Tennis in Translation. Andy Murray: "Futuro da coach"

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Tennis in Translation. Andy Murray: “Futuro da coach”

Il tennista scozzese racconta al corrispondente del Times, Stuart Fraser, di come non sia cambiato il suo atteggiamento dopo esser diventato numero 1 e delle sue ambizioni dopo il ritiro

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È avvenuto a Parigi, nei primi di novembre, lo storico raggiungimento della vetta della classifica mondiale da parte di Andy Murray. Un trofeo altro più di mezzo metro, fatto con un cristallo di alta qualità, era stato realizzato meticolosamente per celebrare l’occasione. Questo premio sbalorditivo era arrivato nella capitale francese per essere presentato al miglior giocatore del mondo, ma gli è capitato un incidente durante il suo viaggio. “Mi è stato detto che quando è stato tirato fuori era distrutto in pezzi”, ci dice Murray. “Ma poi l’ho ricevuto 5 o 6 giorni dopo a Londra”. Fortunatamente per Murray, il suo regno al vertice del ranking non è stato di breve durata. C’è stato il rischio che restasse numero 1 solo per due settimane, se non avesse continuato la sua notevole cavalcata alle ATP Finals. Alla fine, la vittoria contro l’arci-nemico Novak Djokovic nel match conclusivo della stagione è stato il modo perfetto per solidificare il suo status da miglior giocatore al mondo.

Dopo aver vinto 24 incontri consecutivi alla fine dell’anno, Murray si è crogiolato nella piacevole sensazione di appagamento durante la pausa. “È stato mentre mi rilassavo, due settimane dopo, il momento in cui mi sono sentito più soddisfatto. Sentivo che era stato un modo grandioso di finire l’anno“. Ma appena è arrivato a Miami per un’altra sessione di allenamento pre-stagionale, esercitandosi in maniera estenuante per raggiungere la sua condizione fisica ideale, già si era dimenticato di essere numero 1 al mondo. Quando ho iniziato l’allenamento non ho pensato per niente alla cosa, davvero. Stavo solo cercando dei modi per migliorarmi e lavorare sul mio gioco”. La cosa riassume Murray perfettamente. Lui non è mai stato uno che riflette troppo sui risultati ottenuti e i fallimenti. Questa costante ricerca della perfezione è il motivo per cui ha ricevuto un così alto livello di apprezzamento da tutto il mondo dello sport. La lista di chi si è congratulato con lui – incluso il calciatore Alexis Sanchez – è più grande rispetto a quella del suo primo successo a Wimbledon nel 2013. Spiccano su tutti due messaggi sul suo telefono da parte di due figure del calcio rilevanti. “Ne ho ricevuto uno da Alex Ferguson e uno da José Mourinho. La cosa mi ha fatto piacere. Io ovviamente guardo molto calcio e loro sono due tra i migliori e più rispettati manager in uno degli sport dove è più difficile avere successo ad alto livello. È stato molto bello”.

Il crescente supporto proveniente da un pubblico comune non è passato inosservato da Murray. Ci hanno messo 10 anni alcuni per mettere da parte la battuta fatta da lui a 19 anni, durante i Mondiali del 2006, quando disse che avrebbe tifato chiunque avesse affrontato l’Inghilterra, rispondendo a Tim Henman che lo stuzzicava. Ci sono altri invece che trovano ancora difficile supportare Murray a causa delle sue maniere irascibili in campo, i continui borbottii con sé stesso condito con qualche imprecazione, e i ringhi rivolti al suo box. È un peccato che il pubblico non possa avere la chance di vederlo al di fuori dal campo: gentile, educato e riflessivo. Un esempio è il fatto che dopo la sconfitta durata quasi 3 ore contro Djokovic in Qatar, ha mantenuto la sua promessa e si è presentato a fare questa intervista – nonostante fosse l’ultima cosa che avrebbe voluto fare.

A fine anno scorso ha vinto per la terza volta il premio della BBC quale Personalità Sportiva dell’anno. Questo senso di accettazione può averlo aiutato nella scalata in cima al ranking? “È possibile”, dice lui. “Io non penso di aver davvero cambiato qualcosa in questo momento della mia carriera. C’è stato un periodo all’inizio durante il quale avevo difficoltà con tutto quello che dovevo fare, con tutto quello che riguarda essere un tennista professionista. Ma negli ultimi 7 o 8 anni, non ho cambiato molto. Forse le persone iniziano a vedermi per quello che sono; è una cosa positiva. Sentirsi a proprio agio nei propri panni e limitarsi ad essere se stessi e accettarsi così com’è, è più importante rispetto a cosa pensano le persone. Quando raggiungi questo livello di confidenza con te stesso, le persone che ti definiscono noioso, miserabile o qualsiasi altra cosa, non ti feriscono come quando eri giovane. Quando cresci sotto la luce dei riflettori e tu non sai molto bene chi sei o cosa stai per diventare, il quel caso forse è un po’ più difficile”.

