Federer: "Io filantropo dopo il mio primo trionfo"

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Federer: “Io filantropo dopo il mio primo trionfo”

Era impegnato a Seattle, insieme a Bill Gates, in un evento benefico. Come tante altre manifestazioni, in questi anni. Ecco perché Roger Federer si impegna per il sociale

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Il tennista svizzero nel mese di aprile si è concesso in una lunga chiacchierata con Mary Carillo, ex-tennista e attuale giornalista per NBC Sport.

Dopo la tua vittoria agli Australian Open di quest’anno, quando sei uscito dal campo, ti ho visto abbracciato con Mirka per un momento molto lungo, ed è stato molto toccante.
Quando esci dal campo centrale non sai cosa troverai dietro l’angolo, ne tanto meno chi c’è ad aspettarti. Certe volte capita che trovi un completo sconosciuto che non hai mai visto prima e ti fa i complimenti per il match. È stato bello trovare Mirka e constatare quanto fosse importate anche per lei, e siamo rimasti lì ad abbracciarci e a dirci ‘cavolo, ne è valsa proprio la pena.’

I risultati da te ottenuti e quello che sta facendo Nadal era qualcosa di impensabile fino a pochi mesi fa.
Sono andato a visitare la sua accademia a Maiorca in settembre, prima del torneo di Basilea dove lui era stato costretto a ritirarsi per via di un infortunio, e mi disse ‘facciamo qualche scambio per i bambini però, guarda, io posso fare poco col mio ginocchio. Giusto qualche volée, correre un po’, ma non posso fare nessuna esibizione con te, mi spiace tanto.’ Io gli ho detto ‘no problem, neanche io non è che possa fare molto’ (sorride). E dopo quattro mesi ecco che siamo in finale in Australia a giocarci il titolo. La cosa è fantastica per entrambi.

Quando trionfi in un torneo trasmetti tanta energia. Già sai in che modo andrai a reagire dopo una vittoria? Come decidi in che modo mostrare la tua gioia?
Certe volte riesci a visualizzarla nella tua testa, magari il giorno prima, oppure al momento del match point. Poi dipende anche da come è stato giocato l’ultimo punto; se ad esempio hai appena chiuso con un dritto in corsa non può accasciarti a terra. Se invece servi e vedi che la risposta sta andando fuori magari hai tempo per una reazione diversa e pensi ‘oh mio dio, mi sento così sollevato, esausto e contento tutto allo stesso momento.’ Inoltre dipende dalla tensione che c’è, come nel 2009 dopo il match con Roddick a Wimbledon, ho iniziato a saltare come un bambino e avevo tanta tensione. La cosa bella è che riesco sempre a controllare la cosa e sono contento di poter condividere la mia gioia con la gente. A loro fa piacere vedere che io ci tengo ai traguardi che raggiungo.

Ora che le tue ragazze sono sugli spalti a vederti, quanto si rendono conto di quello che stai facendo?
Ad Indian Wells è stato bello perché erano allo stadio e hanno visto la cerimonia e tutto il resto. Ma a Miami per esempio loro non c’erano per la finale e quando sono tornato a casa non avevo con me il trofeo, per loro quindi era come se fossi andato a fare un allenamento. Una volta rientrato abbiamo fatto la lotta con i cuscini (ride). Comunque loro hanno capito che gioco un sacco a tennis e sanno la differenza tra un match e un allenamento, cerco di educarle in questo senso ma voglio tenere la cosa molto tranquilla per quel che riguarda la mia vita professionale, per esempio loro non sanno il mio ranking, non sanno quanto sono bravo. Sanno però quanto sono bravi tutti gli altri: quando incontriamo Stan o Rafa, Novak o Andy, io gli dico ‘questi ragazzi sono incredibili.’ E loro prendono la cosa come una famiglia allargata; si è creato un bell’equilibrio e mi piace tenerlo così.

Un paio di anni fa, quando stavi giocando con il dolore alla schiena, molti pensavano che non saresti più tornato a questi livelli.
Il problema con i dolori alla schiena è che certe volte ci sono, certe volte no, altre volte sembra migliorare. Poi torna a farti male ed è come avere la mente annebbiata e ti senti stanco di tutta questa situazione; non è bello affrontare la vita con il mal di schiena. Inoltre la maggior parte delle persone non lo sapevano perché non lo dicevo, quindi loro vedevano che il mio livello scendeva e pensavano ‘forse non si muove bene o sta invecchiando’, ‘ha perso di nuovo nei quarti’. Al momento probabilmente sono invecchiato perché non sorrido più tanto spesso, ho tante preoccupazioni, capisci. A quel punto ho capito che giocare troppo a lungo con un problema non è buono per il tuo gioco, e per nessun altro. Perché alla fine vieni giudicato nel modo sbagliato. La cosa da fare è un passo indietro, prepararsi a ritornare a giocare e a quel punto puoi venir giudicato di nuovo. Quando ho iniziato a dire che avevo dolori alla schiena qualcuno ha commentato ‘ecco che ha un’altra scusa’, altri hanno detto ‘io non gli credo’, e altri ancora si sono sentiti tristi per me. Di questo non ne ho bisogno, non voglio che le persone siano tristi per me. Ho avuto una buona carriera e per questo penso che per me sia stato un bene allontanarmi per un po’.

