Nadal, signore di Montecarlo con l’aiutino (Clerici). Nadal sogna la Decima. Finale-derby contro Ramos (Carnevale). Nadal con l’aiutino. Furia Goffin (Crivelli). Djokovic, ora serve una pausa di riflessione (Bertolucci). Trevisan lotta, Errani allunga. L’Italia a un punto dalla salvezza (Stoppini). Nastase ne combina di ogni tipo (Semeraro)

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Nadal, signore di Montecarlo con l’aiutino (Clerici). Nadal sogna la Decima. Finale-derby contro Ramos (Carnevale). Nadal con l’aiutino. Furia Goffin (Crivelli). Djokovic, ora serve una pausa di riflessione (Bertolucci). Trevisan lotta, Errani allunga. L’Italia a un punto dalla salvezza (Stoppini). Nastase ne combina di ogni tipo (Semeraro)

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Nadal, signore di Montecarlo con l’aiutino (Gianni Clerici, La Repubblica)

Lo scalpellino che incide i nomi dei vincitori del torneo di Montecarlo sta già preparando il decimo rettangolo marmoreo col nome di Rafael Nadal. Domenica Rafa dovrà completare la formalità, battendo il suo connazionale Ramos-Viñolas. Capisco che qualche lettore, memore della quantità di errori che sono riuscito ad accumulare in passato, non sia d’accordo, e che, da bravo aficionado, stia attendendo un risultato contrario, e una smentita che mi induca a pubbliche scuse per la mia presunzione. Non sono soltanto i due precedenti risultati in favore di Rafa che mi spingono al pronostico. Nadal e Ramos-Viñolas si sono incontrati soltanto due volte, la prima sulla terra di Barcellona nel 2013, con una vittoria di Rafa per 6-3, 6-0. La seconda, l’anno dopo, il perdente è parso progredire, ed ha terminato con un 6-7, 4-6 che gli fa certamente onore. Un collega spagnolo che non vuol essere citato ricorda il match come uno dei peggiori del maiorchino. Mi spingo, quindi, ad un’ipotesi che farebbe inorridire un bookmaker, o magari il mio capo-redattore, nella speranza che Nadal affronti la finale nelle buone condizioni di salute in cui l’ho visto superare il belga David Goffin. Goffin, ricordo al lettore distratto, aveva battuto nientemeno che Nole Djokovic, in un match in cui il serbo mi era parso, almeno a tratti, uscire dalle vicende che l’hanno reso battibile, siano queste dovute ai racconti dei giornali scandalistici, o all’umana impossibilità di trovarsi sempre al meglio di se stessi. A proposito del vincitore del match Nadal contro Goffin, non avrei saputo su chi puntare, non si fosse verificata una vicenda alla quale ho assistito più di una volta, nella mia vita di spettatore professionista. Una palla sbagliata. Goffin aveva iniziato con un ritmo felicemente aggressivo, e le sue accelerazioni dal fondo, la sua lunghezza di tiro, avevano messo in difficoltà Nadal. Nelle condizioni attuali, certo positive, ma secondo me inferiori a quelle del miglior Nadal degli anni passati, Rafa riusciva a opporsi al belga, ma si trovava comunque in svantaggio due games a tre. Nel sesto, vivamente lottato, il belga si issava per cinque volte alla palla utile per condurre 4 a 2. Nadal riusciva ad annullarle ma, alla sesta la sua palla atterrava quindici centimetri all’esterno della riga del campo di Goffin. L’arbitro, il francese Cedric Mourier, scendeva allora dal seggiolone, e sorprendentemente indicava un segno diverso da quello impresso nel terreno dalla Dunlop. Un segno che spazzolava la riga. Goffin era non meno incredulo del pubblico, che si ribellava, certo più di quanto facesse il belga, improvvisamente attonito, quasi non gli riuscisse di credere all’accaduto. Da quel momento il match mutava, mentre il pubblico non cessava di prendere le parti di Goffin, e rumoreggiava, fischiando più volte Nadal. Il quale, lontano 15 metri dal marchio della palla, non aveva creduto di intervenire in favore del suo avversario. Il match sarebbe di fatto terminato da quel momento. Goffin ci ha detto di esser stato troppo sconvolto per rientrare mentalmente in partita. Ricordo che, sulla terra, non viene usato il marchingegno chiamato Hawk, falco, dal nome del suo inventore. Richiesto di un’opinione, Nadal ha svicolato nell’affermare di trovarsi troppo lontano dalla palla, e ha dichiarato, giustamente, che il Falco non è preciso al 100%. Mi scuso per aver trascurato il match del futuro perdente di domenica, Ramos-Viñolas, e il match da lui vinto contro un Pouille ineguale, sul quale Tiriac dovrà certo molto lavorare per ottenere risultati comunque inferiori a quelli avuti con Nastase e Vilas. Mi perdoni il lettore per l’eccesso di opinioni.

