Federer da Favola. A quasi 36 anni conquista il suo 18 Slam battendo in finale Nadal (Crivelli, Azzolini, Semeraro, Piccardi, Clerici, Rossi)

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Federer da Favola. A quasi 36 anni conquista il suo 18 Slam battendo in finale Nadal (Crivelli, Azzolini, Semeraro, Piccardi, Clerici, Rossi)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Federer da Favola. A quasi 36 anni conquista il suo 18 Slam battendo in finale Nadal

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 30.01.2017

 

…… volevano ascoltare un’altra volta la vitale dalla battaglia, ha preso la china più favorevole all’avversario, perché dopo tre ore di lotta, corsa, prodezze e sudore contano i muscoli e conta soprattutto la testa e nelle otto finali Slam precedenti della più grande rivalità della storia dello sport, il fisico e il carisma di Rafa hanno azzannato sei volte le voglie e le ambizioni di Roger, soprattutto al calore bollente del quinto set, come nell’unico precedente per il titolo in Australia, nel 2009, concluso dalle lacrime amarissime di Fed e dalla sua frase dolorosamente memorabile: «In questo modo mi uccide». No, stavolta ci sarà vita in fondo a un match intenso, non sempre spettacolare perché gli anni passano anche per le leggende, ma straordinariamente teso e palpitante nel parziale decisivo. Quando, sotto 3-1, con la testa dentro l’acqua, Apollo riemerge per vincere come sarebbe piaciuto al suo avversario, con il braccio ma sopra ogni cosa con la mente, attaccato alla pervicace tenacia di non lasciar scappare Rafa e con lui il match, fino al contro-break del sesto game che cambia l’inerzia e porta d’acchito Roger a infilare cinque giochi consecutivi, con l’apoteosi del dritto incrociato vincente sulla riga sancito dall’Occhio di Falco vanamente interpellato dal diavolo mancino. Un ribaltone confezionato con le armi del rivale, vuoi mettere il gusto. E con il rovescio, il colpo che dal 2007, l’anno dell’ultima vittoria (a Wimbledon) in uno Slam di Federer contro il maiorchino, si era spesso offerto come vittima sacrificale al dritto uncinato di Rafa. Un destino rivoluziona’ rio che porge al Divino il 18 Slam, sfatando la maledizione del 17 dopo quasi cinque anni (i Championship del 2012) e lo mette sul piedistallo di unico giocatore capace di vincere tre Slam almeno per cinque volte. LINERO Ma non sono i record a contare, non sono i 35 anni e 174 giorni che ne fanno il più vecchio vincitore di un Major dopo Rosewall, che ne aveva 37 nel 1972 quando si impose proprio in Australia, o le quattro vittorie contro dei top ten, come solo Wilander a Parigi nel 1982. Conta che i sei mesi di sosta forzata, dopo averlo messo di fronte al dubbio atroce di una carriera forse troncata, hanno restituito un Federer sgombro dalle fisime del passato, quasi liberato dalle pastoie tecniche che talvolta lo hanno imbottigliato dopo gli anni d’oro. Seppur a velocità minore e per tratti più breve, Roger gioca meglio adesso, perché ha bisogno di più soluzioni rispetto a quando dominava. Contro Nadal, ha usato pochissimo il rovescio in back, il suo colpo difensivo per eccellenza nel quale per anni si è spesso rifugiato nei momenti di paura, e ha sempre aggredito la risposta, perfino sullo slice da sinistra. Quando il servizio lo ha sostenuto (un punto concesso con la prima nel set iniziale), ha sempre dettato lo scambio, a costo di pagare pegno quando è un po’ calato d’intensità. Anche perché dall’altra parte della rete c’era un altro fenomeno, un altro mito, non un avversario ma la propria nemesi, il solito Nadal che non ti concede nulla e che per la prima volta nel torneo ha finalmente ritrovato il dritto. Pensare a dove fossero sei mesi fa, Roger e Rafa, non fa che amplificarne la grandezza, a rendere la loro competizione un romanzo immortale, che lascerà un enorme velo di tristezza e nostalgia quando l’ora fatale del ritiro li strapperà ai nostri occhi e ai nostri cuori. Straricchi (con il successo, Federer ha superato i cento milioni di dollari di soli premi), ultravittoriosi, amatissimi, i cari nemici non si sono inchinati a una sorte oscura di sofferenza, si sono ribellati alle leggi del tempo, regalandoci un’altra notte di magie. Che esempio, che lezione: pur baciato da un talento come non se ne sono mai visti, Roger non ha mai voluto smettere di imparare, di apprendere, di perfezionare quei dettagli che potessero continuare a tenerlo in paradiso in un periodo forse irripetibile per la qualità complessiva che sgorga dai più forti del mondo. Veniva da una stagione senza nessun torneo vinto per la prima volta dal 2000, ha prolungato la distanza dal campo perché sapeva che dopo il recupero fisico ci voleva l’applicazione tattica. Così, quando il destino gli ha concesso un’altra chance, lui se l’è presa con il rovescio, assecondando i consigli di Ljubicic, il nuovo coach. In fondo, l’eternità è un dono riservato solo agli umili.