Non ti sei sentito un po’ giù durante l’assenza dai campi?
Sì. Se mi fosse capitato a 22 anni, sarei potuto restare fermo anche per due anni, tanto sarei stato ancora giovane. Adesso invece il tempo non è più dalla mia parte e ogni anno che passa sento che le chance di vincere un grande torneo si assottigliano sempre di più. L’incognita era a che livello sarei tornato e che cosa avrei riscontrato con il mio ginocchio. È stato bello parlare liberamente con tutti, anche con la stampa, e dire quanta poca aspettativa avevo su di me. Perché di fatto negli ultimi 15 anni volevo vincere ogni torneo al quale mi iscrivevo, quella era la realtà. Ma con questo infortunio sono cambiati i settaggi di tutto ciò.

Lo scorso anno, con tutto il tempo che hai passato a casa, le ragazze si sono chieste perché tu fossi sempre lì?
Dopo l’operazione, quando avevo le stampelle, erano un po’ spaventate e si sono messe subito a disposizione per aiutarmi, poi quando ho iniziato a riprendermi loro hanno ricominciato a farmi i dispetti. Anche vedere questo aspetto di loro è stato interessante. Per noi è stato bello passare sei-sette settimane tutte nello stesso posto, cosa che come giocatore non mi succedeva dal 1999.

Tu provi un grande amore nei confronti dei bambini e vai spesso in Sud Africa a passare del tempo con i bambini della tua fondazione. Ora che sei diventato padre com’è cambiato il tuo modo di vedere la cosa quando sei in loro compagnia?
Ora mi sento molto più a mio agio, perché riesco forse a capire a cosa stanno pensando o capisco quando sono tristi o timidi. Magari vedi quel ragazzino che se ne sta in disparte perché non riesce a integrarsi allora cerchi di coinvolgerlo. Ora riesco a cogliere tutte queste cose come non avrei mai fatto prima. Quando ero più giovane si facevano molti più incontri con i ragazzi, dove si giocava a tennis con loro ecc. Ora invece ci sono tutti questi servizi fotografici e conferenze, comunque io ho sempre passato dei bellissimi momenti con loro e mi sento sempre a mio agio. Io da piccolo ho sempre avuto difficoltà a scuola e quando poi mi sono accorto che gran parte delle persone al mondo non va ha scuola e non hanno un buon sistema scolastico – cosa che abbiamo noi in Svizzera dove tutti ricevono un’educazione – ho capito che bisognava lavorare su quell’ambito.

Di natura tu sei una persona ottimista e penso che la stessa cosa valga per Bill Gates. Lui pensa di poter compiere dei grandi cambiamenti e di fare qualcosa di buono, quindi il fatto che voi vi frequentiate ha perfettamente senso.
Spero di poter imparare tanto da lui. Spero possa insegnarmi che cos’è che lo spinge a fare così tante cose buone. Mi chiedo se aveva questi sentimenti già da giovane o se si sono manifestati col passare dell’età, o se magari c’è stato un momento catalizzatore. Sarebbe interessante sapere queste storie. Ci sono sempre dei momenti nella vita di un uomo quando lui si guarda indietro e dice ‘quello è il momento dove ho imparato di più’, poi ci sono altre situazioni in cui si affrontano delle scelte e si prendono determinate direzioni. Sono stato coinvolto nella filantropia da 15 anni, ma è solo negli ultimi sei o sette che sono stato in grado di raccogliere davvero tanti soldi. Quando hai la tua fondazione devi fare tutte le cose nel modo giusto e devi essere super trasparente.

Quindi qual è stato il momento che ha scaturito in te, 15 anni fa, la voglia di fare del bene e avere una fondazione?
Il mio primo successo nel tour, quando ad una giovane età mi sono accorto che avevo la possibilità di fare tanti soldi. E non avevo bisogno di tutta quella somma, se non per pagare i miei viaggi, i miei coach, ridare indietro i soldi ai miei genitori, e poi arrivi a fine giornata e ti ritrovi con una certa quantità. Ovviamente ti domandi anche per quanto tempo continuerai a giocare e a vincere e quanto riuscirai a guadagnare anche per il periodo dopo il tennis, ma puoi davvero iniziare presto ad apportare dei cambiamenti nella vita di alcuni ragazzi. All’epoca l’Unicef era sponsor dell’ATP e anche questo mi ha ispirato; penso sia bello per il tour fare della beneficenza perché può portare tanti altri tennisti a fare altrettanto.

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