Gunter Bresnik: "Allenavo Janowicz e mi sentivo come una radio"

Interviste

Gunter Bresnik: “Allenavo Janowicz e mi sentivo come una radio”

Il coach austriaco ha rilasciato un’intervista su Jerzy Janowicz, con cui ha collaborato in questo 2017. “È testardo e non gli piace ascoltare” ha detto, “ma ha il potenziale da top 10”

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Magari, dopo il successo di oggi, coach Gunter Bresnik spenderà parole un po’ meno severe nei confronti di Jerzy Janowicz. O magari invece penserà che i rimproveri della manciata di settimane di collaborazione, sparse tra la preparazione invernale a Tenerife, gli Australian Open e Sofia sono serviti a qualcosa. Il tennista di Lodz ha battuto Grigor Dimitrov nei quarti di finale della Mercedes Cup di Stoccarda, ma più che l’inaspettato risultato, a sorprendere è il modo in cui questo è giunto. Contrariamente a quanto ci ha abituato negli anni, Janowicz è stato perfetto nei momenti cruciali, annullando ogni palla break contraria (3 su 3) e convertendo l’unica in suo favore, per chiudere al primo dei match point disponibili.

Bresnik non è con Janowicz all’ATP 250 tedesco e la loro partnership rimane di tipo saltuario, visto che il coach austriaco è ormai dedicato a tempo pieno alla sua stella Dominic Thiem, ma nonostante ciò ha seguito più di una delle sue sessioni di allenamento, dispensando i suoi consigli. Spesso invano, da quanto si è capito dalla lunga intervista concessa al sito polacco Przeglad Sportowy. “Jerzy è testardo, non gli piace ascoltare” ha detto, come sempre senza peli sulla lingua. “Durante gli allenamenti mi sentivo come una radio: stavo lì a ciarlare, sullo sfondo, mentre lui faceva di testa sua”. Non proprio sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda, i due. “Un atteggiamento del genere è in contrasto con la mia filosofia. L’allenatore è un medico, non gli deve importare cosa il paziente vuole, ma ciò che al paziente serve” spiega Bresnik, che ha studiato medicina in gioventù. E che domanda: “Perché Thiem è top 10? Non perché paga me per dargli una opinione, ma perché fa quello che gli si dice di fare”.

L’impresa non è comunque disperata. Janowicz non è “quadrato” come Thiem ma non è neppure il primo scapestrato con cui il cinquantaseienne viennese ha a che fare, visto che qualche stagione fa ha allenato a lungo e con successo Ernests Gulbis, aiutandolo a vincere più di un titolo ATP e soprattutto a raggiungere una semifinale Slam. Che poi è anche il miglior risultato finora ottenuto dal polacco in carriera, a Wimbledon 2014. Da quel giorno tuttavia, per colpa di un brutto infortunio al ginocchio occorso nel gennaio del 2016, le prestazioni e di conseguenza la posizione del ranking di Janowicz sono precipitate (oggi è numero 155). Lui però, a sentire Bresnik, non sembra intenzionato a farsene una ragione e comportarsi di conseguenza: “Si aspetta ancora successi, ma ora che è così in basso in classifica non si adatta alla realtà. Ha fatto quella semifinale a Wimbledon e una finale a Bercy, ma erano quattro anni fa. Oggi deve capire che non può più arrivare ad un torneo due giorni prima, allenarsi e pensare che andrà tutto come prima perché, se non ha lavorato in precedenza, semplicemente non accadrà”.

Quando si ferma per un attimo dall’elencare i difetti, in ogni caso, si capisce che c’è qualcosa in Janowicz che affascina Bresnik. Mi sono offerto di aiutarlo perché ho visto in lui delle qualità incredibili che non vengono sfruttate. Ha un ottimo servizio, eccellente impatto con il dritto e il rovescio, mano molto buona, tocco e volée. Tra i giocatori alti del tour è quello dalla sensibilità più commovente, ha senza dubbio il potenziale da top 10. E poi è un po’ pazzo, molto espressivo. Sull’ultima parte non c’è alcun dubbio: basta chiedere al referee di Stoccarda, dal quale ha tentato di farsi annullare un penalty point per linguaggio scurrile sostenendo che avesse semplicemente esclamato… quanto ama gli hamburger, dei quali aveva visto una pubblicità a bordo campo. La protesta non è andata a buon fine, e Jerzy è tornato a fondo campo per continuare il match esclamando “hot dog, donut, I love pizza”.

Forse ha ragione Gunter Bresnik, in ogni caso. Sotto alla buccia di sana follia – di cui il tennis contemporaneo continua ad aver disperato bisogno – tutto quel potenziale c’è davvero, e Janowicz ha soltanto bisogno di qualcuno che lo segua costantemente e lo sproni ogni giorno a migliorarsi (il ruolo è ancora vacante). Lui però deve metterci del suo, iniziando ad essere “consapevole al cento per cento di cosa sta facendo, per prendersi cura di se stesso”. E soprattutto deve iniziare ad ascoltarla, quella benedetta radio.

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