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Nadal sogna la Decima. Finale-derby contro Ramos (Carlo Carnevale, La Nazione)

Sei e sette anni fa il Masters 1000 di Montecarlo ebbe due finali tutte spagnole, entrambe da dimenticare. Quella tutta mancina del 2010 fu disastrosa: Nadal dominò Verdasco 6-0,6-1. Nel 2011 vinse ancora Nadal che oggi punta alla “Decima”: mai incerta, ma il punteggio con cui perse David Ferrer fu dignitoso: 6-4,7-5. Sono due i record in ballo per Rafa. Se vincesse il torneo n.50 sulla terra rossa si lascerebbe alle spalle Guillermo Vilas, a 49, e sarebbe il primo a vincere 10 volte lo stesso torneo. Nadal è superfavorito (oggi, ore 14,30) contro Albert Ramos Vinolas, già battuto due volte a Barcellona 2013 e 2014 (6-3,6-0 e 7-6,6-4), anche se Ramos Vinolas è parecchio cresciuto dacché perdeva 9 volte di fila da Fabio Fognini… (e difatti le ultime due volte lo ha poi sconfitto). Brutta, infarcita di errori la semifinale vinta da Ramos Vinolas su Pouille. Era invece partita bene la seconda, con Goffin subito avanti di un break, 2-0, 3-1, finché sul 3-2 e palla del 4-2 l’arbitro francese Cedric Maurier si è inventato un overrule che smentiva la chiamata corretta del giudice di linea su un dritto di Nadal fuori di 10 cm, per poi indicare il segno di un’altra palla “defraudando” così il belga di un game che da 40-0 per lui è durato 17 m. e 9 secondi e lo ha perso nonostante 9 palle-game. 3 pari e Goffin è svanito nel nulla cosmico. Per lui un solo game su 10: 6-3, 6-1. Nadal non aveva colpa, ma il pubblico da lì in poi ha preso a fischiarlo fino alla fine. “Nadal è un giocatore corretto…è l’arbitro ad aver sbagliato” ha detto Goffin che sul 3 pari del primo set avrebbe dovuto comunque reagire diversamente.

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Nadal con l’aiutino. Furia Goffin (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Questione di centimetri. Per fortuna non ci saranno moviole eterne a perpetuare le polemiche, ma perfino in uno sport che si gioca undici mesi l’anno e per sua natura non è mai legato a un punto solo, un tennista che per un errore arbitrale esce completamente da un match fin lì controllato con grande sagacia è un episodio da annali. Povero Goffin, che stava provando a prolungare anche contro Nadal la magia dispensata nella vittoria dei quarti contro Djokovic e, all’improvviso, si trova privato ingiustamente del game del 4-2 del primo set, perdendo la bussola tecnica e mentale di una sfida che si era già fatta durissima. Il belga, piedi ben piantati dentro il campo e colpi profondi, è avanti di un break quando serve nel sesto game. Sono passati già 10 minuti dal primo punto, David ha la sesta palla per vincere il gioco e lo spagnolo spara lungo un dritto, con immediata chiamata out del giudice di linea. L’arbitro, il francese Cedric Mounier, che una volta a Roma si comportò allo stesso modo con Troicki facendolo infuriare, forse ingannato da un piccolo moto di incertezza di Goffin (indica il punto di caduta con la racchetta), scende a controllare e cambia il giudizio, sbagliando però il segno, come dimostreranno le immagini a uso esclusivo della tv (Occhio di Falco sulla terra non si utilizza), visto che la palla è fuori di almeno dieci centimetri. Una volta eseguito l’overrule, non si può più tornare indietro, anche se il belga si dispera: punto ripetuto e perso da Goffin, che dopo altri sette minuti subisce il controbreak. Partita virtualmente conclusa, perché Nadal sale con i suoi colpi, mentre l’avversario si scioglie fino a perdere 10 game su 11. Il fuoriclasse passa oltre l’episodio sfavorevole e resetta, quindi Goffin trarrà da questo episodio una lezione di maturità, però è vero che stava già chiedendo gli straordinari alla sua concentrazione e dunque ha finito per smarrirsi: «Eravamo in campo da 40 minuti e stavamo solo 3-2, quindi l’intensità era altissima. Fin lì avevo giocato un grande match, sapevo di dover essere focalizzato al cento per cento su tutti gli aspetti della partita e poi ti arriva una decisione simile quando sei sicuro di aver ottenuto il 4-2. A quel punto ti serve il doppio di energia fisica e mentale per andare oltre quella situazione, ma io ero già al massimo e oltre. E lui ha cominciato a giocare sempre meglio». Quanto alla scelta dell’arbitro, per David rimane incomprensibile: «Non era nervoso, mi ha indicato un segno e mi ha detto che immaginava fosse quello giusto, ma non lo sapeva neppure lui. Non ce l’ho con lui, ma ha commesso un errore a cui non poteva più rimediare». Da quel momento, incredibilmente, considerando il legame di Nadal con questo torneo, il pubblico sarà ingeneroso con lo spagnolo e lo fischierà frequentemente, considerandolo colpevole di non aver concesso quel maledetto punto. Una stupidaggine, che un Rafa gigantesco per autocontrollo e motivazioni rimanderà al mittente: «La gente a volte non sa le cose. Se la palla è dalla mia parte e la chiamata è sbagliata, io restituisco il punto, è successo mille volte. Ma ero a più di venti metri, dall’altra parte, e quando è stato chiamato l’out ho chiesto l’asciugamano per andare a servire. Poi l’arbitro dice che è buona: io cosa devo fare? A fine match ci siamo parlati con David, gli ho fatto i complimenti, ma non siamo tornati sull’argomento, io non potevo farci nulla (e lo riconoscerà anche Goffin, ndr). Quanto ai fischi, non cambiano il mio amore per questo posto e questo torneo». Che oggi proverà a vincere per la 10^ volta in 11 finali, un enormità tecnica, trovando sulla sua strada un altro mancino spagnolo, la sorpresa Ramos, troppo solido e costante per il talento alterno di Pouille: «Sta avendo una settimana fantastica, dovrò essere il miglior Nadal per batterlo». Alla faccia dei fischi.

