Maria veni, vidi, Vinci: "Sì, sono tornata bambina" (Cocchi). Dal doping alla rinascita: Sharapova, rientri e Vinci (Scanagatta). Dopo l'esilio, Maria torna padrona (Semeraro). È tornata Maria, feroce come prima (Piccardi)

Rassegna stampa

Maria veni, vidi, Vinci: “Sì, sono tornata bambina” (Cocchi). Dal doping alla rinascita: Sharapova, rientri e Vinci (Scanagatta). Dopo l’esilio, Maria torna padrona (Semeraro). È tornata Maria, feroce come prima (Piccardi)

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Maria veni, vidi, Vinci: “Sì, sono tornata bambina” (Federica Cocchi, Gazzetta dello Sport)

«Yes, yes, yeeeeeeeeees», quindici mesi di passione, la fatica del primo match, l’ansia di uscire battuta. Nei tre «yes» urlati a squarciagola dopo aver battuto Roberta Vinci 7-5 6-3, c’era tutta la rabbia di Maria Sharapova, al ritorno dalla squalifica per doping che l’ha tenuta lontana dai campi dal 26 gennaio del 2016, sua ultima presenza in campo. Erano i quarti di finale dell’Australian Open, ed era uscita sconfitta da Serena Williams. Proprio un controllo durante il torneo aveva svelato la sua positività al famigerato Meldonium che lei, è la sua linea difensiva, assumeva da dieci anni per problemi di salute. Nessuno del suo staff si era accorto che da gennaio il mildronate era entrato tra le sostanze proibite, facendola cascare in un trappolone che avrebbe rischiato di pregiudicarne per sempre la carriera.

E invece rieccola, fiera, altezzosa come sempre, accolta dagli applausi e da qualche striscione, pochi a dire il vero, sulle tribune della Porsche Arena, dove ora Maria va a caccia del quarto titolo. E non è un caso che il rientro sia stato proprio a Stoccarda, città della Porsche che dà il nome a questo Grand Prix di tennis. La wild card per giocare dal primo giorno utile dopo la squalifica è arrivato proprio grazie allo sponsor. La casa automobilistica non aveva esitato un secondo a mollarla dopo l’annuncio della positività del marzo dell’anno scorso, ma non ha esitato un attimo a sfruttarne di nuovo l’immagine appena Maria è tornata in gioco. Il direttore del torneo lo ha detto chiaramente: «Abbiamo invitato la Sharapova perché lo meritava, per quanto ha fatto per gli sponsor. Non avevamo bisogno di lei per i biglietti, perché qui la gente viene lo stesso per vedere la Kerber».

Evviva la sincerità, degli organizzatori come delle colleghe che, quasi unanimemente, hanno osteggiato la pioggia di wild su Maria. Una polemica feroce, che ha costretto anche gli organizzatori del Roland Garros a fare un mezzo dietro front: faranno sapere solo il 16 maggio se la Sharapova sarà invitata e in che modo. Nel frattempo, tra Stoccarda, Madrid e Roma, Masha, che al Bois de Boulogne ha trionfato due volte, potrebbe aver accumulato abbastanza punti da rendere più solida la sua classifica e quel punto l’invito sarebbe meglio accettato.

Parigi val bene una messa, e anche di più: «Se dovessi giocare le qualificazioni per il Roland Garros? Se fosse necessario giocherei anche un torneo junior. E’ uno Slam, ho vinto due volte è ovvio che sia importante per me. Ma ora devo pensare a togliermi la ruggine di dosso. Intanto mi sembra di essere tornata bambina». Le colleghe la detestano ma lei, dall’alto del suo metro e 83, non si scompone: «Non posso controllare le parole o il pensiero degli altri —dice Maria dopo il match — non è il mio lavoro. 11 mio mestiere è stare in campo e giocare. Essere amica delle altre può migliorare il mio tennis? Non credo». Tornare alla normalità, alla normalità di un’atleta è quello che più desiderava la Sharapova in questi lunghi mesi di assenza: «Ho fatto tante belle esperienze, lavorato, studiato. Ma adesso finalmente torno alla mia vita di giocatrice. Senza Serena tutto sarà più facile per Masha: «Per lei sono molto felice, la maternità è il più grande dono che una donna possa ricevere».