 

Immenso Roger campione di tutti per talento e stile

 

Stefano Semeraro, il corriere dello sport 30.01.2017

 

È l’indiscusso re dei gesti bianchi, 35 anni di cui ben 6 vissuti da numero 1. A chi deve molto? Proprio a Nadal di Stefano Semeraro 11 tennis crea tensioni, direbbe WoodyAllen, Roger Federer le risolve. Perché se è vero che nessuno sarà mai in grado di decidere chi è stato il Più Grande nella storia dei gesti bianchi, di sicuro il Genio di Basilea è il più amato di sempre. Un oggetto di culto planetario, il campione di tutti, il fuoriclasse a cui non manca nessuna qualità: talento puro, eleganza divina, lealtà da sportsman vittoriano. CHE SEGUITO! Allo splendore di una carriera che da tempo non tollera più a :4.ettivi (e a stento qualche numero: 18 Slam, 89 titoli, 302 settimane da numero 1) ha contribuito non poco la rivalità enorme, epica – Roger stesso direbbe: irreale – con Rafa Nadal. Il rivale di sempre che ieri ha diviso con lui l’abbraccio quasi erotico della Rod Laver Arena e quello virtuale ma avvertibilissimo (via social network) di centinaia di milioni di appassionati incollati davanti alla tv in tutto il pianeta. Gli organizzatori di Melbourne sono stati letteralmente È ormai un’icona al pari di Maradona, Ali, Jordan, Tiger Gentilissimo, parla cinque lingue costretti ad aprire nel giorno della finale anche la Margaret Court Arena per ospitare altri 3.000 fan, mentre in tutta la città erano stati allestiti altri cinque schermi giganti. E dopo la finale Roger e Rafa sono stati esposti in carne e ossa anche su quel campo, come imperatori in visita. ICONA. I due fenomeni – 30 anni lo spagnolo, 35 suonati lo svizzero – ormai hanno passato il meridiano decisivo, sono entrati nella leggenda. Difficile trovare nella storia dello sport una rivalità lunga, ricca, preziosa come la loro. Nadal si fa amare per la tigna, la grinta irriducibile, Federer seduce con la magia che lo abita, quasi lo possiede, da quando era un bambino e faceva impazzire i genitori spaccando racchette (quasi) ad ogni torneo. Negli anni il ribelle che dipingeva i capelli di verdi si è trasformato in un’icona dello sport che ormai occupa lo stesso scaffale di Diego Maradona, Muhammed Ali, Michael Jordan, Tiger Woods. DENTRO E FUORI. All’esterno c’è II Federer 3.0 è più aggressivo, ha un servizio super e fa magie in controbalzo l’icona del suo fisico perfetto, la bandana persa fra i riccioli castani, i gesti da Nureyev dei campi, la scioltezza di una perfetta macchina da