Djokovic tra Agassi e Parigi: "Sono motivato, mi spingerò al limite"

Interviste

Djokovic tra Agassi e Parigi: “Sono motivato, mi spingerò al limite”

L’ottimo feeling con Agassi, spiegato all’Equipe: “Vedremo dove potrò arrivare ancora”. Poi la conferenza stampa postpartita

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Ne parla con entusiasmo, Novak Djokovic. Intervistato da Franck Ramella, rinomata penna dell’Equipe, il serbo commenta a lungo la sua nuova partnership con il “Kid” di Las Vegas. Sarà la scelta giusta per rivivere i fasti degli ultimi anni? Solo il tempo e i risultati lo diranno. Ma, intanto, ancora una volta il campione uscente di Porte d’Auteuil fa parlare di sé in modo non banale.

Grazie a lei rivedremo Dédé di nuovo in campo!
“Chi è Dédé?” chiede sorpreso Djokovic. In effetti non era di facile intuizione ma “Dédé” è il diminutivo francese di André. “Dédé! È divertente come diminutivo; assomiglia a “deda” che, in serbo, significa nonno, nulla a che vedere con André, che ha uno spirito assolutamente giovane!

Per essere un fan di Sampras, non è stato forse difficile privilegiare la scelta di Agassi?
Pete è stato il mio più grande idolo, ma seguivo anche André. Aveva un gioco più simile al mio rispetto a Sampras. Ma non c’è nessun problema. Le circostanze della vita mi hanno portato verso André e il modo in cui stiamo costruendo questa collaborazione mi conforta. Gli sono grato. È un’occasione fantastica per imparare.

Se fossi un giovane che non conosce il tuo nuovo coach, come lo presenteresti?
Gli direi che ha un carattere forte, molto onesto e sincero. Mette passione in quello che fa e quando si impegna in qualcosa lo fa al 100%.

Possiamo paragonare i vostri due percorsi? Tu non eri sceso in classifica come era accaduto ad Agassi…
Entrambi abbiamo avuto delle difficoltà nei nostri percorsi, che sono unici. Abbiamo dovuto affrontare momenti difficili diversi per realizzare i nostri obiettivi. La cosa che lo fa assomigliare di più a me è che, durante la maggior parte della sua carriera, ha lavorato pensando che vincere in campo fosse l’unica cosa a renderlo felice. Ma non lo era. Ha descritto molto bene la sensazione per la quale si sentiva costretto a farlo. Forse non provo esattamente le stesse cose, ma anch’io, per anni, ho basato la mia gioia sul fatto di vincere un incontro di tennis. Per tutta la vita, il mio entourage, le persone intorno a me, hanno sacrificato le loro energie per me, perché potessi giungere al massimo del mio potenziale e diventare così il n. 1 del mondo. È successo e ne sono molto fiero. Ma mi sono reso conto che puntavo tutto solo sul tennis, considerato come fonte di gioia e pace interiore. Ma, alla fine, non è così.

Perché?
Perché non si può vincere sempre. E quando si perde, non dovrebbe essere la fine del mondo e non si dovrebbero sprecare così tante energie a essere così delusi. Certo, è ovvio che per tutti è importante vincere. Se non ci importasse di vincere o perdere, allora perché diventare un tennista professionista? Certo che voglio ridiventare n. 1 e conquistare altri slam, ma voglio ritrovare un equilibrio, nel senso di una stabilità emotiva. Non ho bisogno di basare tutta la mia esistenza sul fatto di vincere o perdere partite.

Come può aiutarti Agassi?
Credo che André ed io siamo consapevoli di voler raggiungere un equilibrio ottimale per poter essere sereni e soddisfatti. Non ci è voluto molto per essere sulla stessa lunghezza d’onda. Giovedì abbiamo trascorso la nostra prima giornata insieme e ci sembrava di conoscerci da anni. Abbiamo parlato tantissimo, in campo e fuori. In lui è impressionante il fatto che cerchi sempre di condividere la propria esperienza, i propri sentimenti, le sue sensazioni nei miei confronti. Allo stesso tempo, è molto rispettoso e sensibile in termini di timing. Sa quando bisogna dire le cose.

Nonostante la tua esperienza e le certezze accumulate, hai ancora bisogno di lavorare mentalmente…
Tutti ne hanno bisogno, ogni giorno. La gente pensa che siccome abbiamo raggiunto grandi obiettivi e siamo arrivati in cima, non abbiamo più bisogno di lavorare mentalmente, che siamo giocatori maturi e che i problemi siano finiti. Non è assolutamente vero! Certo, siamo sollevati quando realizziamo grandi imprese. Ma, per quanto mi riguarda, per il mio modo di essere e per come sono cresciuto, ho sentito l’esigenza di continuare a migliorarmi ancora. Di fare ancora di più. Ero molto curioso, e lo sono ancora, di sapere fin dove posso ancora arrivare.

IN CONFERENZA STAMPA DOPO IL PRIMO TURNO: “E SE LAVORASSI CON GIL REYES?”

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