Tennis e mental coaching: il goal setting minuto per minuto

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Tennis e mental coaching: il goal setting minuto per minuto

Nuovo appuntamento con la rubrica mensile sul mental coaching: approfondiamo il goal setting, ovvero la definizione degli obiettivi. Come definirli e dare il massimo per realizzarli. Ottenendo così anche un altro risultato

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Come anticipato la volta scorsa, questo mese continuiamo a parlare di obiettivi. Soprattutto di come si definiscono, cioè di goal setting. Lo faremo andando a vedere un po’ più nel dettaglio le sei caratteristiche del modello di definizione degli obiettivi presentato quattro settimane fa, partendo dalla sintetica descrizione che ne avevamo fatto. Per capire ancora meglio come si struttura un obiettivo ben formato e quanto sia importante farlo se vogliamo veramente raggiungere i nostri obiettivi.

Espresso in forma positiva
L’attenzione deve essere focalizzata su quello che si vuole che accada, non su quello che si vuole evitare, di conseguenza l’obiettivo deve venir espresso in forma positiva.

Dell’importanza di esprimersi in positivo e del fatto che per il nostro inconscio c’è una enorme differenza tra il dire “Non voglio perdere di nuovo” e “Questa volta vincerò io” abbiamo già parlato negli articoli precedenti, non c’è molto da aggiungere. La mente si focalizza su quello che vuole (vincere) e non su quello che non vuole (perdere): perciò se vogliamo vincere allora sarà meglio pensare alla vittoria e non alla sconfitta.

Specifico e misurabile
Per essere motivati e determinati, per avere la forza mentale di puntare con tutte le proprie forze ad un obiettivo, bisogna essere chiari e precisi nel formularlo, non si può essere generici. L’obiettivo inoltre deve essere misurabile perché solo così si potrà verificare di averlo effettivamente raggiunto.

Per la nostra mente la frase “Voglio di più” non ha molto significato. Cosa intendiamo? Quanto di più? “Vorrei essere più felice” oppure “Vorrei essere più sicuro di me” sono senza dubbio degli ottimi propositi da porsi, ma non consentono alla nostra mente di attivarsi al meglio per realizzarli. Un classico esempio in ambito tennistico è il proposito di migliorare un determinato colpo. Sentiamo infatti spesso dire: “Voglio migliorare la mia seconda palla di servizio”. Bene, è sicuramente un’ottima idea, ma non è che dicendola, anche se ad alta voce e in presenza di testimoni, si è formulato correttamente un obiettivo. Si è solo espresso un desiderio. Se decidiamo veramente che migliorare il nostro secondo servizio è un nostro obiettivo, allora dobbiamo decidere come quantificare il nostro miglioramento e quanto vogliamo migliorarlo. Anche perché solo così sapremo di aver raggiunto veramente l’obiettivo. Dobbiamo perciò partire dalla situazione as is, dal cosiddetto stato attuale: in questo momento la nostra seconda palla raggiunge a fatica i 60 km/h e supera la rete solo se giochiamo all’aperto in favore di vento oppure il problema è che facciamo due doppi falli a game mentre un ace è un evento che si verifica ad ogni cambio stagione? E poi definire con precisione cosa vogliamo ottenere, cioè lo stato desiderato: riuscire a far andare la palla almeno a 100 km/h, magari mettendoci un po’ di taglio a uscire per renderla ancora più difficile da colpire per il nostro avversario, nel primo caso oppure arrivare a limitare i doppi falli ad un paio a set, puntando anche a fare almeno un ace a partita, nel secondo caso.

Le persone molto spesso non osano definire con chiarezza quello che vogliono perché temono di non riuscire a raggiungerlo e di rimanere delusi. “Che tu creda di farcela o di non farcela avrai comunque ragione”, diceva Henry Ford. Ma in realtà una parte di noi, nel profondo, sa che non avevamo ragione e rimarrà delusa lo stesso: perché stare fermi per paura di non farcela, alla fine significa comunque non farcela. Significa lasciare che un altro sogno, piccolo o grande che sia, ammuffisca nel cassetto. In un’intervista pubblicata su Ubitennis un paio di giorni fa, il tennista serbo Janko Tipsarevic parlava con chiarezza e onestà proprio di questo argomento, spiegando cosa gli ha permesso di dare una svolta alla sua carriera e diventare un top ten a 27 anni. “Fino ad allora non mi ero mai detto: ‘Voglio questo e questo’. Ero un fifone. Il 99% dei giovani giocatori, e in generale delle persone che non hanno successo, hanno soprattutto paura di se stessi. Non vogliono porsi degli obiettivi per poi rischiare di non raggiungerli.“ Solo definendo chiaramente il proprio obiettivo la mente riesce ad attivarsi per realizzarlo.