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Djokovic, ora serve una pausa di riflessione (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

Quando Djokovic venerdì è uscito sconfitto dal Centrale di Montecarlo, il sole stava calando, quasi a simboleggiare il periodo che sta attraversando il serbo. Anche contro Goffin ha buttato il primo set e non ha afferrato la partita nel terzo quando aveva la semifinale a portata di mano. Da giocatore solido, impavido e temerario, il campione serbo appare oggi svuotato nella mente, con poca carica agonistica e in difficoltà nel recuperare le energie dopo uno scambio dispendioso. Dove è funto il giocatore dominante degli anni scorsi? Non ha certo dimenticato come si gioca a tennis e in certi momenti mostra ancora soluzioni abbaglianti. Le partite però si vincono con la continuità di rendimento, la pressione continua, le scelte tattiche appropriate, la tenuta fisica costante. I tormenti mentali, il capo chino e lo sguardo basso, le ripetute smorzate per liberarsi dallo scambio sono i sintomi evidenti della malattia che lo ha colpito. C’è solo una medicina per guarire e tornare ai livelli abituali: prendersi una lunga pausa facendo scelte dolorose, farsi una serie di domande anche scomode e brutali e dopo aver trovato le risposte tornare ad allenarsi. Solo liberando la mente e assemblando la parte tecnica potrà tornare ad essere il magnifico campione che ha dominato la scena fino al Roland Garros dell’anno scorso.

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Trevisan lotta, Errani allunga. L’Italia a un punto dalla salvezza (Davide Stoppini, La Gazzetta dello Sport)

