Nadal una furia a caccia del n. 1 (Semeraro), Fognini: «Murray? Forse anche lui non é contento di incontrarmi...» (Crivelli), Kiki: “Voglio essere libera e unica” (Azzolini), Il fascino di Roma e l'ultima finale tutta italiana (Rossi)

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Nadal una furia a caccia del n. 1 (Semeraro), Fognini: «Murray? Forse anche lui non é contento di incontrarmi…» (Crivelli), Kiki: “Voglio essere libera e unica” (Azzolini), Il fascino di Roma e l’ultima finale tutta italiana (Rossi)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Nadal una furia a caccia del n. 1

 

Stefano Semeraro, il corriere dello sport del 15.05.2017

 

Fa cinquina a Madrid, battendo un ottimo Thiem Sulla terra rossa continua la serie di Rafa: è il terzo trionfo stagionale In carriera sono 52 Spodesta Federer nella classifica del 2017, è quarto in quella assoluta Almeno per ora-. di Stefano Semeraro Sembra di essere tornati indietro di sette anni, quando il Nadal edizione-leggenda del 2010 sul rosso vinse i tre Masters 1000 di Montecarlo, Roma e Madrid e fece l’ennesimo bingo al Roland Garros. Rafa ormai è alla soglia dei 31 anni, ma la domanda è sempre quella: chi può fermarlo sulla terra battuta? A giudicare da quello che si è visto nelle ultime settimane, coni successi a Montecarlo e Barcellona, e ieri nella finale di Madrid, vinta ancora una volta dopo Barcellona contro Dominic Thiem per 7-6 6-4 in 2h17; la risposta è obbligata: nessuno, se non un caso fortuito, una giornata storta. Oppure un Roger Federer in forma strepitosa come nei primi tre mesi di quest’anno. I due fenomeni ultratrentenni per ora sono I due veri dominatori della stagione, e alzi la mano senza arrossire chi lo avrebbe pronosticato a fine 2016, con Roger reduce da sei mesi di stop e Rafa in faticosa risalita Federer proprio contro Nadal si è preso gli Australian Open e Indian Wells (e poi Miami). Nadal, che aveva perso una terza finale ad Acapulco, da quando si è ricominciato a giocare sull’argilla europea ha smesso di perdere: 15 partite, 15 vittorie, appena 2 set concessi su 32 giocati. Dopo aver superatolo storico record di titoli sulla terra di Vilas (49) da ieri è a quota 52, su 72 vinti complessivamente in carriera. La quinta vittoria a Madrid, la quarta sulla terra dopo il sua:esso del 2005 quando il torneo si giocava ancora sul cemento indoor, gli ha restituito anche il record di Masters 1000:30 a pari merito con Novak Djokovic. Durante la settimana trascorsa nella capitale spagnola ha scavalcato Federer in testa alla Ragie, la speciale classifica che tiene conto solo dei risultati del 2017 e nella quale al momento il n.1 del mondo del ranking mondiale Andy Murray 611 , e Novak Djokovic addirittura 23 . E oggi supererà Roger nel ranking assoluto, piazzandosi al 4 posta La rottura prolungata dello scozzese e del serbo hanno sicuramente hanno aiutato il clamoroso ritorno dei Federer e Nadal – che ora possono entrambi sognare di tornare n.1 a uno cui di solito nello sport si pensano i moduli pensionistici – mala ferocia, la tenacia, l’intelligenza con cui Rafa ieri ha domato le sfuriate di Thiem fanno capire la sua grandezza senza pari sul rossa Dominic, the Dominator, era alla sua prima finale in un Masters 1000. Ha 23 anni, l’austriaco, da oggi eguaglia il suo best ranking Atp (n.7) e sulla terra è sicuramente il più forte dei giovani rampanti, la cosiddetta Next Gen. Ieri è andato avanti 3-1 nel primo set, si è fatto raggiungere sul 3-3 , poi ha prolungato il set al tiebreak, salvando 5 set point e cedendo sul sesto con un errore rovescio dopo un’ora e 18 minuti di battaglia vera, dura, sanguinosa. Nel secondo ha subito ceduto il servizio, ma ha continuato a lottare fino alla fine, difendendosi con il rovescio a una mano contro le bordate feroci del diritto di Rafa. Ha provato a sfondarlo con le spallate di diritto, ma il Nadal ritrovato di oggi in difesa vale ancora Barzagli, Bonucci e Chiellini messi insieme: non molla di un centimetro e quando si tratta di chiudere – con il dirittone, la snorzata o qualche rovescio in cross ai limiti della realtà – è insieme saggio e spietata A Madrid ha spazzato via i due migliori esemplari della Next Gen (Kyrgios in ottavi e appunto Thiem), il campione più in forma della generazione di mezzo (Goffin nei quarti) e la vecchia guardia di Fognini e Djokovic (al secondo turno, in tre set, e in semifinale). Questa settimana può puntane all’ottavo centro a Roma, dove esordirà contro il vincente del match di oggi fra Seppi e Almagro, fra fine maggio e inizio giugno alla “Decima” al Roland Garros. Un enplein sul rosso che non ha precedenti nemmeno nella sua ormai inaggettivabile carriera ma che oggi appare non solo possibile, ma anche – Federer e il Fato permettendo – discretamente probabile.