La Vinci la butta sulla battuta: «Il match di Maria contro Makarova non lo guardo, me ne vado al mare», è il commento della tarantina cui è toccato l’ingrato e arduo compito di accogliere la russa al rientro. Roberta è partita benissimo salendo fino a due a zero. Ma pian piano Maria è cresciuta di colpi e fiducia e profondità, servendo benissimo (alla fine 11 ace per lei, con l’81% di punti sulla prima) e rispondendo con cattiveria senza lasciare scampo alla nostra sulle seconde. «Lei è forte — continua la tarantina —, ha voglia di mostrare a tutti il suo valore dopo aver scontato la squalifica. Non è una tennista che torna da un infortunio, non ha mostrato punti deboli e forse si è addirittura rafforzata (…)

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Dal doping alla rinascita: Sharapova, rientri e Vinci (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)

Tenendo fede al titolo della sua biografia in uscita a settembre, Maria Sharapova, ieri al rientro dopo 455 giorni è stata «Unstoppable» (inarrestabile) per Roberta Vinci che ha giocato benino se si pensa che in 70 giorni non aveva più vinto una partita, ma non abbastanza per fermare la tigre siberiana che ha servito quasi meglio di sempre: 11 aces e solo 9 punti persi in battuta nei 7 game più decisivi, gli ultimi 4 turni del primo set vinto 7-5 e gli ultimi 3 del secondo meno incerto vinto 6-3. Maria, che al mattino aveva potuto finalmente allenarsi nell’impianto che le era stato proibito, si è ripresentata tesa in volto, ma riprendendo subito le antiche abitudini ha lanciato i suoi tipici gemiti strozzati su ogni palla e su ogni punto fatto. La Vinci, che sognava di ripetere l’exploit dell’Us Open 2015 con Serena Williams, è partita bene, 2-0 e due palle per il 3-0 che avrebbero forse potuto dare un’altra direzione alla partita.

Però la Sharapova, nell’arena battezzata dallo sponsor Porsche, ha dimostrato di non aver perso l’antica grinta che le ha consentito di trasformare i punti più importanti, sparando bordate impressionanti soprattutto di risposta quando Roberta non metteva dentro la prima di servizio. E ne ha messe troppo poche: il 57% contro il 73% di Maria. Anche se negli spostamenti laterali Maria non è apparsa impeccabile, ma ha giocato anche inconsueti colpi slice, non è sembrata però per nulla condizionata dai tanti commenti negativi delle colleghe che contestavano soprattutto l’organizzazione del torneo che l’aveva attesa fino a mercoledì (la Vinci è a Stoccarda da venerdì} per far decorrere i 15 mesi di squalifica. La Vinci è riuscita a stare in partita fino al 5-4 per lei, salvando palle break sia nel sesto sia nell’ottavo game, ma poi ha perso 5 game di fila. Alla fine, fra grida e “com’on!” Maria, nel fare i soliti inchini celebrativi ad ogni lato delle tribune appariva un filino commossa (…)

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Dopo l’esilio, Maria torna padrona (Stefano Semeraro, La Stampa)

E’ entrata in campo da paria, Maria Sharapova, ne è uscita da padrona. All’inizio il solito passo da gendarme, gli occhi bassi mentre i laser della Porsche Arena di Stoccarda le sfarfallavano attorno; alla fine gli occhi che ridevano, qualche lacrima di commozione dopo le urla di gioia e rabbia con cui si è staccata di dosso i 15 mesi di sospensione per la positività al Meldonium e le parole respingenti, acide, con cui quasi tutto il mondo del tennis aveva salutato il suo rientro: niente cortesie per la dopata che fmo a ieri a Stoccarda aveva dovuto allenarsi da reietta su un campo di periferia, a Sillenbuch, mescolata ai tennisti della domenica. In mezzo ci sono stati i due set (7-5 6-3) con cui Masha si è liberata di Roberta Vinci, la numero 36 del mondo, vincendo il suo primo match dopo 456 giorni di esilio. «Quando sono entrata in campo mi è sembrato di tornare bambina», ha detto. La bambina volata via dalla Russia con 700 dollari in tasca, e che negli Usa si è costruita senza mai mollare una vita da superstar, 36 milioni di dollari vinti in montepremi, più di 300 di patrimonio. A settembre uscirà la sua autobiografia, con un titolo – «Inarrestabile» – che non poteva essere più azzeccato. «Neanche io so come sono riuscita a diventare quella che sono».