«Rifarei tutto, non cambierei nulla della mia vita». E il sorriso di Martina Trevisan, 23 anni, è dolce come una vittoria al terzo set, 12-10, al primo incontro vero in Fed Cup con l’azzurro addosso e dentro al cuore. La copertina del 2-0 dell’Italia contro Taiwan è tutta di questa ragazza nata a Firenze, alla sua seconda carriera da tennista. La prima l’aveva chiusa nel dicembre 2009, dopo un torneo sulla terra a Vinaros, in Spagna. Aveva detto basta, stritolata da alcuni infortuni di troppo – l’ultimo dei quali alla spalla -, qualche voce asfissiante al suo fianco e le aspettative di grande promessa che sentiva di non riuscire a mantenere. E così il buio: via la racchetta. «Ma ho sempre pensato di potercela fare, non ho mai mollato», racconta ora lei. Sembra la metafora perfetta del successo di ieri contro la Lee. Che sia la chiusura di un cerchio o l’inizio di una di una storia, dipende da che punto si guarda la vita. Nel maggio 2014 il ritorno in campo, la risalita, una classifica Wta che ora dice 221. «Ma ero forte anche prima — dice lei —. Ora sono solo più matura, ho imparato a riconoscere determinate situazioni, sono cresciuta. Fare questa vita è molto difficile, non è semplice riuscire a fare il salto. A chi vive i momenti che ho passato io dico di dar retta ai segnali che manda il proprio corpo, di essere se stessi e non ascoltare le chiacchiere di chi ti sta intorno. Semplicemente di fare le cose divertendosi. E ora io su un campo di tennis mi diverto. Questo è un punto di partenza per me, è un match che non dimenticherò mai». Merito anche del capitano Tathiana Garbin: «So che Martina sa tirarsi fuori da situazioni critiche. Attraverso le sofferenze è cresciuta molto, il suo vissuto l’ha resa più matura della sua età». Matura al punto da girare una partita che dopo un’ora la vedeva sotto di un set, 3-3 e 0-40. «Poi ho lasciato andare il braccio, ho messo dentro una palla corta, tirato fuori un urlo e mi sono sbloccata — racconta la Trevisan —. Non è stata la mia miglior partita. Ma la più emozionante, la più sofferta, la più…tutto. E la dedico a mio fratello Matteo (tennista pure lui, ndr)». A proposito di fratelli: a Barletta c’era anche Davide Errani, che ha visto la sorella Sara trionfare in scioltezza (6-0 6-2 in un’ora esatta) contro la Hsu. Due a zero Italia: per scongiurare la Serie C manca l’ultimo passettino.

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Nastase ne combina di ogni tipo (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Ilie Nastase perde la simpatia, ma non il vizio: di provocare. Da giocatore “Nasty” riusciva (quasi) sempre a divertire con i suoi siparietti; da 70enne capitano della Romania in Fed Cup nelle semifinali di Costanza contro la Gran Bretagna è decisamente andato oltre il limite. Durante il match fra Sorana Cirstea e Johanna Konta ha prima insultato la tennista avversaria, poi si è messo a litigare con l’arbitro che lo aveva ammonito, finendo per farsi espellere dopo essersela presa – pesantemente – anche con la capitana britannica Anne Keothavong. Il match è stato interrotto una prima volta per venti minuti, ma alla ripresa la Konta, stavolta insultata dal pubblico, è scoppiata a piangere, tanto che la n. 1 romena Simona Halep è dovuta entrare in campo per calmare gli spettatori spiegando che la squadra di casa rischiava la squalifica. Non è però l’unica gaffe commessa da Nastase. Sia alla cena ufficiale sia alla conferenza stampa, forse confidando sulla sua un po’ consumata fama di playboy, Ilie aveva chiesto il numero di camera alla Keothavong, e si era poi lasciato andare a commenti grevi – in romeno, ma a microfono aperto – sulla futura maternità di Serena Williams, alludendo al diverso colore della pelle della campionessa americana e del suo fidanzato Alexis Ohanian («vediamo di che colore sarà: cioccolato al latte?»). La Federazione internazionale ha immediatamente aperto un’inchiesta, spiegando che «L’Itf non tollera linguaggi e comportamenti discriminatori di qualsiasi tipo». Un finale triste per la carriera di questo ex n.1 del mondo, che negli anni ’70 divenne famoso oltre che per i tanti successi (due Slam vinti a Parigi e New York) anche per il suo gusto per gli scherzi: dal gatto nero buttato in campo a Roma prima di un match contro il superstiziosissimo Adriano Panatta, al pigiama indossato per protestare contro un orario di gioco troppo mattiniero. Durante il Masters del 1975 riuscì a far perdere le staffe persino ad un campione di self-control come Arthur Ashe – che Ilie chiamava “Negroni” e con cui giocò anche in doppio dipingendosi di nero la faccia. Anche quella volta scoppiò il caos. L’americano abbandonò il campo infuriato, ma il supervisor squalificò Nastase, che poi si fece perdonare presentandosi in camera di Ashe con un mazzo di rose. Meno simpatica fu per gli americani Smith, Gorman e Van Dillen la finale di Coppa Davis del 1972 giocata proprio a Bucarest contro la Romania di Nastase e Tiriac, che fece di tutto per izzare il pubblico di casa fra un “furto” e l’altro perpetrato dai giudici di linea. Gli americani allora tennero duro, come del resto ha fatto la Konta che poi ha vinto il match. A perdere è stato soprattutto Nastase. «La mente di Ilie? E’ come un uccello in gabbia», ha detto una volta Tiriac. Qualcuno deve aver aperto la porta.

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