Albert Montañes, elogio di un terraiolo

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Albert Montañes, elogio di un terraiolo

Si è conclusa a Barcellona la carriera di Albert Montañes. 18 anni di corsa, fatica, topspin e terra rossa. Ma che bel rovescio

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L’ultima palla colpita in carriera dallo spagnolo Albert Montañes, ed è giusto e bello che sia così, è stata un rovescio alto in top in risposta al servizio esterno di Feliciano Lopez, che va in avanzamento e chiude con il dritto dall’altra parte. Rovescio splendido, l’ennesimo e conclusivo dopo milioni tirati nello stesso modo ai quattro angoli del mondo. Rovescio ovviamente alto, doppiamente difficile, perchè i topspin assassini dei power-player moderni costringono costantemente i giocatori come Albert (1.75 per 70 kg) a tirare giù quasi ogni colpo da sopra l’altezza delle spalle. E rovescio necessariamente coperto, perchè il lusso dello slice appoggiato in controllo, se non hai la sensibilità di Federer o della Vinci che lo piazzano con le mani vicino alle righe, non te lo puoi permettere, se perdi campo sei fritto.

Albert chiude a 36 anni, dopo 18 stagioni e 542 partite nel circuito, delle quali ben 212 vinte sulla terra rossa. Si porta a casa, per la bacheca dei ricordi, sei titoli (mica poco), un best ranking di 22 ATP, e una collezione di scalpi illustri non da ridere: Davydenko, Nishikori, Ferrero, Monfils, Federer, Cilic, Nalbandian, Ferrer, del Potro tra gli altri.
Andre Agassi aveva coniato un nomignolo per i giocatori come Montañes: li chiamava “ratti da fango”, con un misto di fastidio ma anche timore, una razza di tennisti poco spettacolari, tutti fisico, cuore, testa e gambe, ma terribilmente continui, e che non regalano mai nulla. In una parola, pericolosi. Sulla prediletta terra battuta, spesso letali.

Il buon vecchio Albert è stato un ratto da fango di lusso, dotato di ottimo dritto, servizio a lancio basso e mulinello anticipato efficacissimo per aprirsi il campo, e soprattutto, come detto, di un grande rovescio a una mano, con cui era capace di sorprendere spesso e volentieri gli avversari con lungolinea fulminanti. Ci mancherà, perchè a uno spagnolo che ha l’umiltà di indicare come propri punti di riferimento David Ferrer, Juan Carlos Ferrero e Albert Costa, invece dello scontato Rafa Nadal, non si può non volere almeno un po’ di bene.

Lo salutiamo con affetto, e come è giusto, con un breve video che ne mostra le qualità migliori: non siamo sulla terra, ma agli US Open del 2010, l’avversario era un altro che ha smesso (ed è stato un peccato terribile), Robin Söderling. Ammiriamolo, dal basso e di lato, la prospettiva più adatta a valutare la tecnica esecutiva, prima al servizio, poi in risposta. In entrambi i punti, spinta, difesa, footwork perfetto, e il tracciante anticipato piatto di rovescio a chiudere in bellezza. Grazie di tutto, Albert, cappellino girato all’indietro, grinta e sacrificio, poche parole e tanto lavoro. Avercene.

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