Siegemund: "La teoria sul campo non serve"

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Siegemund: “La teoria sul campo non serve”

Laura Siegemund dopo la vittoria a Stoccarda. Nonostante sia laureata in psicologia con una tesi sul fallimento, assicura che la teoria non c’entra con il suo trionfo

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Inconfondibile. L’inflessione teutonica in chi è “costretto” a parlare inglese. Un po’ come quella italiana, non ce ne voglia – la fantastica – Roberta Vinci che proprio a Stoccarda ai microfoni ha dato spettacolo. Impossibile quindi equivocare la nazionalità della vincitrice del Premier di Stoccarda, finanche per chi non conoscesse la leggenda secondo la quale ogni 12 mesi Laura Siegemund nasconde un costume da supereroe proprio alle porte della Porsche Arena e lo indossa poco prima di scendere in campo. Questa volta però l’ha portata fino in fondo. Nonostante una Mladenovic combattiva, nonostante abbia rischiato di pasticciare per un warning – evitabile? – ricevuto quando il match sembrava nelle sue mani.

In fondo Laura è una guerriera, un’Amazzone che in tema di combattività passa abilmente dalla pratica alla teoria. Il suo cognome richiama il nome (Sigmund) del padre della psicanalisi (Freud) e chissà che questo non c’entri con il suo cammino accademico. Si è infatti laureata in psicologia con una tesi dal titolo “Fallimento sotto pressione“. E poi dicono che studiare non serve. Dopo aver perso il secondo parziale, quando di pressione addosso ne aveva eccome, è stata anche vicinissima a fallire. In più di un’occasione. Ultima nel tie-break decisivo, dove si è trovata sotto 4-1. Ma non ha fallito. Come ha fatto? Lei assicura che la teoria, almeno sul campo, non serve. Onestamente non ho pensato alla mia tesi quando ero sul campo (e qui sorride, ndr). Della “conoscenza” in campo non te ne fai nulla, lo sai che devi essere concentrata sul punto successivo ma il punto è come riuscirci, è questo che conta. Non c’è una teoria, non serve a nulla. Per questo si chiama teoria”.

In effetti le difficoltà sul campo erano reali, non certo teoriche. Dopo un ottimo inizio, specie a servizio, Laura ha faticato a esprimere il suo tennis abituale. “Hai ragione, sono partita servendo molto bene. Poi lei è cresciuta e io non sono riuscita più a creare il punto come volevo, quindi ho provato a concentrarmi di nuovo sul mio di servizio perché sul suo non riuscivo più a fare molto. Non sapevo quale fosse il problema e mi sono detta ‘ok, se lo risolvi probabilmente vincerai l’incontro, altrimenti probabilmente lo perderai’. Alla fine ho capito che il servizio e il primo colpo dopo il servizio erano fondamentali, giocare bene quei due colpi mi avrebbero dato molte chance di vincere il punto”.

Va detto, esprime i concetti con una lucidità sorprendente. Sembra in grado di analizzare perfettamente le sue difficoltà, parla di “dividere in piccole unità le cose che voglio fare nel match“. Così si è liberata degli ostacoli che Kiki Mladenovic ha frapposto tra lei e il suo primo titolo di prestigio. Ma non solo la francese, perché mentre si accingeva a servire per il match sul 5-4 il giudice di sedia le ha comminato un warning per time violation che avrebbe potuto compromettere l’andamento dell’incontro. Sapevo che dovevo essere più veloce, ma era un momento cruciale della partita. Non stavo cercando di guadagnare tempo, attendevo soltanto di ritrovare la concentrazione e che il pubblico si calmasse. Era ovviamente il ‘prime time’ del match ma lei (il giudice di sedia era una donna, Marian Alves ndr) aveva tutto il diritto di prendere la decisione che ha preso. Non potevo fare altro che accettarla“.

Per essere precisi Laura ha protestato, anche in modo piuttosto vibrante, tanto che sembrava potesse sfuggirgli la vittoria di mano proprio a causa di quel siparietto. E invece pochi minuti più tardi, con l’ennesimo fantastico punto della sua settimana, ha recuperato una smorzata della sua avversaria e messo le mani sulla cabriolet rosso fiammante.

Yes, it’s on the line“. Così aveva suggellato sul campo la sua deliziosa chiusura, senza il minimo dubbio che l’arbitro potesse smentire la sua sicumera in aperto contrasto con la delicatezza del suo tocco. “Ho pensato fosse una buona cosa per me che lei avesse giocato un dropshot perché sapevo che sarei riuscito a prenderlo – si permette di aggiungere, sorridendo, con un pizzico di sana superbia – ma ovviamente sono stata molto fortunata, la palla è andata proprio sulla linea. In generale non credo che la fortuna sia stata sempre dalla mia parte oggi, ma su quella palla ho pensato ‘se è fuori, beh… dai, un punto fortunato è tutto quello di cui ho bisogno’ “. Probabilmente è fortuna se un colpo così lo giochi una volta nel match, ma scorrendo gli highlights il dubbio pare non sussistere. Brava Laura, l’hai meritata tutta.

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