Mercoledì da leoni: Guillermo Canas tra East e West Coast

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Mercoledì da leoni: Guillermo Canas tra East e West Coast

Torna la rubrica sulle imprese più o meno grandi compiute da tennisti non troppo noti. Stavolta si va da Indian Wells a Miami 2007, per raccontare di quando Federer perse l’imbattibilità contro un argentino che neppure doveva esserci

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Premessa: a molti di voi questo racconto non piacerà. Da una parte c’è il re, senza macchia e senza paura, invincibile, imbattuto da sette mesi, sette tornei e quarantuno partite. Bello, elegante, algido, osannato in ogni angolo del globo. Il numero uno. Per molti destinato a diventare (se già non lo è) il numero uno dei numeri uno. Il migliore di sempre. È nato in Svizzera, uno stato che con il tennis c’azzecca davvero poco, ma è cittadino del mondo e qui in California (come pure in Florida, dove questa triste storia proseguirà) è campione in carica da tre anni. Lui è Roger Federer. Dall’altra parte c’è invece un (anti)eroe per caso, tipo Dustin Hoffman nel film di Frears, a cui il destino, questo maledetto, ha voluto concedere una chance di riscatto. Lui non dovrebbe esserci perché nel secondo turno delle qualificazioni ha perso con il tedesco Alexander Waske dopo dura lotta (7-5 al terzo) ma il belga Malisse ha i cerotti e il suo buco nel main draw viene riempito dal lucky loser di turno. Lui non dovrebbe esserci anche perché è uno degli angeli dalla faccia sporca del tennis argentino, uno dei quattro albiceleste eccellenti pescati con le dita nella marmellata proibita e squalificati per doping. Successe ad Acapulco nel 2005 e lui giura di essersi solo fidato del medico del torneo e di aver preso quel diuretico (vietato) in assoluta buona fede. Ma dopo Coria, Chela e Puerta, l’ITF non fece sconti e gli inflisse due anni di stop a partire dall’11 giugno 2005. Ecco un altro motivo per cui non dovrebbe esserci, se il Tas non gli avesse ridotto la squalifica di nove mesi e anticipato il rientro. Ma l’abbiamo detto, il destino a volte lascia le autostrade e si inerpica per impervie mulattiere con il solo scopo di mascherare le sue diaboliche intenzioni. Comunque, è Guillermo Cañas.

C’è il sole nella Contea di Riverside, ai margini del deserto tra Palm Desert e La Quinta, in questo lunedì 12 marzo 2007 e non tutti i 16.100 posti a sedere previsti nel main court dell’Indian Wells Tennis Garden sono occupati. Anzi. Del resto, tanto per tornare in ambito cinematografico e citare l’immenso Tornatore, per Roger Federer dovrebbe essere una pura formalità. È vero che “Willy” l’ha già battuto una delle due volte che si sono affrontati ma era il 2002 e lo svizzero, pur essendo già top 10, era un ventenne che ancora le prendeva da Ancic a Wimbledon e alternava momenti di luce immensa ad altri di buio pesto. Poi quella volta, sulle rive dell’Ontario, Calimero scoprì di non essere così brutto e nero e che anzi, sotto quella fuliggine, c’era abbastanza tigna da portarsi in dote il torneo più importante in carriera, ovvero il 1000 degli Open del Canada. Non c’è alcun motivo per cui Federer dovrebbe ripensare a quella sconfitta e non invece alla vittoria netta ottenuta nell’altra occasione, proprio qui in semifinale nel 2005, quando si impose 6-3 6-1. Oggi sono di fronte due giocatori agli antipodi. Uno, l’elvetico, intenzionato a battere il record di vittorie consecutive, che alcuni attribuiscono a Vilas (46) e altri a Borg (49), l’altro impegnato a risalire la china e “tornare nei primi venti alla fine della stagione, questo è il mio obiettivo” che non trasuda nemmeno troppa ambizione se si pensa che l’argentino ha avuto un best ranking di n.8, raggiunto qualche giorno prima la decorrenza della squalifica. Però adesso Guillermo ha dovuto passare sotto le forche caudine dello scetticismo e della risalita attraverso i Challenger (ne ha vinti ben quattro in poco più di due mesi), le qualificazioni e infine il ritorno alla vittoria eccellente in quel di Costa do Sauipe.