marketing che parla cinque lingue e si muove come un modello. Dentro sempre lo stesso ragazzo che ama alla follia il tennis, frequenta amici scelti ma è curioso del mondo, è cortese con chiunque (giornalisti compresi) e stravede per la sua famiglia e il suo clan. Quello che lo ha ha circondato e protetto negli ultimi sei mesi passati lontano dai tomei dopo il doppio crac al menisco. FAMIGLIA E TEAM. Prendersi una pausa così lunga, a 35 anni, era un rischia Correrlo è stata la scelta giusta. Tre mesi di inattività assoluta, grandi passeggiate nel verde zen della sua Svizzera, le corse intorno a casa con Myla Rose e Charlene Riva, e Leo e Lenny, i suoi quattro gemelli, le puntate a Dubai per la F.1 e a Parigi per la settimana della moda con la moglie Mirka. Un cerchio magico allargato che comprende anche il suo manager Tony Godsick, il preparatore fisico Pierre Paganini, il suo amico-coach Severin Luthi, capitano di Coppa Davis della Svizzera, e da un anno anche Ivan Ljubicic, l’ex numero 3 del mondo che gli fa da consigliere tecnico. IL RECUPERO. Nelle ultime dodici settimane Roger ha ricominciato ad allenarsi, a regolare il suo motore perfetto, a tendere i muscoli di seta e acciaio. Smaltite le tossine accumlate negli ultimi anni di delusioni e sconfitte dure da digerire, è riapparso alla Hopman Cup, l’esibizione di Perth che apre il calendario. A Melboume Park, dove aveva già trionfato quattro volte, si è affacciato senza troppe aspettative. I campi tornati velocissimi dello Slam australiano, il clima per una volta temperatissimo lo hanno aiutato a stringere gli ultimi bulloni del suo tennis. E a decidere che sì, come sosteneva Lubicic non era più tempo di coltivare dubbi, anche perché di tempo da sprecare passati i 35 anni per un atleta non ce n’è più. Così il Federer 3.0, tutto aggressività e magie in controbalzo, di nuovo efficiente con il servizio, si è rodato nei primi cinque set contro Kei Nishikori, e confermati negli altri cinque contro Stan “The Man” Wawrinka. Prima di affrontare per la 35a volta Nadal, la sua nemesi, si è detto che stavolta non si sarebbe consegnato ai suoi giganteschi top spin. Che non avrebbe ceduto alla preoccupazione di farsi divorare dal Cannibale come gli era sempre capitato dal 2007 nei tornei dello Slam. Ha messo nel cassetto il back di rovescio e giocato come istinto gli comandava. E ha vinto senza paura, libero di essere di nuovo Roger Federer, l’Uomo Che ha cambiato il Tennis, il fuoriclasse che non è possibile non amare.

