Tennis in Tour, Roma: a spasso per la città eterna

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Tennis in Tour, Roma: a spasso per la città eterna

Con valigia e racchetta sbarchiamo a Roma. Per godere di un grande torneo e di una città capace di sorprendere persino i suoi più profondi conoscitori

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Nacque da un fratricidio. E divenne terminale del più vasto impero dell’antichità e del cattolicesimo. Fu plastica quinta delle visioni michelangiolesche e cantiere dell’aspro match-up Bernini-Borromini. Ne hanno scritto Goethe, Stendhal, Pasolini. Ha dato forma suadente ai sogni felliniani e tragico costrutto alle denunce neorealiste. Roma è Roma. Più che una lupa, la immaginiamo gatta sorniona all’ombra di un pino, capace di accogliere calorosamente e al contempo graffiare col suo beffardo cinismo. Orgogliosa della sua precaria eternità, sembrava sul punto di sgretolarsi già ai tempi dei Vandali. Ma ha resistito ai saccheggi dei barbari, alle ingorde ruberie dei nobili e al gozzoviglio del generone capitolino.

Una tappa imprescindibile per la ciurma di suiveur con valigia, quella degli Internazionali d’Italia, che alcuni considerano quinto Slam. Classifica che, come tante altre, lascia il tempo che trova. Resta il fatto che si tratta di una competizione unica, giocata in un impianto dal grande impatto scenografico, sebbene non esente da critiche. Conoscere Roma è un’attività a tempo indeterminato, un percorso che persino i suoi abitanti a volte rinunciano a completare. Quindi, il turista del lunedì (la domenica è rigorosamente dedicata alla finale) dovrà necessariamente selezionare i suoi obiettivi.

Le basiliche

La capitale d’Italia conta quasi 1000 chiese. Il nostro tour, più modestamente, suggerisce di visitarne almeno quattro, considerate punti cardinali della cristianità.

San Giovanni in Laterano

La più antica fra le basiliche, fu a lungo residenza del pontefice. Il rifacimento dell’interno, a cinque navate, fu affidato all’estro decorativo di Borromini. Colpisce lo stupendo soffitto a cassettoni. Notevole anche il mosaico absidale, sebbene sia un rimaneggiamento dell’originale, realizzato nel XIII secolo.

Santa Maria Maggiore

La più importante chiesa romana dedicata alla Madonna, di impianto paleocristiano, sorprende per la magnificenza dei suoi mosaici e del pavimento in stile cosmatesco. Curiosità: vi è sepolto Gian Lorenzo Bernini.

San Paolo fuori le Mura

Per dimensioni, la seconda basilica dopo San Pietro. Lo annuncia il vasto quadriportico che cinge il cortile antistante all’edificio. Di grande impatto la facciata con i suoi mosaici su sfondo oro, mentre nell’interno spicca il ciborio di Arnolfo di Cambio.

San Pietro

Visto dall’alto, lo strepitoso colonnato del Bernini sembra stringersi in un abbraccio con la folla che ogni giorno gremisce una delle piazze più riconoscibili al mondo. Adeguato proscenio per uno dei simboli della cristianità. La visita alla basilica di San Pietro prescinde da ragioni di credo. È un omaggio a una perfetta simbiosi fra arte e spiritualità. Testimoniata dall’evocativa Pietà di Michelangelo, o dalla maestà tortile del baldacchino berniniano. Assolutamente raccomandabile la salita alla cupola, dalla cui sommità pare di sentirsi addosso gli sguardi di una città intera, intenta a contemplare la sua stella polare.

Ci vanno tutti… quindi anche noi

Persino i viaggiatori più allergici ai tour preconfezionati, non possono mancare i “tre stelle” fra i gioielli capitolini. La contropartita è che saranno affiancati da plotoni di turisti al seguito di guide con l’ombrello. La nostra camminata nella storia inizia dalla sinuosa via IV Novembre, che abbandoniamo per puntare alla Colonna Traina. Il suo lunghissimo fregio a spirale ci ricorda la vastità dell’impero romano al suo apogeo. Abbandonata piazza Venezia, non prima di esserci affacciati dalla terrazza del Vittoriano, percorriamo via dei Fori Imperiali. La combo ColosseoForo Romano, per la quale va ritagliata almeno una mezza giornata, dà senso compiuto all’espressione “almeno una volta nella vita”. Non ci sono solo luoghi di culto, archi e templi, ma anche scalinate e fontane. Quindi, dalla vicina via del Corso, direttrice dello struscio capitolino, pieghiamo verso piazza di Spagna, dominata dalla scalinata di Trinità dei Monti e  impreziosita dalla fontana della Barcaccia, opera della premiata ditta Bernini (padre e figlio). Il percorso delle acque trova il suo climax emotivo quando, dai vicoli afferenti alla piazza omonima, uno scrosciare inconfondibile annuncia Fontana di Trevi. La sua bellezza ci coglie impreparati, tale il contrasto tra l’angustia delle stradine che vi confluiscono e la maestosità della sua scenografia. Non a caso, assurta con La dolce vita a icona della settima arte.