Acquisito e mantenuto sotto la propria responsabilità
L’obiettivo deve essere raggiungibile attraverso le azioni e le iniziative della persona, non deve dipendere dall’esterno o quantomeno il meno possibile.

Dobbiamo essere in grado di raggiungere l’obiettivo che ci siamo prefissati grazie alle nostre azioni, l’influenza dei fattori esterni non deve essere determinante. Facciamo anche qui un esempio in campo tennistico: il tennista che si pone come obiettivo la vittoria di un torneo a squadre. Che sia la Coppa Davis, il campionato di serie A o quello di D2, con le dovute proporzioni il ragionamento non cambia: l’obiettivo non è sotto il totale controllo del giocatore perché dipende anche da vari fattori esterni, come gli avversari, gli arbitri ed i suoi stessi compagni di squadra. Lui infatti potrà giocare benissimo, come mai prima, ma se i suoi compagni invece forniranno delle prestazioni negative gli impediranno di realizzare il suo obiettivo. Ciò non significa che non sia un obiettivo da porsi, ma solo che dobbiamo essere coscienti del fatto che non è sotto il nostro controllo. A tale proposito, può essere utile andare a ridefinire l’obiettivo in termini di livello di prestazione che vorremo raggiungere in quella competizione, dato che questo invece sarebbe sotto il nostro controllo.

Ecologico
L’obiettivo deve essere coerente con la vita della persona, bisogna valutare l’impatto che il suo raggiungimento avrà in tutte gli ambiti della sua vita.

Una delle definizioni dell’aggettivo ecologico è “fatto in modo da rispettare l’ambiente“. Nel goal setting il significato è sostanzialmente lo stesso: l’obiettivo che ci poniamo non deve creare disequilibri nella nostra vita ed in quella delle persone a noi vicine, deve essere in linea con i nostri valori. L’ecologia di un obiettivo non di rado viene sottovalutata. Capita spesso infatti di non aver analizzato in profondità il proprio obiettivo e le ripercussioni che avrà negli altri ambiti della nostra vita. Nel dichiarare un obiettivo del tipo “Quest’anno mi alleno quattro volte a settimana, faccio una decina di tornei e divento 3.4” dobbiamo assolutamente considerare l’impatto che avrà sulla nostra vita. Sarà compatibile con tutto il resto? Se non sono uno sportivo professionista, ma lavoro e magari sono sposato/a con figli, riuscirò far collimare tutti i tasselli della mia vita? Il discorso non è poi così diverso ad alto livello, anche se chiaramente “il peso” degli obiettivi agonistici nella vita di uno sportivo professionista è molto maggiore: a questo tipo di domande devono comunque trovare una risposta anche i grandi campioni, come dimostrano le recenti dichiarazioni di Novak Djokovic su come sono cambiate le priorità della sua vita dopo la nascita del figlio.

Nell’esempio in questione, se ho un lavoro in cui mi sveglio presto tutti i giorni, se devo accompagnare i figli ai scuola o ai loro allenamenti, se ho altri obblighi ed impegni, avrò il tempo per allenarmi quattro volte in sette giorni e per andare poi a disputare i tornei, magari finendo tardissimo la sera dopo essere arrivati al tennis club direttamente dal lavoro? Ci sono cose che si danno spesso per scontate – come il fatto di avere tutto il tempo necessario per allenarsi o che chi vive con noi accetterà tranquillamente di vederci a casa praticamente solo a colazione da maggio a settembre – per poi scoprire invece che quando c’è da declinare le attività necessarie per raggiungere il nostro obiettivo nella quotidianità così scontate non sono. Nel rispondere alla domanda “Lo vuoi veramente?”, che prima o dopo nel processo di goal setting deve arrivare (o meglio, dovrebbe arrivare), dovremo dare anche una risposta a questo tipo di domande. Oltre a capire se l’obiettivo che ci siamo posti è effettivamente importante per noi (può magari accadere di scoprire che non lo sia più, che era qualcosa che in realtà volevamo tempo addietro e a cui continuiamo a pensare invece di lasciarla andare) oppure scoperchiare un vaso di Pandora – come avevamo accennato la volta scorsa parlando di Andre Agassi e del padre – perché ci rivela che è in realtà puntiamo a raggiungere un obiettivo impostoci da qualcun altro. A tale proposito è interessante notare come sia accaduto spesso, a diversi livelli, che infortuni o “sfortunati eventi” che si ripresentavano ciclicamente e non permettevano di raggiungere gli obiettivi non si siano più verificati dopo che le persone hanno iniziato a fare un puntuale e corretto di lavoro di valutazione dell’ecologia dei propri obiettivi. Questo perché il nostro inconscio è molto sensibile all’ecologia dei nostri obiettivi, se c’è un conflitto interiore con gli altri ambiti della nostra vita o con i nostri valori in qualche modo lo fa emergere. Un importante motivo in più per rispondere con attenzione e sincerità alla domanda “Lo vuoi veramente?”. E soprattutto per farci sempre questa domanda quando ci poniamo un obiettivo.