 

E’ ancora Federer l’intramontabile

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 30.01.2017

 

È il numero più bello del tennis, diciotto. E il numero della Storia, il numero che indica gli anni che sono occorsi per raggiungerlo, è il simbolo di una distanza che c’è fra il suo possessore e gli altri, tutti, tranne uno. Diciotto è il numero di Roger Federer, ed è anche quello cui Nadal ha dato il contributo più grande, ieri, negli anni passati, sempre. Un impresa che pochi pensavano potesse ancora prendere forma e che ora sembra quasi scesa dal cielo, a rallegrarci e a farci fare nuove, alte considerazioni sullo sport, sulla sua bellezza, sui campioni che seguiamo, talvolta critichiamo, ma ci sono indispensabili. Ed è bellissimo che il diciottesimo Slam di Roger Federer, lo Slam che non sarebbe mai dovuto arrivare, abbia preso forma con Rafa in campo, l’amico-nemico cui Roger ha promesso di affidare i figli se mai decideranno di fare tennis, «li porterò nella tua Accademia, giuro». È il cerchio che si chiude, inondato di emozioni e di lacrime, al termine di un match quasi puro perla bellezza che ha saputo esprimere. Il tennis al suo più alto livello, insieme aspro e intelligente, propositivo, dilagante. Mai banale. «Mi hai battuto, Roger, ma grazie per essere stato qui con me», è il messaggio di commiato firmato Nadal. «Sei mesi fa stavo talmente male che mai avrei pensato di poter giocare ancora una finale, e vincerla Allora mi incoraggiasti. Ti ringrazio», la dedica di Federer Ringiovaniti Il tennis ricomincia da due campioni ringiovaniti, la macchina del tempo li ha riconsegnati ai loro venti anni. Non si sa come sia stato possibile, ma entrambi avevano bisogno di tempo per curarsi e ritrovarsi. L’hanno fatto. Ed eccoli qui Due amici che si ritrovano, e riprendono il discorso esattamente da dove lo avevano lasciato. Non hanno bisogno di rinverdire la loro conoscenza, né di rassicurazioni sul loro rapporto, lo considerano paritario, e sono schietti, diretti, immediati. Conoscono l’uno i modi di fare dell’altro, i segnali che vengono dai rispettivi sguardi, le lievi alte-razioni dell’animo, l’orgoglio che c’è dietro a ogni colpo. Gli scambi sono sostenuti sin dai primi momenti, incisivi Se è un recita è di altissima qualità, su un palcoscenico che ispira entrambe. Ma sembra più una pagina di quotidiana realtà: avevano voglia di rivedersi, di  tornare a provare le emozioni che l’uno ha sempre concesso all’altro, e lo hanno fatto, disposti al confronto senza tatticismi, senza trappole e infingimenti Lo spettacolo Dite, interessa il punteggio in simili condizioni? Interessa determinare se uno sia più forte dell’altro? Federer e Nadal sono uno spettacolo, e insieme lo sono ancora di più. Irraggiungibili come prima di loro lo sono stati solo McEnroe e Borg, Agassi e Sampras. 11 meglio del tennis. E non si sono risparmiati nulla. Federer è sembrato alle prese con un avvio meno convinto, ma. certo Rafa non era tipo da crederci. E infatti Roger ha preso rapidamente il comando delle operazioni sul suo servizio, e ha trovato il modo di incidere negli schemi più classici del gioco nadaliano, spezzandoli di forza, più che con l’arma dell’attacco, o i drop shot ripetuti, come si poteva pensare. Colpi potenti a tagliare il campo, improvvisi, vergati d’istinto per liberarsi del palleggio insistito di Rafa. Aggressivi entrambi, ma ancora di più Federer in queste accelerazioni improvvise, spesso condotte con il rovescio, a sorprendere Nadal dal lato del campo nel quale ha costruito la gran parte delle sue vittorie sull’amico-nemico. «sapevo che sarebbe stato aggressivo, ha poi detto Rafa, «l’ho visto così per tutto il torneo. Voleva vincerlo a tutti i costi, è stato bravo». Primo seta Federer grazie a un break sul 3 pari, ma vicinissimi i due. Talmente vicini da far pensare che la differenza fosse riconducibile a impercettibili dislivelli, misurabili con frazioni infinitesimali. A condizionare il match, nel bene e nel male è stato il rovescio di Federer; schioccante, impetuoso. Nadal, però, ha continuato a sfidarlo, e nei passa :4 in cui il colpo si è rivelato più timido, ha operato i riagganci e i sorpassi che gli sono serviti a tenere viva la finale, fino a portarla al quinto set. Non ha avuto mai tentennamenti Rafa. Ha valutato che qualche piccolo cedimento quel colpo avrebbe finito per subirlo, e ha atteso il momento. Anche il quinto ha visto subito intestalo spagnola Eppure Federer ha avuto cinque palle break per agganciarlo e preparare la volata fianco al fianco. Ha messo a segno la sesta. E il match è ricominciato. L1 i due si sono ritrovati alla pari, in tutto: 124 punti per uno, una differenza di set- te punti fra i vincenti e gli errori gratuiti. Se il match si fosse interrotto in quel momento, qualcuno avrebbe decretato il pareggio Federer ha fatto la differenza negli ultimi tre game..

 

Intramontabile Federer. Rientra dopo sei mesi di stop e a 35 anni conquista il quinto Australian Open

 

Gaia Piccardi, il corriere della sera del 30.01.2017

 