Continuando per via del Babuino, la percorriamo tutta fino a sbucare al culmine del cosiddetto Tridente in piazza del Popolo, con il suo caratteristico obelisco. Se i garretti reggono, è raccomandabile la salita al Pincio, ma solo dopo aver visitato Santa Maria del Popolo, chiesa degli artisti, celebre per gli eccelsi lavori di Pinturicchio, Caravaggio e Annibale Carracci. Per l’ultima tappa del manuale delle perfette vacanze romane ci dirigiamo più a ovest, puntando a Piazza Navona. Meravigliosamente barocca, agli occhi dello sportivo ha un motivo d’attrazione in più, essendo stata realizzata al posto dello Stadio di Domiziano, dove si svolgevano gare di atletica. Una venue così non la batterebbero neanche il Camp Nou e Wembley messi insieme.

Musei

Dall’antichissimo lapis niger a un quadro di de Chirico, l’offerta culturale dell’Urbe disorienta per vastità e importanza. Preziosa bussola sarà il sito ufficiale del turismo del Comune. Se proprio non vogliamo sbagliare, puntiamo sul classico, con due istituzioni: i Musei Vaticani e Capitolini.

Musei Vaticani

Le lunghissime file (pare di stare a Church Road, anche per la folta presenza di stranieri), evitabili prenotando online, troveranno ampia ricompensa quando ci troveremo a pochi metri dal Laocoonte o dalla Creazione di Adamo. Senza tener conto del fatto che a volte non sapremo se ammirare più le opere o le sale che le ospitano, come la stupenda Galleria delle Carte Geografiche.

Musei Capitolini

Non tutti i musei possono vantare di affacciarsi su una piazza ideata da Michelangelo e sospesa sulle testimonianze della Roma imperiale. Oltre alla celeberrima statua equestre di Marco Aurelio, spicca la Medusa del Bernini e Romolo e Remo di Rubens.

Mercatini, un piatto di pasta e il biondo Tevere

Probabilmente, quella foto di papa Giovanni è sempre là, a Porta Portese, sommersa da un quintale di cianfrusaglie. Magari solo un po’ ingiallita. Così come tanti altri articoli di questo stranoto mercato delle pulci. Scansando croste, forse troveremo qualcosa di interessante. In caso contrario, avremo fatto il pieno di quella veracità romana che strappa sempre almeno un sorriso. Ma siccome Trastevere è vicina e il contapassi ci dice che lo stomaco brontolerà a breve, puntiamo decisi a piazza Trilussa, dalla quale partiremo alla ricerca di una carbonara doc (pretendere il guanciale, niente pancetta), o per secondo due teneri saltimbocca e un contorno a base di misticanza, che sarebbe insalata mista se vogliamo parlare come mangiamo, o carciofi alla giudia. Per placare la sete, chiuderemo con una grattachecca, da sorbire passeggiando pigramente sul Lungotevere, mentre il sole disegna ombre sempre più lunghe. Il che ci ricorda che al Foro Italico sta per iniziare la sessione serale.

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Italico… nel bene e nel male

“Gli inglesi hanno inventato il tennis, ma gli italiani lo hanno reso umano”. Questa frase di Bud Collins descrive efficacemente l’atmosfera che si respira al Foro Italico. Frutto dell’alchimia del tutto particolare fra un pubblico eterodosso, appassionato quanto talvolta maleducato, e un impianto circondato da pini secolari che conta un campo merlato di statue marmoree. Un unicum nel panorama tennistico. Nel 2010, con l’inaugurazione del nuovo Stadio del Tennis, è finita la fase dell’eterna provvisorietà, quella in cui i marmi venivano sormontati dagli spalti aggiuntivi da smantellare a fine torneo. Fortunatamente. Ciononostante, la struttura presta il fianco a diverse critiche, sia in ordine alla limitatezza degli spazi, sia sui piani logistico e organizzativo. Per contro, non si discutono il fascino e la tradizione, confermata dai grandi nomi che arricchiscono l’albo d’oro degli Internazionali. Non abbastanza, però, per potersi fregiare del titolo di quinto Slam. Per i biglietti, consultare il sito ufficiale.

