Schiavone, il cuore non basta. Madrid, primo turno per Fognini (De Ponti). Schiavone, la finale è russa. Ma torna tra le prime 80 (Di Schiavi). Bollettieri, il re dei coach si racconta (Masi)

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Schiavone, il cuore non basta. Madrid, primo turno per Fognini (De Ponti). Schiavone, la finale è russa. Ma torna tra le prime 80 (Di Schiavi). Bollettieri, il re dei coach si racconta (Masi)

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Schiavone, il cuore non basta. Madrid, primo turno per Fognini (Diego De Ponti, Tuttosport)

Onore alla leonessa Schiavone. A Rabat la milanese è uscita sconfitta dalla finale ma ha confermato tutte le sue doti di coraggio, tenacia e cuore. Non mancano attenuanti, a Francesca Schiavone, per giustificare la sconfitta ad opera di Anastasia Pavlyuchenkova, dieci anni più giovane di lei e senza quei problemi alla schiena che hanno afflitto Francesca dall’inizio del torneo. La Schiavone, in gara grazie ad una wild card, è arrivata in fondo al torneo giocando tutti i match con un tutore simile a quelli che portano i motociclisti. Nonostante questo impedimento ha tenuto testa per due set alla sua avversaria. La russa si è imposta con un doppio 7-5 e si è così aggiudicata il decimo titolo in carriera, il secondo consecutivo dopo quello a Monterrey. Bis non riuscito invece alla Schiavone, che era reduce dal successo a Bogotà ed ha visto fermarsi a 9 la striscia di match vinti. L’approdo alla finale di Rabat le garantirà comunque il ritorno fra le prime 80 della classifica Wta. «Congratulazioni ad Anastasia – ha detto la Schiavone – La conosco da quando era ragazzina e ci ho anche giocato insieme in doppio». «Francesca per me è fonte d’ispirazione». Esordio positivo per Roberta Vinci nel torneo sui campi in terra battuta della Caja Magica di Madrid. La tarantina, numero 36 Wta, ha superato al primo turno la russa Daria Kasatkina, numero 28 del ranking mondiale: 6-1 1-6 6-1 il punteggio, in un’ora e 20 minuti, in favore dell’azzurra che ha interrotto un digiuno di vittorie che durava da due mesi. Sara Errani, reduce dalle semifinali del torneo di Rabat, è uscita nelle nelle qualificazioni, battuta dalla francese Parmentier 2-6 6-2 6-2. Bene Andreas Seppi che, sempre nelle qualificazioni, ha battuto lo spagnolo Taberner 6-3 6-2 e oggi se la vedrà con il francese Herbert. Oggi in campo, alle 12.30, Fabio Fognini opposto al portoghese Sousa per il primo turno. E’ Mona Barthel la vincitrice del torneo Wta di Praga. In finale la tedesca, passata attraverso le qualificazioni, ha battuto in rimonta per 2-6 7-5 6-2, in poco meno di due ore di gioco, la ceca Kristyna Plyskova, numero 58 del ranking mondiale e gemella della top-player Carolina. Per la 26enne di Bad Segeberg si tratta del quarto titolo in carriera su sette finali disputate, il primo da Bastad del 2014.

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Schiavone, la finale è russa. Ma torna tra le prime 80 (Vincenzo Di Schiavi, La Gazzetta dello Sport)