È lui il più grande tennista di tutti i tempi La vera verità, in conclusione di quest’esperienza mistica a stento contenuta dal perimetro del campo centrale di Melbourne, è che non abbiamo bisogno del replay per sapere che Roger Federer è il più grande tennista di ogni tempo. «I record, il quinto Australian Open a sette anni di distanza dall’ultimo, il i8esimo Slam, le statistiche, l’epica di questa partita me li sarò dimenticati entro domattina…». Eppure dopo cinque set di un videogioco durato tre ore e 37 minuti siamo tutti Ti appesi alla parabola lentissima di quel dritto liquido e perfetto che tutti sanno — lo sappiamo noi, lo sa Roger e pure Rafa Nadal, che chiama il challenge con la forza cupa della disperazione: glielo leggi in faccia — essere destinato al bianco bianchissimo della riga. L’antitesi che non regge alla logicità stringente della tesi. No, in fondo non c’è molto altro da dire. «Irreale», aveva definito Federer la finale dell’Australia Open pensando a Nadal e alla simmetria delle vite parallele dei due carissimi nemici. E stata qualcosa di più. Irreale e bellissima e, soprattutto, congrua: alle aspettative, al palcoscenico, alla leggendaria densità dei precedenti (23-12 per lo spagnolo, arrotondati a oggi), alla reazione che s’innesca ogni volta che queste due categorie del pensiero si incrociano, Roger l’estetica e Rafa la critica della ragion pura, a partire da quel gancio mancino che è argomento di raffinatissima e assurda bruttezza. Cinquantotto mesi di differenza, da sempre, servono a Nadal, 30 anni, per compensare con agonismo brutale (e un fisico da toro, più che da torero) l’abbondanza di tennis nel braccio destro di Federer, 35 anni, una dote di natura come l’orecchio assoluto o il ritmo nel sangue che sostiene la certezza che lo svizzero sia il capitale umano più rispondente alla nostra idea di divinità e per questo, ogni giorno di più, idolatrato. Per il resto, Rogi e Rafa potrebbero essere le due facce della personalità di un genio bipolare. L’euforia di un dritto tirato con i piedi dentro il campo (26 vincenti di Federer) verso un rovescio-baluardo e incline a momenti di depressione (u errori di Nadal, incluso quello che regala il break del primo set sul 3-3); la lucida follia di un rovescio mai giocato in back, mai, per non dare tempo al rivale contro quella chela da granchio di terra capace di profondità abissali, un moltiplicatore di punti (19). E sulla diagonale, come sempre, che si decidono i destini di Melbourne. E quando, a tratti, Federer smarrisce il drive, quando la stanchezza (i3h4o’ in campo per arrivare in finale) lo offusca, ecco il servizio, ricco di nuove sfumature. Sul 6-4, 3-6, due rasoiate da sinistra cancellano le palle break prima che un dritto in controbalzo a velo-citi siderale gli dia il vantaggio (2-o) che Rafa non colmerà (6-i). Con Rod Laver in tribuna, dinosauro mai estinto dell’era geologica precedente, e il mostro a due teste in azione, lo spettacolo non può essere banale. II break del quarto set sul 2-1 spedisce Nadal nella zona di confort da cui estrarre la pepita al quinto game che vale il quarto set (6-3): un dritto adunco e strettissimo, che persino Roger applaude. «Nel tennis non c’è pareggio ma stasera l’avrei voluto — dirà senza ombra di piaggeria —. Rafa è l’unico avversario con cui perdere mi può star bene». Il trekking necessario per inoltrarsi nel quinto, è roba da alta montagna. Roger esce per farsi massaggiare dal fisioterapista, come con Wawrinka in semifinale. Rafa a quel punto ha nelle gambe quasi 22 ore di tennis. Strappa subito il servizio a Federer, annulla tre palle break poi, sul 2-1, vomita. Mentre il raccattapalle corre a pulire il campo, il volto di Rafa perde colore. Giallognolo come il formaggio che detesta, comincia a vedere i fantasmi. Calano le percentuali al servizio, montano gli errori (9 gratuiti). Sul 3-2 lo svizzero lo mortifica con un rovescio foderato di velluto bordeaux e lui, per il dispiacere, regala il break. Sul 4-3 (game tenuto a zero), Federer passa a condurre per la prima volta nel set. E il segnale che l’equilibrio è rotto, l’inerzia indirizzata. Una magia in allungo di dritto, pescata nel burrone di uno scambio lungo 26 colpi, manda Roger in orbita (5-3), fino a quell’ultimo drive di cui il replay esalta le virtù, semmai ce ne fosse bisogno. I numeri (i8 Slam, il primo da Wimbledon 2012), la top io riguadagnata, il senso di riconoscenza di noi tutti per la giustizia morale che questo trionfo incarna, non rendono. Al Federer che viaggia nel futuro alla straordinaria media oraria di 35 anni e 176 giorni interessa l’intensità dell’abbraccio a rete con Nadal («È speciale, mi ha reso migliore: non lo battevo in una finale Slam da Wimbledon 2007, è la mia sfida più alta»), il senso di questo ritorno dopo sei mesi di stop. «Se gioco così, cose buone possono ancora accadere». Cose buone e giuste: è di una religione, in fondo, che si parla.