Tuttavia, Roger è consapevole che “entrare in un torneo è sempre un problema, ancora di più se hai beneficiato di un bye e ti ritrovi a giocare contro uno che viene dalle qualificazioni e ha già superato un turno”. In gergo si chiama mettere le mani avanti ma nella realtà Federer è consapevole delle insidie malcelate tra le pieghe di questa sfida. Il re ha appena vinto a Dubai ma nell’emirato il fondo è assai più veloce e la concorrenza un po’ meno agguerrita. Stranamente, non c’è un filo di vento alle quattro e mezza del pomeriggio e solo i ventagli agitano l’aria. Federer è come il clima, bello ma assai lezioso. Dopo due giochi di studio, nel terzo lo svizzero si vede costretto a salvare una palla break. Cañas corre a destra e sinistra e, quando può, mantiene profondità ma in fondo non si deve dannare troppo: sul 2-2 il suo avversario ha già accumulato 12 gratuiti. Il servizio di Federer va e viene, il dritto invece va solo: oltre le righe del campo e in rete. Inevitabile il break al quinto gioco, a cui il numero 1 rimedia dopo il cambio di campo con un game perfetto. Contro-break a zero e 3-3. Gaston Etlis, buon doppista vincitore di quattro titoli ATP in coppia con il connazionale Rodriguez e ora coach di Willy, ha i capelli che sembrano usciti dalla centrifuga della lavatrice e il sole contro gli occhi. Né lui, né il suo allievo hanno visto le delizie di Roger e l’ace finale riporta Federer in testa (4-3).

Due giochi più avanti Federer ha due set point. Il primo se lo procura con un lob perfido che costringe Cañas ad un improbabile tweener, il secondo con un tracciante di dritto incrociato che mette in dubbio le leggi della fisica ad oggi conosciute ma per lo svizzero è uno di quei giorni che due cose fatte bene consecutive sono merce assai rara e alla fine la strenua resistenza dell’argentino ha la meglio: 5-5 e tutto da rifare. Sarà, col senno di poi, il gioco del non ritorno. Federer torna nella modalità-errore, affossa in rete il rovescio del 5-6 e stavolta Guillermo ci crede di più, aumenta i giri nel servizio e chiude 7-5 con un dritto a campo aperto. L’ultima sconfitta nel circuito, Roger Federer l’ha subìta a Cincinnati pochi giorni dopo il suo venticinquesimo compleanno per mano del giovane britannico Andy Murray. Da allora, nei 41 incontri successivi ha perso il primo set in tre occasioni ed è sempre riuscito a rimediare: con Suzuki a Tokyo e con Nalbandian e Roddick alla Masters Cup di Shanghai. Tuttavia, nell’indicare una tendenza, i numeri suggeriscono al contempo l’aumento di probabilità che questa stessa tendenza venga attenuata con l’incremento dei tentativi. Certo, il tennis non è matematica pura e il teorema di Bernoulli (svizzero anch’esso, vedi un po’) non è applicabile, per volontà divina, al re. In tribuna, mentre mamma e papà Federer si nascondono dietro gli occhiali da sole, Mirka mastica nervosamente il chewing gum. Al terzo gioco del secondo set ci risiamo: Roger concede e annulla due palle break ma non la terza, che ha l’effetto di risvegliare dal torpore il pubblico californiano. Possibile? Possibile che stia perdendo da quello lì? Il campione del Pacific Life Open messo in difficoltà da un argentino che tira il rovescio bimane con i gomiti vicino al corpo e talvolta sforbiciando le gambe, mentre il dritto è ampio e profondo e arrotato quanto serve a imbarazzare il timing imperfetto dello svizzero.

I rarissimi momenti-Federer (un passante lungo linea di rovescio qui, un chip-and-charge con volee là) tanto cari a Wallace si perdono nell’Oceano Pacifico degli errori: 35, il quintuplo rispetto a Cañas che si porta avanti 3-1. Tra il quinto e il sesto gioco c’è bisogno del fisioterapista che incappuccia l’alluce destro di Roger, piagato come il suo gioco. Ad ogni punto dell’elvetico arrivano applausi di conforto ma l’operaio Willy non è un ragazzino e sa come addomesticare le emozioni. “Veniva da un buon periodo e sapevo che sarebbe stata dura” dichiarerà Federer ai giornalisti increduli. “Prima o poi dovevo perdere, non ci sono problemi” aggiunge. Di questo ne riparleremo tra poco. L’ultimo tentativo di reagire alla pigrizia arriva nel sesto game, poi perso ai vantaggi, e nel settimo Federer sfarfalla malamente due volée di dritto e si piega alla buona risposta di Cañas che adesso, sul 5-2, inizia a farci un pensierino. Willy ne ha passate troppe per cedere all’entusiasmo e sull’ultimo errore del re si concede un sorriso e poco più: 7-5, 6-2 e il record di un Guillermo ben più celebre (Vilas, 46 vittorie nel 1977 interrotte solo dalla racchetta-spaghetti di Ilie Nastase ad Aix-en-Provence) è salvo.

Due giorni dopo, Cañas rimedia un doppio 4-6 con lo spagnolo Moya e vola anzitempo a Miami per il secondo Masters 1000 della stagione. Anche in Florida il nostro deve giocare le qualificazioni ma stavolta le supera in scioltezza e viene collocato nella metà alta del tabellone. Quella di Federer, quindi.

A PAGINA 2, IL REMATCH DI MIAMI

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