L’albo d’oro

Femminile

La prima vincitrice degli Internazionali, siamo nel 1930, è la spagnola de Alvarez, tre volte finalista a Wimbledon. Lucia Valerio, da lei battuta, si rifarà l’anno seguente. Dopo la pausa per il secondo conflitto mondiale, spiccano i nomi di Doris Hart (1951 e 1953) e Maureen Connolly (1954), prima tennista ad aggiudicarsi il Grand Slam, la connazionale Gibson (1956) e la brasiliana Bueno (1958, 1961 e 1965). Tre titoli anche per Margaret Smith (1962-64), attuale detentrice del record di Slam. Nel 1970, il titolo va a Billie Jean King. Quattro anni più tardi, inizia l’era di Chris Evert, che vincerà 5 edizioni (1974-75 e 1980-82). Gli italiani gioiscono per la vittoria di Raffaella Reggi (1985). Due anni dopo è la volta di una giovane Steffi Graf, che conquista il suo unico titolo romano. Seguono quattro affermazioni della regina del Foro, Gabriela Sabatini (1988-89, e 1991-92). Serie interrotta dalla Seles nel 1990 (la serba si concederà il bis nel 2000). Monica lascia a bocca asciutta Martina Navratilova (per lei un bilancio complessivo di tre finali e nessuna vittoria). Gli anni ’90 vedono il dominio di Conchita Martinez, con i suoi 4 successi consecutivi (1993-96). Nel 1998, un’altra Martina, la Hingis, batte Venus Williams, che le succede l’anno seguente. Nuovo millennio, nuove protagoniste. Trionfi per Serena Williams (2002, 2013-14 e 2016), Maria Sharapova (2011-12 e 2015), Clijsters (2003), Mauresmo (2004-05) e di nuovo Hingis (2006). C’è gloria anche per la Jankovic (2007-08).

Maschile

Si inizia con un nome da kolossal. Bill Tilden vince la prima edizione, nel 1930, disputata a Milano. Passiamo al dopoguerra, e siamo già a Roma. Drobny mette a segno una tripletta (1950-51 e 1953). Finale tutta italiana nel 1955, con Gardini che prevale su Merlo. L’anno dopo Lew Hoad fa sua la coppa. Nel 1957, inizia l’era Pietrangeli, che bisserà nel 1961, in finale su un giovane Rod Laver nell’edizione giocata a Torino, in occasione del centenario dell’Unità d’Italia. Il titolare di due Grand Slam si rifà l’anno dopo, sconfiggendo Roy Emerson (23 major in due), e nel 1971. Tripletta anche per Mulligan (1963, 1965 e 1967), che otterrà la cittadinanza italiana. In era open, trionfi per Newcombe (1969) e Nastase (1970 e 1973). Il 1976 è l’anno d’oro di Adriano, che vince sia qui sia al Roland Garros. Due coppe anche per Borg, nel 1974 e nel 1978, in questa occasione contro Panatta. Successi anche per Vilas (1980), Noah (1985), Lendl (1986 e 1988) e Wilander (1987). Gli anni ’90 vedono il dominio di Muster (1990 e  1995-96) e dei tennista USA, con Courier (1992-93) e, a sorpresa, Sampras (1994). Fase di interregno a cavallo del terzo millennio, con i trionfi di Rios (1998), Kuerten (1999) e Ferrero (2001). Tocca anche ad Agassi (2002). Dal 2005 – anno 0 del regno di Nadal – al 2015, solo fab two, visto che sono l’iberico e Djokovic a spartirsi il bottino. Rafa 7 volte (2005-07, 2009-10 e 2012-13), Nole 4 (2008, 2011 e 2014-15). Nel 2016, l’incantesimo si spezza, a favore del novello “terraiolo” Andy Murray. A bocca asciutta, finora, Roger Federer, giunto a un punto dall’alzare la coppa nella bellissima finale persa da Nadal nel 2006.

A chi arriderà l’edizione 2017? Ai soliti noti? Chissà che non tocchi a un nome nuovo. Sia come sia, Roma accetterà il verdetto con distaccata ammirazione. Tanto, la coppa dell’eternità l’ha già alzata.

Andrea Ciocci

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