Con una data di scadenza
Un obiettivo deve avere una scadenza. Stabilire un termine innesca un “timer” a livello mentale, che aiuterà a dettare i tempi delle azioni analizzate a raggiungere quell’obiettivo.

Bisogna mettere una data di scadenza al nostro obiettivo. Riprendiamo l’esempio citato alla fine dello scorso articolo, quello del tennista che assicura i suoi amici che “Quest’anno cambia tutto: mi rimetto in forma, perdo 5 kg, torno ad allenarmi 3 volte a settimana e vedi che come minimo arrivo in finale in un torneo di quarta”. Dire di voler perdere 5 kg non è sufficiente, anche se già è un primo passo (l’obiettivo è specifico ed è misurabile) rispetto ad un generico “voglio dimagrire.” Ma non basta. Devo anche stabilire entro quando voglio perderli, devo definire in quanto tempo voglio raggiungere il mio obiettivo. La scadenza attiva un timer nel nostro cervello, una specie di “sveglia mentale” che ci stimola a muoverci entro i tempi stabiliti. Gestire bene le scadenze ci permette di attivare il cosiddetto Eustress, lo stress positivo che ci permette di adattarci alle pressioni della vita e ci supporta nell’affrontare al meglio e nei tempi prestabiliti gli impegni importanti.

Ambizioso e fattibile
Un obiettivo, una volta definito, di fatto diventa mentalmente un tetto, un limite. Ecco perché è importante sia ambizioso, ma allo stesso tempo fattibile.

Ambizioso e fattibile, può sembrare una contraddizione. Ma non lo è. Un obiettivo ben formato deve possedere il giusto mix tra queste due caratteristiche. Deve poterci motivare ma anche poter essere realizzato. Se è ambizioso ma pressoché impossibile da raggiungere, poco alla volta ci demotiveremo invece di motivarci. Se invece è troppo facile da raggiungere accadrà che, magari inconsciamente, non ci impegneremo al massimo per perseguirlo. Per questo nel definire un obiettivo è fondamentale chiedere molto a noi stessi, ma essere anche estremamente obiettivi e coerenti. Dobbiamo sfidarci, ma anche darci l’oggettiva possibilità di farcela. Sapendo questo, è interessante andare a rileggere certe dichiarazioni di alcuni tennisti, perché possiamo vederle sotto un’altra luce. Ad esempio si sente dire ad un giocatore, che magari non è mai stato neanche top 30, “Punto ad entrare nella top 20”. A molti verrà spontaneo pensare che sia un po’ troppo ottimista (o magari presuntuoso). Invece c’è una frase, usata spesso nel coaching, che chiarisce bene cosa c’è alla base di quelle parole dal punto di vista motivazionale: “Mira alla luna. Anche se sbagli, atterrerai tra le stelle”. Come detto, quando fissiamo un obiettivo automaticamente stiamo fissando anche un limite mentale, perché a quel punto canalizzeremo le nostre energie per arrivare fino a lì, non oltre. Cosa sarebbe successo se invece ci fossimo posti l’obiettivo un po’ più in là?

