Pauline Parmentier e Alizè Cornet: il tennis agli opposti

Al femminile

Pauline Parmentier e Alizè Cornet: il tennis agli opposti

Terzo articolo della serie dedicata al tennis d’oltralpe, con due protagoniste molto differenti per carriera ma soprattutto per carattere

Pubblicato

il

 

Kiki Mladenovic, Ivan Lendl e il dilemma del rovescio
Caroline Garcia alla ricerca di se stessa

Questo è il terzo e penultimo articolo della serie dedicata al tennis francese, serie che si occupa delle giocatrici incluse tra le prime cento del ranking.  Oggi è la volta di Alizè Cornet (attualmente numero 44 del mondo) e di Pauline Parmentier (numero 57); l’ultimo articolo tratterà della più giovane top 100 di Francia, Océane Dodin (in questo momento numero 59 in classifica) e della situazione, piuttosto aggrovigliata, della squadra di Fed Cup.

Pauline Parmentier
nata a Cucq (dipartimento Passo di Calais) il 31 gennaio 1986
classifica attuale: 57
best rank: 40 (lug 2008)
best Slam: 4T (RG 2014)
tornei WTA vinti: 2 (Tashkent 2007, Bad Gastein 2008)
contro top 10 in carriera (vinte-perse): 0-13
contro top 20 in carriera (vinte-perse): 5-29

In un articolo dello scorso anno ho provato a spiegare perché mi attraggono le storie delle giocatrici che a prima vista non sembrerebbero meritare considerazione, ma che invece, una volta approfondite, si rivelano interessanti.  Sono contento di poterlo fare di nuovo occupandomi di Pauline Parmentier, sicuramente la meno pubblicizzata delle giocatrici francesi presenti attualmente fra le prime cento del mondo.

Nel suo caso penso ci siano almeno due temi degni di nota che la riguardano. Il primo è legato a una questione molto complessa: vale a dire quanto deve crescere una giocatrice rispetto al movimento nel suo insieme per fare carriera. Il secondo tema invece ha a che fare con un aspetto molto più personale, e non infrequente in uno sport individuale come il tennis: la “discesa negli inferi” in seguito a una crisi totale (fisica, tecnica, di risultati) e lo sforzo per tornare ad alti livelli.

Prima questione, davvero difficile da affrontare in sintesi, ma ci provo. Penso che ogni sport, e dunque anche il tennis, tenda progressivamente a crescere sul piano dell’efficienza e della competitività. Lo dico sulla scorta di due ragionamenti. Il primo è che questo accade in tutte le discipline in cui si possono misurare oggettivamente i risultati (atletica, nuoto, etc.), che vedono nel tempo migliorare i loro record.
Il secondo ragionamento è meno scientifico, ma lo abbiamo percepito tutti: se guardiamo un match di parecchi anni fa (30-40 anni), non possiamo non rilevare quanto oggi sia cresciuta la velocità e l’intensità di gioco rispetto ad allora. A scanso di equivoci: questo non significa che i tennisti del passato fossero scarsi, i campioni sono sempre campioni; ma lo erano riferiti al contesto della loro epoca. Però, come per gli altri sport, la sensazione di notevole differenza che avvertiamo fa ritenere che anche il tennis segua una logica di progresso simile a quella di nuoto o atletica.

Probabilmente il discorso è più complesso e meno automatico per i veri fuoriclasse delle discipline (un esempio fra i tanti possibili: il record del salto in alto maschile risale ancora al 1993, dunque la misurazione oggettiva ci dice che i saltatori degli ultimi 20 anni non sono stati “forti” quanto quel Javier Sotomajor); ma se invece si fa riferimento al movimento tennistico nel suo insieme, mi pare difficile sostenere il contrario: forse impercettibilmente, ma con una certa costanza, il livello medio del tennis sale, stagione dopo stagione. Fra gli uomini come tra le donne.

Anche i nuovi attrezzi e la capacità di utilizzarli al meglio contano, e indirettamente favoriscono le nuove generazioni rispetto a quelle precedenti. Se questo è vero, significa che per una giocatrice di medio valore per crescere nel ranking non è sufficiente migliorarsi, ma dovrà farlo di una quota superiore al miglioramento medio del circuito.

Nella sua carriera Pauline Parmentier entra fra le prime cento della classifica a ventuno anni, subito dopo gli Us Open 2007, e per gran parte delle stagioni successive si assesta tra il cinquantesimo e il centesimo posto. 59, 62, 109, 102, 74, 66, 79, 116, 73: questi sono i suoi ranking di fine anno, con l’eccezione del 2013 quando termina 225ma, per ragioni di cui parlerò più avanti.
Devo dire che a distanza di tempo mi è capitato di seguire alcuni suoi match e la sensazione è stata quasi sempre la stessa: quella di una giocatrice progredita sul piano fisico-tecnico rispetto alla volta precedente. Però il ranking non lo testimoniava. Ecco perché alla fine la spiegazione che mi sono dato è che Pauline sia un caso tipico di quello che succede, anno dopo anno, nel circuito femminile: progressivamente il livello medio delle “seconde linee” sale, e per non farsi superare, e rimanere quantomeno nelle posizioni che si occupavano prima, occorre almeno migliorarsi in proporzione alla crescita media.

Sta di fatto che negli ultimi tempi secondo me Parmentier è diventata una giocatrice piuttosto solida: forse non particolarmente creativa, però capace di scambi intensi, in cui può cercare di far emergere l’efficacia del suo dritto, un colpo non devastante a livelli assoluti, ma comunque davvero incisivo e pericoloso. Forse perché mi piace umanamente nel suo modo di stare in campo, grintoso ma molto corretto, più volte ho finito per scegliere di seguire suoi match anche quando magari c’erano alternative a disposizione.

Direi che oggi la si può descrivere come una tennista con un bel servizio e un dritto che è meglio evitare. Non è altrettanto efficace dalla parte del rovescio, e preferisce comandare lo scambio piuttosto che giocare in contenimento; ma comunque non va sottovalutata o affrontata sottogamba: è un’avversaria a cui non si può lasciare troppo spazio perché è capace di approfittare delle occasioni. E non escludo che possa cercare, a 31 anni compiuti, di superare il suo best ranking (numero 40), che risale a nove anni fa, mostrando così di essere cresciuta più della media delle avversarie; con il terzo turno appena raggiunto a Miami si dovrebbe assestare a fine torneo poco oltre il cinquantesimo posto nella Race.

Il problema però è che se si incominciano a scorrere i nomi di chi la sopravanza, ci si accorge che la gran parte sono come minimo in grado di giocare altrettanto solidamente; mentre alle spalle non mancano le concorrenti che in passato hanno dimostrato di poter stare anche fra le prime 20-30 del mondo, se non più in alto. A questi livelli la differenza è determinata da tanti piccoli fattori differenti: posizione in campo, potenza dei colpi, rapidità nei recuperi, profondità di palla, etc.; saper progredire in questi aspetti, a volte anche di poco, può essere determinante per salire di posizione. Ma non è affatto semplice riuscirci.

a pagina 2: Parmentier, la crisi e la risalita

Pagine: 1 2 3 4

Continua a leggere
Commenti
Advertisement

⚠️ Warning, la newsletter di Ubitennis

Iscriviti a WARNING ⚠️

La nostra newsletter, divertente, arriva ogni venerdì ed è scritta con tanta competenza ed ironia. Privacy Policy.

 

Advertisement
Advertisement
Advertisement