Murray ora si sta preparando per gli Open di Australia a Melbourne, un posto che gli piace visitare, nonostante lo quello dello scorso anno fu uno dei tornei più stressanti della sua carriera. Non solo sua moglie Kim, che aspettava il loro primo bambino, era rimasta a casa, ma il padre di lei, Nigel Sears, all’epoca coach di Ana Ivanovic, si è sentito male sulle tribune della Rod Laver Arena. “È stata molto dura e ci sono stati un paio di momenti in cui ho pensato di lasciare e tornare a casa, con tutto quello che stava succedendo. A dire il vero penso che sia stato più duro per mia moglie che per me. Una parte della mia mente mi diceva che sarebbe stato meglio essere a casa in quel momento. Era una situazione difficile in cui trovarsi. Per fortuna tutto si è risolto e anche il torneo è andato bene”. Lo svenimento di Sears, causato da un piatto di sushi avariato, avvenne durante una partita di Murray sul Margaret Court. Lo scozzese non ne era al corrente mentre disputava il suo match, mentre quelli che sedevano nel suo box stavano freneticamente inviando messaggi al personale del torneo per assicurarsi delle condizioni di Sears. Quando Murray è uscito dal campo per incontrare sua madre Judy, il suo primo pensiero è andato al suo bambino che stava per nascere. “Questo è più o meno quello che ho pensato, ma poi ho parlato con il mio team e ho detto che se capita qualcosa del genere io voglio che me lo dicano subito. Ovviamente è stata mia madre a dirmelo e sono andato direttamente alla macchina e mi sono recato all’ospedale per vedere Nigel”.

Alla fine Sears ha recuperato velocemente e Murray è arrivato in tempo per la nascita di sua figlia Sophia. Lei e Kim viaggeranno verso Melbourne questa settimana e per la piccola bambina questo è il viaggio più lungo mai fatto e Murray ora si assicura sempre di non stare lontano da loro per più di due settimane consecutive. “Se dovessi stare 4 o 5 settimane lontano da loro sarebbe molto duro. Ma comunque cerchiamo di programmare bene il calendario in modo che la mia assenza duri circa due settimane. La cosa bella è che non è troppo, però ogni volta che guardo Sophia dopo due settimane, la trovo cambiata tantissimo. Per questo penso che se fossero 4 settimane sarebbe troppo dura, perché almeno adesso quando ritorno a casa sono eccitato nel vedere cosa è cambiato in lei. È per questo che quando alcuni membri del mio team stanno lontani dai loro figli per 4 o 5 settimane fanno un grande sacrificio e io li ammiro tanto”. Prendersi cura di sua figlia mentre viaggia con il tour non richiede le stesse abilità che servono a Roger Federer per prendersi cura delle sue coppie di gemelli. “Averne quattro è diverso, per me è molto più facile”, scherza Andy. Ma i primi giorni sono stati una vera sfida e la madre di Kim, Leonore, spesso è stato di grande aiuto. “In alcuni tornei come Montecarlo e Roma, Kim è stata da sola. E la cosa non era facile perché mentre giocavo, lei restava in hotel. Quando è arrivata sua madre è stato molto più piacevole per lei. Con me invece, io sono abituato a passare un gran numero di ore fuori casa durante il giorno, ma ora mi assicuro di esserci la mattina e quando gli facciamo il bagno. Ora che sta iniziando a muoversi un po’ le cose cambiano di nuovo. Tu non puoi semplicemente controllare con lo sguardo quello che sta facendo, bensì sei sempre in movimento, comunque fino ad ora va tutto bene. Penso che ce la stiamo cavando piuttosto bene. Abbiamo trovato un equilibrio sul numero di viaggi da fare. Penso che nel momento in qui Sophia capirà qual è il suo letto e il suo bagno, a quel punto viaggiare sarà un po’ più difficile, quindi dobbiamo solo accorgerci di quando accadrà”.

Al momento Murray si sta allenando con Jamie Delgado. “Penso di aver solo bisogno di lavorare sul mio gioco offensivo. Contro Novak a Doha mi sono comportato piuttosto bene quando ho iniziato a muovermi in avanti, prendendo il controllo di qualche punto, ma non tanti quanti avrei voluto. In certi momenti sono rimasto troppo sulla linea di fondo. Non ho grandi carichi di lavoro da fare, sento di star giocando un buon tennis, manca qualche aggiustamento e tutto andrà bene“. Pensa che potrebbe esserci qualche ostacolo psicologico che blocchi Murray, tuttavia lui rigetta questa teoria. Al momento non mi sembra di avere delle barriere mentali. Onestamente credo di aver superato queste cose. Non faccio altro che andare là fuori e dare il massimo per vincere. Finché il mio sforzo è massimo, io non mi giudico e non mi critico o penso di aver fallito”. 

Il ventinovenne ha almeno 5 anni durante i quali può lottare per dei titoli Slam, ma lui ha già fatto dei pensieri sulla sua vita dopo il ritiro. “Sono sicuro che farò sempre qualcosa legato al tennis; vorrei cercare di dare qualcosa al tennis dato che questo sport mi ha dato tanto. A me interessa molto il tennis britannico e mi piacerebbe vederlo migliorare. Probabilmente potrei allenare qualche tennista“. Andy è un grande amante del calcio – suo nonno Roy Erskine ha giocato per l’Edinburgh negli anni ’50 – lui tifa per Hibernian e Arsenal, ed è una sua ambizione quella di venir in qualche modo coinvolto con questo sport. Mi piacerebbe fare qualcosa nel calcio. Ne ho guardato tantissimo. Spesso mi metto a fantasticare su questo sport”. Qualsiasi cosa sceglierà Murray di fare dopo i suoi giorni da tennista, avverrà dopo un periodo di pausa passato in casa con la moglie Kim, la figlia Sophia e possibili altri arrivi in famiglia. Mi piacerebbe mettermi alla prova come coach, ma non penso di farlo subito dopo il mio ritiro. Voglio passare tanto tempo a casa con la mia famiglia e vedere mia figlia, o i miei figli, crescere”.

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