Come fa a vincere le partite, nell’occasione la terza su tre incontri con la Vinci, nel torneo a cui dà il nome uno degli sponsor che non l’hanno mai mollata, e nel quale in carriera ha già vinto tre volte, invece è chiaro a tutti. Le sono bastati due game per riprendere le misure del campo, poi ha ricominciato a martellare con il servizio (81% di punti con la prima palla, 11 ace a 0), a fulminare con la risposta ogni volta che Roberta era costretta a ricorrere alla seconda palla, a disegnare il campo con il rovescio. Recuperato in fretta il primo break ha spezzato il match con un parziale di cinque game a zero fra fine del primo set e inizio del secondo, mentre Francesco Cinà, il coach della Vinci, provava inutilmente a scrollarla («Alza la testa!»). Troppa Sharapova. Oggi al secondo turno le tocca la connazionale Makarova, se qui arriverà in finale al Roland Garros non avrà neppure bisogno della wild card per le qualificazioni che a Parigi sembrano volerle concedere. «E l’inizio di un nuovo viaggio, non so dove mi porterà (…)

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E’ tornata Maria, feroce come prima (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

Sotto la visiera color ortensia, 455 giorni dopo, lo stesso sguardo feroce. Snellita dalle corse in salita sulle dune di Hermosa Beach, dietro casa in California, motivata dalla squalifica per meldonio (ritenuta ingiusta per l’inadeguatezza della mail con cui l’avvertivano della variazione della lista Wada), Maria Sharapova comincia la nuova vita tra gli applausi tiepidi del torneo che, armato del marchio Porsche, l’ha fortemente voluta contro il parere dello spogliatoio, che avrebbe volentieri costretto la divina ex dopata al purgatorio delle qualificazioni. Stoccarda ha tutto ciò che serve: gli euro, le auto di lusso ai quattro angoli del centrale, un impianto da sogno, gli spot al cambio di campo, la civiltà di un pubblico che batte le mani educato senza prendersi la libertà nemmeno di un fischio. È un piccolo circo addomesticato, che la tigressa siberiana onora battendo 7-5 6-3 Roberta Vinci da Taranto, Italy, la meravigliosa artigiana che soccombe al potere della multinazionale («E già ad alto livello: ma ragazzi, mica rientra da un infortunio» ci ricorda), tornata ieri a fatturare i suoi 30 milioni di dollari stagionali: «Ero tesa ma quando mi sono rilassata ho ritrovato il mio tennis». E viceversa. E il tennis, orfano di Serena Williams (incinta), Petra Kvitova (reduce dall’aggressione), Vika Azarenka (neo mamma), zavorrato da una generazione di mezzo che non decolla e orbo di stelle, ad aver bisogno della campionessa dei cinque Slam.

Bella, ricca, brava. Magari non simpaticissima («Non chiacchiero sotto la doccia? Quello che pensano le altre di me è l’ultimo dei miei problemi»). Scivolata sul meldonio, certo. Ma se ad Anna Karenina fu concesso di tornare in società dopo aver tradito il marito con Vronskij, non si vede perché non debba poterlo fare dopo il flirt proibito quest’altra eroina russa da feuilleton, cui la squalifica ha — probabilmente — allungato la carriera. È ancora una Sharapova in rodaggio, a caccia degli automatismi di un tempo, sostenuta da una carica agonistica imbottigliata a lungo, che rischiava di andare in aceto. L’ultimo match sulla terra l’aveva giocato addirittura al Roland Garros 2015. Roberta è bravissima a non darle ritmo, a costringere i 190 cm della russa a piegarsi per raccogliere back di rovescio rasoterra, ma Yutaka Nakamura e Jerome Bianchi, il personal trainer giapponese e il fisioterapista francese che hanno rifinito la preparazione nel sobborgo di Sillenbuch, prima che la Sharapova (dalla mezzanotte di mercoledì) avesse accesso all’impianto, hanno tirato a puntino la macchina, già spaventosa quando dilaga.

L’urlo finale, l’ultimo di una gamma che il tempo (ahinoi) non ha scalfito, è stato da finale Slam, altro che primo turno di Stoccarda. Pur raggiante, Maria riesce ad essere algida: «Stare su un campo da tennis è la miglior sensazione che ci sia nella vita. Ho sempre saputo che sarei tornata. Nel frattempo sono andata a scuola, ho lavorato, ho seguito il mio business, ho vissuto in modo finalmente normale. Mi sento cresciuta come persona. Ed è questo il regalo più bello che ho ricevuto dallo stop forzato. Alla fine giocare a tennis è ciò che so fare meglio. ll viaggio è ricominciato». L’obiettivo, fuori Serenona, è tornare il prima possibile numero uno. Ora Madrid e Roma con invito e tappeto rosso, poi l’incognita di Parigi, lo Slam così radical-chic da volersi distinguere nel non mandare un messaggio sbagliato al mondo: «Giocherei anche un torneo junior, se fosse necessario. E non posso controllare quello che gli altri dicono di me. Invitandomi non mi regalano niente: il trofeo, poi, devo vincerlo io (…)

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