Quel giocatore che vuole entrare tra i primi venti del mondo non sta quindi facendo lo sbruffone, non sta dicendo che il suo obiettivo è quello di battere i Fab Four nel prossimo Slam e poi vincerlo, ma si sta dando un obiettivo in cui sa di poter mettere veramente tutto se stesso nel raggiungerlo. È andato un po’ più il là. Magari l’obiettivo più “logico” era puntare ad entrare tra i primi trenta al mondo, ma definendo come obiettivo quello di diventare un top 20 – sicuramente molto più sfidante ma ancora fattibile – ha alzato l’asticella al massimo possibile. Nell’esempio in questione, in termini pratici – cioè di punti ATP – Ia differenza tra il n. 30 ed il n. 20 la fanno un quarto di finale di uno Slam ed una finale di un Masters 1000 in più. Guarda caso, proprio i risultati che un certo Albert Ramos-Vinolas ha ottenuto nell’ultimo anno e che gli hanno permesso di diventare un top 20 a ventinove anni suonati, lui che fino a un anno fa era entrato a malapena tra i primi quaranta. Lo avesse dichiarato esplicitamente come obiettivo dodici mesi fa, probabilmente molti avrebbero sorriso ironicamente. Invece lo spagnolo ha dimostrato, in silenzio, che si può mirare alla luna e talvolta anche centrarla. Facciamolo anche noi: senza esagerare, non accontentiamoci quando definiamo il nostro obiettivo. Facciamo quel passo in più. Mal che vada finiremo tra le stelle.

Da quanto descritto, risulta evidente l’importanza del coach nella fase del goal setting: il coach deve porre al coachee tutta le domande necessarie a definire puntualmente ogni singola caratteristica dell’obiettivo. Una volta completata la definizione degli obiettivi, il coach accompagnerà la persona nel successivo passaggio fondamentale: la definizione del piano d’azione per il loro raggiungimento. Ne parleremo la prossima volta.

In conclusione, una “pillola” che spesso viene trascurata. Alla fine del percorso, qualsiasi sia stato l’obiettivo raggiunto (la top 20, la promozione a 3.4, la finale del torneo di quarta, tornare a giocare un’oretta a settimana dopo quattro anni di inattività), ricordiamoci di fermarci un attimo e prenderci un momento per noi. E a quel punto fare quello che fece Novak Djokovic dopo aver vinto agli Australian Open del 2012 la più lunga finale di sempre di un torneo del Grande Slam, battendo Rafa Nadal 7-5 al quinto set dopo quasi sei ore di gioco. Negli spogliatoi della Rod Laver Arena Nole si concesse – lui che l’adora ma non la può mangiare in quanto intollerante al lattosio – un pezzo di cioccolata al latte. Guardiamoci allo specchio e congratuliamoci con noi stessi. Quando si raggiunge un obiettivo, è importante darsi “una pacca sulla spalla” per suggellare il fatto che ce l’abbiamo fatta. Spesso invece capita che raggiunto l’obiettivo iniziamo subito a pensare al domani. Ci abbiamo magari messo mesi di impegno e di sacrifici per ottenere quel risultato e voltiamo subito pagina. Al domani ci penseremo, ma dal giorno dopo. Riconoscere a se stessi di avercela fatta ha una importante valenza interiore, anche ai fini della motivazione inconscia che ci spingerà a raggiungere il nuovo obiettivo che ci prefiggeremo. Perché sarà molto probabile che punteremo ad un nuovo obiettivo, a realizzare un altro sogno: perché abbiamo imparato a farlo e nel farlo abbiamo anche scoperto, come già accennato la volta scorsa, qualcosa in più di molto importante. Abbiamo scoperto che lungo la strada che ci porta all’obiettivo impariamo a conoscerci un po’ di più. Per questo sarà difficile non puntare ad un nuovo obiettivo, visto che sarà un’opportunità per poter conoscere ancora qualcosa di noi stessi. Perché, come diceva lo scrittore e filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson, “quel che abbiamo alle spalle e quel che abbiamo davanti sono piccole cose se paragonate a ciò che abbiamo dentro”.

Ilvio Vidovich è collaboratore dal 2014 di Ubitennis, per cui ha seguito da inviato tornei ATP e Coppa Davis. Personal coach certificato, ha conseguito un Master in Coaching, una specializzazione in Sport Coaching e tre livelli di specializzazione internazionale in NLP (Programmazione Neuro Linguistica): NLP Practitioner, NLP Master Practitione ed NLP Coach. È anche istruttore FIT e PTR.

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