà meno male avere un ricordo positivo, di quelli che lasciano un sorriso a metà, un ghigno alla Harrison Ford, un’increspatura consapevole di quanto quel luogo, quel gusto, quella consistenza rimarranno ormai argomenti legati al passato. Se non avete mai assaggiato i Palicao, peccato. Perché adesso non si può più, e non sapete cosa vi siete persi.

Stiamo per assistere ad un evento che non è passato, e non siamo nemmeno sicuri potrà capitare di nuovo. Federer-Nadal è qualcosa con cui qualcuno è cresciuto, assaggiandolo dalle prime uscite, godendoselo negli anni d’oro, rincorrendolo nel suo diradarsi. Per forza di cose, non sentiremo la malinconia di qualcosa che non potremo più avere: negli ultimi anni si è fatta largo a gomitate la sensazione che il dritto mancino contro il rovescio ad una mano potessero ripetersi soltanto “al mini tennis” o nei videogiochi, abbiamo accarezzato l’idea di doverci rassegnare alle raccolte video per poterli rivedere, e invece tra poche ore ce li avremo di nuovo. Niente ghigno consapevole, no. Non sarà nemmeno un ritorno altisonante con una conclusione deludente: l’hype creato da queste due settimane non sarà rovinato da un eventuale risultato netto, o da cinque (improbabili) set di noia. L’emozione di poter riascoltare i loro nomi scanditi dal microfono del giudice di sedia sarà superiore a qualsiasi schieramento di tifo, idea di supremazia, chiacchiere da GOAT. Sarà qualcosa che andrà semplicemente oltre: saranno ore che serviranno ad elaborare la passione maturata e coltivata negli ultimi anni, come se guardando l’incontro in diretta, a prescindere dal momento e dal risultato, rivivessimo la sequela di palpitazioni che entrambi, in ogni caso, ci hanno regalato negli ultimi quindici anni. Come si guardano due figli che diventati grandi adesso si raccontano del loro lavoro, anche se sono stati loro in realtà a crescere noi. Potrebbe essere l’ultimo loro match, almeno in una finale Slam. Potremmo invece tornare a parlarne già a giugno. E alla fine nemmeno ci interessa tanto.

Che la malinconia, l’emozione e il privilegio di guardare Federer-Nadal non siano, paradossalmente, rovinati dal tennis giocato. E se non avete mai assaggiato Federer-Nadal… Dai, non scherziamo.

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