 

Fognini: «Murray? Forse anche lui non é contento di incontrarmi…»

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 15.05.2017

 

Sapessi com’è strano, un derby paesano. Così strano che il buon Matteo Berrettini, al primo match sul circuito Atp grazie al premio della wild card dopo le prequalificazioni, perde 15 punti consecutivi dal 40 pari del primo game e per mezz’ora viene portato a scuola, come volevano i pronostici, dal prossimo papà Fognini, che gioca da due settimane con il telefonino accesso nel borsone delle racchette eppure omaggia la sfida tutta italiana e la prima uscita sul Centrale con la concentrazione che si deve a un impegno di vaglia. La differenza tra il numero 29 del mondo e il numero 250, come è ovvio, è un solco al momento incolmabile per il 2lenne romano allenato all’Aniene da Santopadre, che tuttavia dalla giornata si porta a casa i brividi di una partita vera da cui incominciare la scalata. Il tennis italiano, avido di talenti che possano con una certa fretta mettersi in trincea, lo aspetterà, ma intanto continua ad aggrapparsi alle ambizioni di Fognini, a Roma mai dirompente, sicuramente eccitato dall’incombente lieto evento, eppure motivato e sereno malgrado l’ostacolo Murray che subito gli si parerà davanti: «In fondo forse neanche lui è tanto contento di incontrarmi. Perché sto giocando bene, non parto favorito ma non posso nascondere che Andy non stia attraversando un gran momento. L’aiuto del pubblico pub darmi una spinta in più, però so che me la posso giocare». La sua stagione sul rosso fin qui ha regalato perle come il 1 set con Nadal a Madrid, ma anche delusioni a Budapest e Monaco contro avversari tutt’altro che tremendi (Kuznetsov e Pella), del resto la testa è da un’altra parte: «Flavia e il bambino sono la priorità, dopo quei 2 tornei in cui ho giocato davvero male sono tornato a Barcellona e abbiamo parlato a lungo, per me non sarebbe stato un problema fermarmi: una notte siamo andati a dormire alla 3 e mezza, ma mi ha tranquillizzato. Peccato aver perso una cena con mio padre, il preparatore e il fidanzato di mia sorella: dopo la partita con Rafa a Madrid, loro hanno detto che avrebbe vinto il torneo, io invece avevo scommesso su Djokovic…». Ora però è disposto a scommettere su se stesso: «Sinceramente con questo torneo non ho un buon rapporto, i risultati parlano chiaro (3 turno nel 2015 il migliore, ndr). Mi piace giocare qui, però in questi anni non ho trovato il feeling giusto. E poi mi risuonano ancora nelle orecchie i fischi del 2014, quando da numero 15 del mondo fui eliminato subito da Rosol. Non li ho dimenticati. Ma quello è il passato, sto lavorando bene con coach Davin e sono soddisfatto. Il primo obiettivo di inizio anno era riuscire a entrare tra le teste di serie a Parigi e ormai ci siamo quasi». Sempre più in alto, Fabio. E non è solo un vecchio slogan della pubblicità….

 

Kiki: “Voglio essere libera e unica”

 

Daniele Azzolini, tuttosport del 15.05.2017

 