 

La magia di essere Federer

 

Gianni Clerici, la repubblica del 30.01.2017

 

Mentre Nadal andava in vantaggio per 3 a 1 nel quinto set della finale dell’Australian Open, e Federer pareva troppo stanco per riuscire a fermarlo, un amico del mio club tennistico e televisivo mi sorrideva: «Adesso come farai a spiegare perché ti sei sbagliato, dopo che hai scritto e giurato a tutti noi che Federer era in grado di rivincere uno Slam, soprattutto questo Slam». Un altro, appassionato lettore, osservava «Gianni non ha nemmeno la fortuna del cronista Stendhal, che descrisse la battaglia di Waterloo vent’anni dopo che era terminata». Simile osservazione ci mise di buonumore, soprattutto mi permise di rendermi conto che avevo sì sbagliato. PERCHÉ, dopo le magnifiche prime partite di Federer, mi ero spinto a scrivere che avrebbe vinto il torneo. Ammirato del quarto turno contro Nishikori, e della semi con Wawrinka, ero entusiasta di Federer mentre Nadal mi lasciava qualche dubbio, a causa di una pur eccellente regolarità che tuttavia si confondeva spesso con un’aggressività ritardata. Il 6-3 del quarto set, e il vantaggio per 3 games a 1 di Rafa nel quinto di ieri, mi suggerivano che, una volta di più, mi ero sbagliato. Andavo pensando alla giustificazione del mio sbaglio, non solo con la sottovalutazione di un Nadal risanato, ma con l’apparente decisione di Roger di non abbandonare mai la linea di fondo, trovandosi così obbligato a colpire tutti i suoi colpi, e soprattutto il rovescio, con controbalzi che divenivano spesso mezze-volate dal fondo. Rivedo, a questo punto, i miei foglietti spesso imprecisi, rileggo il break in favore di Rafa, nel primo game del quinto, e la conferma di Nadal per il 3 a 1, con una noticina, su una palla break di Roger, “cross di rovescio Rafa, Roger non corre più”. Era proprio di lì che avrei iniziato a sbagliarmi. Federer risaliva 2-3 utilizzando quel che chiamo, come lo battezzò Jack Kramer, serve and forehand. Breccò a sua volta nel sesto game dopo essere sfuggito a due palle di Nadal per il 4 a 2, andò in testa per 4 a 3, infine completò il suo affannosissimo capolavoro con un nuovo break alla quinta palla utile, mentre anche i più cinici tra gli spettatori si alzavano in piedi, le braccia al cielo. Infine riuscì a salvarsi 15-40 quando ormai il match pareva una rissa tra due pugili entrambi groggy, con due punti in cui mi parve che il Falco, l’invenzione di Mr Hawke, assumesse aspetti divini, simile a quelli della celeste colomba. Quando simile soprendente vicenda ebbe fine, sarebbero seguite molte parole insolite, nella loro commovente civiltà, sui campi sportivi. Federer avrebbe affermato, sinceramente, che in una vicenda come quella odierna gli «sarebbe parso equo anche un pareggio». E Nadal avrebbe risposto che ((Roger ha meritato un po’ più di me di vincere». Entrambi non parevano aver dimenticato gli incidenti in seguito ai quali erano stati costretti quali convalescenti all’inaugurazione dell’Accademia di Nadal, inaugurazione che mi aveva spinto a pensare che difficilmente li avrei rivisti in campo, e ancor più difficilmente in una finale di cinque set. Ma certo, più importante di quanto scrivo mi è parsa una nuova dichiarazione di Federer, ascoltata grazie al telefono, dalla lontana Australia. «Mi spiace non ci fosse più a vedermi oggi Peter Carter, il mio primo allenatore». E vorrei ricordare che l’australiano Carter, morto anzitempo, fu il primo maestro di Roger, quando ancora gli era difficilissimo giocare un rovescio, bambino, al Centro di Macolin. Per meglio spiegare al paziente lettore quanto non sono riuscito io stesso a chiarire, cito ancora: «Quel che ci siamo detti, con Ivan Ljubicic e Severin Luthi, è stato: «Non pensare a Rafa. Pensa solo a colpire la palla, non occuparti del tuo avversario. Gioca libero, come se il tuo avversario non esistesse». Una frase inattesa, che forse spiega meglio di qualsiasi considerazione tecnica quanto è avvenuto nell’ultimo set. Riguardo a Nadal, non si può certo dirlo contento per il risultato finale, ma lo è al contrario «per essere di nuovo eguale a me stesso, anche se non ho vinto mi sono ritrovato. Soltanto con un dolorino alla schiena. Ma non grave. La cosa importante è congratulare Roger, e tornare a casa con una sensazione positiva». Non mi è accaduto spesso di vedere entrambi gli avversari sollevati da preoccupazioni esistenziali, e entrambi soddisfatti di un match. Un match, se non proprio storico, molto insolito. Finale.

