Che jella: le nostre top ten sono davvero nate troppo presto!

Editoriali del Direttore

Che jella: le nostre top ten sono davvero nate troppo presto!

PARIGI – Quanti Slam, e quanti piazzamenti importanti, avrebbero ottenuto Schiavone, Pennetta, Errani, Vinci giocando oggi? La crisi WTA. Vizi e virtù d’un sistema malato

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da Parigi, il Direttore

Ho visto le semifinali Ostapenko-Bacsinszky (buon compleanno a entrambe e… sono contento che abbia vinto la ragazza di 20 anni contro quella di 28) e poi Halep-Pliskova. Anche se Marion Bartoli ha detto che il dritto della Ostapenko fila più rapido perfino di quello di Andy Murray, in tutta franchezza non mi è  parso che il livello fosse granché. E ho rimpianto allora la progressiva, ineluttabile scomparsa delle nostre migliori tenniste, sia le mamme pensionate che le celibi prepensionande. E mi sono detto, con malcelata tristezza, che purtroppo le tenniste italiane che ci hanno dato tante soddisfazioni sono nate troppo presto. Questa è la sensazione che mi assale vedendo in che stato versa il tennis mondiale femminile adesso. Francesca Schiavone ha vinto uno Slam, al Roland Garros, quando nel 2010 giocavano Clijsters, Henin, le due Williams, Sharapova, Dementieva, Stosur, Zvonareva, Kuznetsova, Wozniacki, Ivanovic, Jankovic, Safina e insomma  erano in gara ancora tante grandi tenniste di sicuro talento. E poi ha fatto anche una finale e cinque quarti di finale. Insomma è stata sette volte fra le prime otto d’uno Slam. Flavia Pennetta ne ha vinto un altro, all’US open, quando c’erano, più o meno quasi le stesse artiste. E lungo la strada ne ha battute diverse. Ha poi fatto una semifinale e cinque quarti di finale. Quindi anche lei sette volte fra le prime otto.

Roberta Vinci è andata in finale a uno US Open battendo Serena Williams e già quel risultato dovrebbe bastare, ma oltre a quella finale è stata altre tre volte nei quarti. Insomma quattro volte fra le prime otto. Sara Errani (davvero troppo ingiustamente bistrattata da molti lettori irriconoscenti di Ubitennis) ha raggiunto negli Slam una finale, due semifinali e quattro quarti di finale in quegli stessi anni fino al 2015. Sette volte anche lei fra le prime otto, proprio come Pennetta e Schiavone. Come se non bastasse Pennetta, Vinci e Errani sono state anche n.1 del mondo in doppio, da sole e/o in coppia, la Schiavone con la Peschke fra le prime quattro coppie. Sono risultati che per me valgono più delle quattro Fed Cup conquistate, cui pure comunque è giusto dare il giusto risalto soprattutto per la compattezza e l’omogeneità del team azzurro più che per le avversarie battute in finale molto spesso inferiori come livello a quelle sconfitte in alcuni turni precedenti. Non si possono fare le statistiche con i se e con i ma, ma se le nostre quattro top ten fossero nate qualche annetto più tardi e potessero esprimersi al meglio oggi, quanti Slam avrebbero potuto vincere, quante finali avrebbero giocato a questi chiari di luna? Quante opportunità di scrivere ci darebbero per finali e non primi turni, invece di doversi arrampicare sugli specchi per trovare delle righe – con tutto il rispetto – per Bacsinszky-Ostapenko-Halep-Pliskova, le cui gesta alla gran maggioranza degli appassionati interessano poco più di zero?

Mi verrebbe davvero voglia, a questo punto, di invocare il ritorno al tennis di mamma Flavia (classe 1982), dopo aver ascoltato l’altro giorno Patrick Mouratoglou che – leggi l’intervista esclusiva – si aspetta che Serena Williams (classe 1981) riprenda a giocare a 36 anni e mezzo dopo aver dato luce all’erede. Perché Serena (che oltretutto avrà certamente problemi con il peso) sì e Flavia no? Io scrivo sapendo che non tornerà mai e che anzi va applaudita sia per aver dato l’annuncio del suo ritiro quando nessuno se lo aspettava, sia per aver tenuto fede a quel proposito sebbene in tanti (Binaghi e Malagò i primi che mi vengono a mente) si affannassero a tirarla per la giacchetta sperando di farsi belli ai Giochi di Rio con una sua medaglia in doppio. Se adesso dicessi che l’attuale presidente federale, dopo essersi appropriato indebitamente dei loro successi menando vanto immeritato perché quei successi sono stati in massima parte  frutto di sforzi individuali e familiari e non federali, ha clamorosamente fallito la costruzione di un movimento che avrebbe dovuto approfittare di questa “golden era”, si scateneranno i miei soliti critici – e i vassalli federali – per dire sghignazzando biecamente “ecco il solito Scanagatta che se la prende con la FIT. Si sa che ogni pretesto è buono…”. Ne sono consapevole e vado avanti per la stessa strada che intrapresi circa 30 anni fa, quando il presidente federale era un altro, era un mio amico, ci giocavo a tennis e ogni tanto anche a Peppa al Circolo Tennis Firenze ma si macchiò delle stesse identiche colpe e io non mancai mai di farglielo notare (ovviamente senza alcun risultato, proprio come adesso).