«Francesca per me è fonte d’ispirazione». L’omaggio, sentito e sincero, di Anastasia Pavlyuchenkova arriva dopo la finale vinta a Rabat con un doppio 7-5 sulla Schiavone, la cui striscia di vittorie si ferma a nove, ma non cancella le meravigliose sensazioni che la 36enne milanese respira da inizio anno. Prima la vittoria a Bogotà nella settimana di Pasqua e ora, in Marocco, la finale numero 19 della carriera che non porta il nono successo in un torneo Wta ma che, da lunedì, le regalerà la posizione numero 77, sopravanzando Sara Errani (90), e a due mesi e mezzo dal trentasettesimo compleanno è comunque un gran bell’andare. A Rabat, sulla terra battuta, indossando un completo fucsia, stretto in vita da un busto nero per combattere quel mal di schiena che l’ha accompagnata per tutto il torneo, Francesca ha provato, col suo tennis fatto di talento e dedizione, a frenare le ambizioni di un’atleta più giovane di lei di 11 anni. La russa, numero 16 del mondo, si è imposta in poco meno di un’ora e tre quarti di gioco, aggiudicandosi così il decimo titolo in carriera, il secondo consecutivo dopo quello di Monterrey. «Congratulazioni ad Anastasia – ha detto la Schiavone -. La conosco da quando era ragazzina e ci ho anche giocato insieme in doppio». Quella vissuta ieri è stata l’ottava sfida tra le due: ora guida 5-3 la russa che, per la prima volta, supera la Schiavone sulla terra dove era stata battuta due volte. E l’incipit della finale aveva fatto sperare in un possibile tris. Due break hanno spinto avanti la leonessa, poi rintuzzata dalle letali risposte dell’avversaria, implacabile nell’approfittare del debole servizio altrui. Il 7-5 del primo set pare una mazzata, ma non per la Schiavone che regge fino al 12° game, quando la russa ha cominciato a martellare col dritto costringendo Francesca alla resa.

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Bollettieri, il re dei coach si racconta (Barbara Masi, La Stampa)

Il più grande allenatore di tutti i tempi arriva a Torino: Nick Bollettieri scende sui campi del T.C. Love & Break di Pino Torinese e dell’Ace Tennis Center di Volvera, oggi e domani, per un clinic dedicato a tutti gli appassionati della racchetta. A portarlo fin qui è il Circuito Sabaudo Tennis Veterani in collaborazione con Synchronicity e l’Img Academy, la prestigiosa scuola di Bollettieri con sede a Bradenton, in Florida. E’ lì che Nick ha allenato molti grandi campioni: di questi ben dieci sono diventati i numeri uno delle classifiche Atp e Wta e una ventina hanno raggiunto il secondo posto. «Odiavo l’Academy di Bollettieri. L’unico modo che avevo per fuggirne era avere successo. E diventò il mio obiettivo: far bene per poter scappare», afferma Andre Agassi, forse il campione più famoso uscito dalla sua accademia, nella sua autobiografia «Open»: parole dure che non fanno che confermare l’indiscutibile successo del «metodo Bollettieri». Oltre ad Agassi, fra i molti nomi di ieri e di oggi, sui campi dell’Img Academy sono passati Boris Becker, Pete Sampras, Serena e Venus Williams, Monica Seles, Martina Hingis, Maria Sharapova, Jim Courier, Kei Nishikori, Mark Philippouossis. Ottantacinque anni, figlio di immigrati italoamericani, otto mogli, Nick Bollettieri non è mai stato un giocatore di tennis: «Vivevo in un quartiere povero, ero un buon atleta che giocava a football americano e baseball. Ho cominciato a praticare il tennis all’ultimo anno delle superiori al college». E ha finito per attraversarlo in tutti i suoi cambiamenti nell’arco di quarant’anni, dal 1977 a oggi: «Ora non si parla più di coach, ma di team: il gioco si combina di quattro elementi, tecnica, fisico, testa e team. Da soli, nel 2017, non ce la si fa più. Il bravo allenatore deve capire come parlare, quali parole usare, cogliere le idiosincrasie di una persona per insegnare a essere un vincente, non solo come colpire una palla». Il tennis è diventato più complesso: «Ha bisogno di gente come McEnroe, Connors, Agassi, ossia di intrattenitori che siano anche in grado di vincere. Ma il talento da solo non basta per avere successo: devi avere un team, una disciplina e devi vincere ogni volta che ne hai l’opportunità». Uno dei suoi errori più grandi? «Quando ebbi due giocatori “figli” in finale al Roland Garros, Agassi e Coria, e mi sedetti nel box di uno preferendolo all’altro. Da allora non l’ho più fatto».

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