Parla Silvia Farina: una generazione quasi finita

Interviste

Parla Silvia Farina: una generazione quasi finita

Silvia Farina è stata l’apripista della generazione magica di Pennetta e Schiavone: in un incontro sul mental coaching racconta la sua carriera. Giovedì ha compiuto 45 anni

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Il 20 maggio del 2002, Silvia Farina raggiunse la posizione numero 11 del ranking WTA, la più alta mai raggiunta da un’italiana fino a quel momento; circa quaranta punti la separavano dalla Top10 WTA, una vittoria praticamente, quella che mancò la settimana prima nel terzo turno degli Internazionali d’Italia, quando perse al terzo set con Sandrine Testud, buonissima tennista francese (coetanea della Farina) che stazionava solidamente tra le prime 20 del mondo (fino anche alla nona posizione) da diversi anni.

In quell’epoca, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, il tennis femminile in Italia non aveva molte rappresentanti di rilievo, di sicuro pochi erano gli elementi che avrebbero lasciato pensare a una striscia di successi incredibili durata circa un decennio: dai titoli in Fed Cup, a quelli negli slam – sia in singolo che in doppio – fino alla top10.

Per costruire tutti questi successi, c’è stato bisogno di lavoro, talento, fortuna, ma anche di qualcuno che desse l’esempio, che facesse dire alle altre ‘ce la posso fare anche io’, come spesso hanno ricordato Pennetta, Vinci e via dicendo. Ebbene quell’esempio fu proprio Silvia Farina, apripista di una “generazione di fenomeni” che adesso sta finendo.

Incontriamo Silvia in occasione di una conferenza sul mental coaching presso l’Associazione Tennistica Piombinese, accompagnata dallo psicologo Ignazio Surra che collaborò con lei negli ultimi anni della sua carriera. Attualmente commentatrice per Supertennis e mamma di due bambini, Silvia conserva ancora i modi e l’eleganza che la contraddistinguevano sia dentro che fuori dal campo; con calma apparente e un briciolo di fragilità ripercorre la sua carriera, i primi passi nel tennis, la lontananza dalla sua famiglia già a 15 anni, la difficoltà nel trovare una guida nei primi anni di professionismo, i successi e gli infortuni, fino al raggiungimento del suo sogno, quello che scriveva nei temi di scuola, diventare una tennista.

Si commuove tornando indietro ai momenti in cui qualcosa nella sua mente scattò: “Più o meno verso la fine del 2002, inizio del 2003, cominciai ad avere delle sensazioni strane in campo,” dice Silvia durante la conferenza, “ogni scelta mi sembrava quella sbagliata e mi sentivo in crisi. Mentalmente avevo dei blocchi. Poi grazie anche a Ignazio (Surra, ndr) riuscii a ritrovare delle motivazioni in me stessa. Il mio giudizio e quello esterno sono sempre stati incredibilmente importanti, volevo essere all’altezza di tutto e di tutti, ma da quel momento in poi imparai a fregarmene, a giocare solo per me stessa per il piacere di farlo, vivendo il momento. Una lezione che ancora oggi mi porto dietro e metto in pratica nella vita di tutti i giorni.

Dopo aver emozionato il pubblico con i racconti della sua carriera, c’è tempo anche per qualche domanda a quattr’occhi. Sul blocchetto ci sono 17 domande, ma nessun tennista (o ex tennista) ha mai concesso un’intervista che vada oltre qualche minuto e per non buttarne neanche uno, gli argomenti spaziano; ripartiamo dal cuore della conferenza, l’aspetto mentale nel tennis: “Sicuramente è un aspetto fondamentale nello nostro sport,” afferma l’ex numero 1 d’Italia, “che però deve essere in sintonia con altri aspetti fisico-tecnici indispensabili. Puoi essere forte di testa ma poi devi anche avere altre qualità. È ovvio che nello sport di alto livello, non solo nel tennis, questa è la qualità che ti rende vincente.

Durante la conferenza tocca solo brevemente l’argomento riguardante lo scomodo triangolo maestro-allievo-genitore. Da piccola i suoi genitori, appassionati di musica, l’avevano messa su un panchetto di fronte a un pianoforte, tentando di infondergli la loro stessa passione come avevano fatto con suo fratello e sua sorella prima di lei. Con loro aveva funzionato, Silvia invece si rese conto che non faceva per lei e a nove anni, dopo aver provato numerosi sport di squadra, scoprì il tennis. Aveva trovato la sua passione, il suo mondo, un sogno da inseguire e i suoi genitori non le impedirono mai di provarci, sostenendola e assecondandola in tutto il suo percorso. Una fortuna che non tutti hanno; il tennis e lo sport in generale, è stracolmo episodi spiacevoli episodi riguardanti questo intreccio di rapporti, nel quale il più delle volte chi ne subisce le conseguenze è il bambino. Ma allora, come si devono comportare i genitori con i maestri e viceversa? “L’importante è riuscire a interagire bene, ma soprattutto ognuno deve rispettare il proprio ruolo, il genitore deve fare il genitore e lo stesso vale per il maestro, ci deve essere una linea che delimiti tutto ciò. I genitori non devono essere troppo invadenti o andare oltre il loro campo, devono sostenere i figli e dare fiducia all’insegnante così che possa avere libero arbitrio nel suo lavoro.

Silvia è attenta a quello che dice, ma non cerca di essere “politically correct”. Sono passate poche settimane dalla disfatta dell’Italia in Fed Cup e sull’argomento “Crisi del Tennis Italiano Nonostante Buoni Risultati a Livello Giovanile” mantiene la sua oggettività e nelle sue parole forse si legge un certo disaccordo nei confronti di un sistema che evidentemente ha qualche lacuna: “In realtà al momento non vedo neanche tutti questi buoni risultati a livello giovanile. Secondo me è un momento veramente brutto come vediamo anche dalla squadra di Fed Cup, non c’è riciclo. Ci sta comunque che i nostri ragazzi maturino più tardi, fa parte anche della nostra cultura, ma oggi non ci sono neanche ragazzi che facciano risultati di rilievo a livello juniores, quindi è un momento molto delicato e difficile.

Anche in questo caso lei rappresenta un esempio. Nel 1990, nella sua Milano, divenne la prima italiana a vincere il Trofeo Bonfiglio, ma solo intorno ai 30 anni seppe confermare il suo valore, anche se il suo non fu un problema di maturità: “Innanzitutto ho iniziato più tardi rispetto ai bambini di oggi, ma soprattutto ho avuto un percorso un po’ contorto prima di trovare la mia giusta dimensione, quindi ho perso un po’ di tempo. Ora tutti i giocatori hanno i loro migliori risultati dai 27 anni in poi.

Il suo linguaggio del corpo dice ‘un’ultima domanda e poi basta’. È il momento per lanciarne una sul suo futuro, magari in veste di coach: “Ho lavorato quattro anni part-time per la FIT. Ora faccio solo i commenti in TV e non ho particolari obbiettivi anche perché ho due figli e da donna e da mamma è difficile impegnarsi a livello lavorativo, però la porta per il tennis è sempre aperta e chissà, magari nascerà qualcosa di nuovo.

Durante tutta la giornata le sue parole lasciano intravedere le varie difficoltà che ogni atleta deve superare lungo una carriera. Non c’è medicina per questo, esiste solo la passione, trasmessa da esempi come lei.

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