Le riassumo qui: anche Paolo Galgani, che non aveva mosso un dito per ottenere che l’Italia andasse in Cile a disputare quell’unica Coppa Davis che poi abbiamo vinto, ha menato vanto per anni di quel successo sebbene fosse stato eletto presidente federale nel ’76 e non avesse quindi minimamente contribuito a formare giocatori di grande livello come Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli. I primi due top-ten, il terzo n.12, il quarto nei top-30 e protagonisti di 4 finali di Davis in cinque anni. Se andammo in Cile fu soprattutto merito di Nicola Pietrangeli che a differenza di Galgani si battè per quanto potè, finche anche l’onorevole Pirastu del PCI sbloccò la situazione demagogica. Anche Paolo Galgani, negli anni successivi a quegli exploit, non si preoccupò minimamente di sfruttare il boom del tennis, di creare le premesse perché ci fosse un seguito. La sua prima preoccupazione era un’altra: essere sempre rieletto. Raccogliere voti nel maggior numero delle regioni e se ci fossero stati – è solo un esempio – quattro straordinari dirigenti in una stessa regione era per lui meglio rinunciare a tre di loro per fare eleggere al loro posto tre minus habens di altre regioni, purchè quei tre potessero però assicurargli il massimo dei consensi e la rielezione. Aveva inventato anche un geniale metodo di investigazione, per capire che nel segreto dell’urna, qualche delegato regionale non lo tradisse. Lo riassumo così con una serie di esempi: la Lombardia “doveva” (era istruita a …) votare Paolo Galgani, la Toscana Galgani Paolo, la Sicilia Avv.Paolo Galgani, le Puglie Galgani avvocato Paolo, il Trentino dott. Paolo Galgani. Insomma, alla fine era facilissimo controllare chi era stato fedele (sì da poterlo premiare) e chi no. Formidabile.

E poiché, a differenza dell’attuale presidente che ha almeno il pregio di passare diversi giorni della settimana a Roma (grazie al fatto che la sua attività lavorativa in Sardegna non deve essere troppo pressante), l’avvocato fiorentino era invece fortemente impegnato in tribunale, Galgani dichiarò pubblicamente che a Roma era meglio scegliere collaboratori poco capaci piuttosto che “quelli più bravi che prima o poi mi avrebbero fatto le scarpe”. Con i risultati che poi si sono visti. Quella semina (di Mario Belardinelli) è stata buttata via, dilapidata. In 40 anni non siamo stati capaci di creare un sistema di insegnamento, un sistema organizzativo, un serio appoggio ai circoli più seri, né allenatori, giocatori. Non campioni. Giocatori. Sarebbero bastati questi ultimi. Quelli che sono venuti fuori, che sono entrati nei primi 100,  l’hanno fatto quasi tutti da soli. Come le ragazze. Niente è cambiato se oggi, dopo la “golden era” delle quattro nostre top ten che hanno passato i 30 anni, non c’è lo straccio di una qualche ragazza pronta a prendersi la loro eredità. Jasmine Paolini è n.200, Martina Trevisan n.221, Georgia Brescia n.246, Giulia Gatto-Monticone n.277, Camilla Rosatello 306, Jessica Pieri 307, Anastasia Grymalska 343, Martina di Giuseppe 368, Cristiana Ferrano 381, le altre fuori dalle prime 400.

Io qui chiedo allora, anche – anzi soprattutto – a coloro che non riescono ad andare oltre al “eh, ma Scanagatta ce l’ha con la FIT”, dov’è che quest’analisi è sbagliata? Dov’è che invece secondo i benpensanti – quindi non io – le cose sono state fatte come si doveva se la situazione è questa? Siamo stati solo sfortunati? In cosa però? Ad avere questi dirigenti incapaci di programmare meglio ciò che riguarda il settore tecnico? Oppure la colpa morì fanciulla? Con noi ce l’ha il maledetto destino?

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