Le accade spesso, già cinque volte negli ultimi dodici mesi, l’ultima sabato con Simona Halep a Madrid. Ne ha vinta solo una, a San Pietroburgo. Le amiche dicono che è troppo buona, troppo interessata alle altre e troppo poco a se stessa. Lo sport, ormai lo sapete, prevede una lettura al contrario delle vicende personali, pregi e difetti giocano a scambiarsi di posto ed essere troppo buoni, capirete, è la peggiore fra le deformità dell’anima. Peggio ancora, fare da sola, decidere con la propria testa, non seguire il gregge. Valga un esempio: Kiki non vuole un coach fra le scatole, le basta la salute e “un par de scarpe nove”, per dirla alla romana, adagio che la ragazza di Francia conosce benissimo, perché parla un bell’italiano (e altre cinque lingue) e sa tutto del nostro Paese, che noi bistratta francese dal fisico statuario ha vinto solo un torneo, ma è già n.14. Lei invece pone al centro del suo percorso culturale e tennistico, «perché alla fine, gli italiani le cose le fanno meglio e senza rinunciare a se stessi, ai loro modi, alle loro preferenze, dentro hanno un’anima di fil di ferro, che io ritrovo ogni volta che vedo giocare Franci e Roberta, Sara e prima di loro Flavia, che mi ha insegnato moltissimo». Non rinunciare a se stessi è lo spirito guida della Mladenovic. «L anno scorso un coach l’avevo», spiega, rammentando la stagione trascorsa con Georges Goven al fianco, «e credetemi, non ho alcun rimprovero da fargli. Mi dava consigli giusti, mi diceva cose utili, ma quando ho provato a metterli tutti assieme mi sono resa conto che mi avrebbero spinto a giocare come tutte le altre. E allora ho deciso di fare senza, perché voglio giocare a modo mio, usare i colpi che mi vengono in testa in quel preciso momento, anche se Da seguire al Foro In un mondo senza padrone, la 23enne può arrivare in fondo. Inizia contro la Goerges non sono i più logici, o appropriati. Preferisco cercare soluzioni difficili e tentare di vincere incontri importanti». Arriveranno. Al momento, gaiamente saltellando fra una finale e l’altra, Kild si prepara a entrare nel tennis che conta. La Top Ten è distante un palmo appena (numero 14, da oggi), l’impianto del suo tennis è fatto di preziosa filigrana, metallo duro e aggraziati ghirigori. Il fisico è pari a quello delle contendenti più muscolari, 184 centimetri che non l’hanno privata della possibilità di guardare negli occhi Maria Sharapova, in quota 190, e batterla, com’è successo a Stoccarda. Il successo pieno arriverà però quando la francese di Saint Paul su Mer, famiglia di origini serbe, mamma Dzenita sempre con lei, non coach (giocava a pallavolo) ma consigliera, riuscirà a disporre in forma logica tutte le tessere di cui si compone il suo mosaico. «So di non avere meno delle altre, anche se mi capita spesso di perdere le finali. Mi prendo il tempo che serve, e voglio fare le cose nel modo giusto. Inseguo un progetto di tennista libera dagli schemi, amo l’idea che il pubblico venga a vederli per divertirsi. Intanto, andare spesso in finale significa giocare per il titolo, e scusatemi se è poco». A Roma può riprovarci. È nell’ottavo della Muguruza, copia sfuocata dell’assatanata vincitrice del Roland Garros di un anno fa (non ha più giocato una finale da quel giorno), nel quarto della britannica Konta, al momento l’unica in forma come la francese, nella semifinale presidiata dalla Pliskova Debutta contro la tedesca Goerges. Non un percorso facile, ma c’è di peggio. E nel tennis femminile di oggi, privo di Serena Williams e del supporto della Kerbei caduta nel pozzo di San Patrizio dei pensieri negativi, c’è spazio per tutte. Ma tutte, tutte, tutte.

 

Il fascino di Roma e l’ultima finale tutta italiana

 

Paolo Rossi, la repubblica del 15.05.2017

 

Il 14 maggio 1957, l’ultima volta di una finale tutta italiana al Foro Italico. Sono trascorsi sessant’anni. Di fronte c’erano Nicola Pietrangeli contro Beppe Merlo. Nessuno dei due aveva mai trionfato agli Internazionali di tennis. Merlo, considerato il nonno di Borg in quanto antesignano del rovescio a due mani, era il veterano: sette anni maggiore di Pietrangeli. «Ma quella volta finalmente sfatai io il tabù». La sua prima volta al Foro Italico, sul campo che oggi porta il suo nome. «Chi l’avrebbe mai detto, sessant’anni fa. Di quel match ricordo nitidamente il finale: conducevo 5-4 e 15-0. E poi accadde una specie di magia». Una di quelle cose che accadono raramente nel tennis. «Presi per tre volte consecutive il net, e sempre a mio favore. E vinsi la partita. Pazzesco. Forse il destino volle dire la sua. Prima un dritto, e mi portai sul 30-0, poi un rovescio malandrino e furono tre match-point». I presenti non osavano incrociare lo sguardo di Merlo in quei momenti. «Lui, combattente che non mollava mai. Che ne aveva fatto piangere di star, con quel suo rovescio. Era tra l’impotente e l’arrabbiato». Ma non era ancora finita. «Sì, mi dicevo che devo chiudere, che non dovevo rischiare di allungare il match. All’epoca si giocava fin dal primo turno al meglio dei 5 set, senza sosta ai cambi di campo. Se avevi i crampi mica interveniva il fisioterapista». Pietrangeli non si fa prendere dalla paura di vincere. «Scambiamo dei colpi, palleggiamo. Mi sposta sulla sinistra e zac, un altro mio rovescio con la palla, tesa, che tocca di nuovo il nastro e s’inarca dall’altra parte». Un finale da film. «Vengo sommerso dagli abbracci. Una gioia, Merlo non l’avevo ancora battuto…». Amici, ma anche rivali. «Beppe è sempre stato un po’ solitario. Amava andare controcorrente. Io ogni anno gli faccio sempre gli auguri, a ottobre. E mi risponde sempre che devo andare a mangiare il pesce a casa sua…». Merlo non riuscì mai a vincere Roma. «Vinsi in tre set, ma il primo fu molto combattuto. Lo chiusi 8-6, e mentre giocavamo mi dissi che dovevo vendicarmi perché qualche settimana prima a Riva del Garda gli avevo chiesto delle monete in prestito e lui s’era rifiutato. E avevo deciso che dovevo fargliela pagare. Il secondo set scivolò facile 6-2, e poi quei tre net…». E così Pietrangeli completò il suo capolavoro, dopo essersi sbarazzato di Budge Patty in semifinale. «Peccato che l’anno dopo, nel ’58, fui fischiato perché persi da Melvin Rose, numero tre del mondo…».

 

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