 

Interv. A Paolo Bertolucci: “Il tennis si rigenera ma non ci sarà più un altro uguale a lui

 

Paolo Rossi, la repubblica del 30.01.2017

 

Bertolucci, siamo tutti pazzi per Federer. «Sì, tutti disperatamente vogliosi di condividere questa felicità. Perché lui è il tennis». L’icona del mondo della racchetta. «Esatto, incarna il desiderio di tutti e, voglio dire, un motivo ci sarà: di Slam ne ha vinti diciotto. Ma il punto è che tutti, e ribadisco tutti, hanno cominciato a imparare il tennis con il poster dello svizzero nella propria cameretta». Nadal compreso, magari. Come ricordava un certo Pietrangeli. «È così. Esatto. Avete sentito lo spagnolo? Ha usato delle parole, durante la cerimonia, che non avrebbe mai speso per nessun altro». Resta l’amore sviscerato e collettivo del mondo per Roger. «Ma si può fare altrimenti? Certe magie, determinati colpi che riescono solo a lui sono il magnete che attira ineluttabilmente tutti. Ha cambiato il piano tattico del suo gioco in corso d’opera. Ma questo è il miracolo di Ljubicic, a cui bisogna fare i complimenti». L’allenatore sempre battuto contro Federer da giocatore… «E anche questa è un’altra conferma della forza di Roger: saper ascoltare. Roger, per dire, palleggia con gli juniores, nei grandi tornei, senza alcun problema di spocchia». Ma lei non ha rischiato di allenarlo in passato? «C’è stato un momento in cui cercava un coach e, nella rosa dei candidati, ci sono stato anch’io. Ma, per onestà, non sono mai arrivato dall’essere a un passo». È grazie a Federer che il tennis non soffre di nostalgia, come invece succede ad altri sport? «In questo il mondo della racchetta ha saputo rigenerarsi. Da Borg che lo ha reso mondiale, passando per McEnroe e fino a Sampras e Agassi. Certo, la passione che la gente ha per Federer è diversa dall’essere fan di Djokovic e Murray perchè questi ultimi due giocano a specchio: sono uguali. Per questo non fanno impazzire». “Incarna il desiderio di chi vuole giocare: tutti hanno avuto il suo poster in cameretta” Federer, unico e inimitabile dunque. «Proprio così. Ciò non toglie che gli altri non siano dei campioni e che in futuro non avremo altri talenti meravigliosi. Diversi, però. Non ci saranno altri Federer. Ma immagino la prossima domanda: ‘Cosa succederà ora?’». Già: vincerà ancora altri Slam? «Ma non è la domanda che ci siamo già posta in questi anni recenti? E non abbiamo sostenuto, quasi tutti, che era già finita? E invece siamo davanti a questo nuovo, meraviglioso, trionfo». Vogliamo dirlo che c’è stata anche una certa combinazione astrale? «Dobbiamo: devono pur sempre uscire di scena anzitempo i Murray e i Djokovic, ma la qualità di gioco di Federer è stata altissima». Ha anche accennato a un “se non ci rivediamo l’anno prossimo…”. «Aveva detto che voleva giocare tanto… ma il punto è un altro, e vorrei lanciare un appello, per quanto possibile: mi piacerebbe che parlassimo sempre di Federer e non di quello che fanno Cassano o Balotelli: non sprechiamo spazio, cambiamo cultura sportiva, apprezziamo e inchiniamoci alla grandezza finché possiamo».

 

 

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