Ancora sul Roland Garros: Halep e le altre protagoniste

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Ancora sul Roland Garros: Halep e le altre protagoniste

A Parigi non c’è stata solo l’impresa di Jelena Ostapenko. Ecco gli altri nomi di spicco, più o meno attesi

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La scorsa settimana lo straordinario successo di Jelena Ostapenko si è preso tutto lo spazio disponibile nella rubrica del martedì. Oggi vorrei riprendere il ragionamento sullo Slam trattando di alcune delle altre protagoniste, attese e inattese.

Simona Halep
Alla vigilia del torneo Simona Halep si presentava come la vincitrice più logica, la risposta più probabile a una situazione ricca di incognite, nella quale nessuna delle concorrenti garantiva, per ragioni diverse, la solidità necessaria per vincere.
Il dubbio che rimaneva su di lei riguardava la tenuta mentale; un dubbio che al termine delle due settimane parigine invece di essersi dissolto si è ingigantito, tanto da rischiare di diventare un complesso.

A Parigi Halep ha trovato un tabellone senza agevolazioni, visto che dal terzo turno in poi ha affrontato sempre teste di serie (finale esclusa). Daria Kasatkina è stata il primo serio ostacolo. Halep ha vinto in due set, ma Kasatkina è arrivata a un passo dal forzare la partita al terzo, visto che, dopo essere ritrovata sotto 0-6, 1-3 ha vinto quattro giochi consecutivi, e mancato quattro set point. Un riavvicinamento avvenuto sia per meriti di Daria (che dopo un avvio sottotono ha cominciato a spingere con più convinzione) ma anche per demeriti di Simona, che in questo match ha dimostrato come il peso del pronostico la facesse affrontare alcuni passaggi decisivi con molta titubanza.

Sembrava che la svolta definitiva del suo torneo fosse arrivata contro Elina Svitolina, in una partita dai due volti: la prima parte tutta per Svitolina, poi il completo rovesciamento con la rimonta, iniziata a un solo game dal tracollo (da 3-6, 1-5). Andamenti di punteggio così estremi sono legati a motivazioni psicologiche, ma in questo caso sono state molto evidenti anche quelle tecnico-tattiche. Nel momento in cui si è ritrovata con le spalle al muro, Halep ha deciso di prendere più rischi e il nuovo atteggiamento si è concretizzato attraverso un radicale cambio di schemi: finalmente è tornata a utilizzare i colpi lungolinea, per cambiare più spesso gioco e variare le geometrie dello scambio.

I frequenti lungolinea (sia di dritto che di rovescio) erano stati il marchio di fabbrica di Simona nel periodo della sua affermazione (2013-2014), ma nelle stagioni successive erano stati usati meno, riducendo la brillantezza e la varietà di gioco. E così la Halep ricca di soluzioni tattiche di quel periodo felice era diventata una tennista più prudente; sempre piuttosto solida, ma difficilmente in grado di raggiungere superiori picchi di rendimento.

Invece contro Svitolina c’è stata una fase del secondo set in cui Halep ha deciso di ricorrere con tale assiduità al lungolinea che alcuni scambi si sono avvicinati a situazioni da allenamento: quando a un giocatore che colpisce incrociato l’altro replica sistematicamente lungolinea.
In questi casi il rischio è che se il cambio di gioco risulta poco incisivo offre molto spazio proprio alla chiusura incrociata: e contro Svitolina in alcuni scambi è effettivamente accaduto. Ma era il prezzo da pagare per poter condurre un palleggio finalmente propositivo e dominante, tanto da riuscire a ribaltare la situazione disperata di punteggio (3-6, 7-6(6), 6-0 con anche un match point contro nel tiebreak).

Non sono rari i casi di giocatori che si salvano a un passo dal baratro e poi arrivano a vincere il torneo, come se l’essere sopravvissuti al match point li avesse mitridatizzati, resi immuni della sconfitta. L’ottima vittoria contro Pliskova sembrava confermare questa ipotesi, invece in finale si sono ripresentati i fantasmi legati alla paura di vincere dei turni precedenti.

Quando si fronteggiano due tattiche di gioco agli antipodi, con il senno di poi diventa fin troppo facile mettere sotto accusa quella perdente: e visto che Halep ha perso, è quasi inevitabile giudicare troppo passivo l’atteggiamento assunto contro una Ostapenko al contrario molto aggressiva. Ma è anche vero che lo stesso atteggiamento aveva consentito a Simona di ritrovarsi avanti 6-3, 3-0 e con tre occasioni per il 4-0.

Anche in questo caso perdere una partita da un vantaggio del genere non può che chiamare in causa gli aspetti mentali. Di fronte a una avversaria che non era nemmeno testa di serie, Simona aveva tutto da perdere. La situazione della vigilia sotto questo aspetto era la peggiore possibile, per tre ragioni contemporaneamente.
La prima: era la netta favorita per la partita in sé, tanto che i bookmaker la davano a 1,29 contro 3,60. La seconda: aveva finalmente a portata di mano uno Slam, dopo avere in altre occasioni deluso, specie a Parigi. La terza: se avesse vinto il match sarebbe diventata anche la numero uno del mondo. Le tre cose messe insieme si sono rivelate un fardello estremamente pesante, troppo pesante da reggere sul piano psicologico.

Ma oltre gli aspetti mentali, sulla finale a mio avviso si può avanzare almeno un appunto tecnico-tattico: se Halep aveva in mente di basarsi sul contenimento e sull’idea di allungare il palleggio dell’avversaria sino a farla sbagliare per prima, nel momento in cui ha cominciato a prendere corpo la rimonta di Jelena forse avrebbe potuto fare qualcosa di diverso senza snaturare l’impostazione di partenza.
Mi spiego. Ostapenko è una formidabile colpitrice, e come tutte le colpitrici è straordinariamente pericolosa se può esprimersi in un palleggio di ritmo con palle all’altezza del fianco. Ma in più, dote molto meno comune alla sua categoria, è estremamente efficace anche sulle palle a rimbalzo alto, che sa “schiacciare” sia dalla parte del dritto che del rovescio (grazie al sapiente uso della mano sinistra). Dunque Jelena soffre relativamente poco i servizi in kick, così come i “topponi” liftati durante lo scambio. Invece fatica quando deve misurarsi in situazioni di palleggio aritmico e sulle palle dal rimbalzo basso; nella finale di Charleston, ad esempio, Kasatkina aveva ottenuto una grande quantità di punti grazie agli errori indotti dallo slice di rovescio.

Ecco, questo colpo negli schemi di gioco di Halep è risultato praticamente assente, mentre in un match contro Ostapenko se la situazione si complica a mio avviso è quasi obbligatorio provare a utilizzarlo. Difficile dire se Simona non l’abbia usato per scelta tattica o per una scarsa fiducia tecnica nei confronti del proprio slice. Un colpo che possiede, ma che propone raramente, forse proprio perché non lo considera sufficientemente affidabile.

Alla fine per Halep il Roland Garros 2017 si è chiuso con lo stesso risultato del 2014: finale con sconfitta al terzo set. Eppure le due situazioni non sembrano nemmeno paragonabili. Se tre anni fa la finale persa contro Sharapova appariva come la certificazione di un nuovo status, una promozione ad alti livelli, oggi la sconfitta contro una ventenne emergente fa sorgere dubbi sul futuro di carriera; in particolare sulla capacità di dare il meglio quando punta ai grandi traguardi, quelli che fanno passare alla storia del tennis. L’età è ancora dalla sua (compirà 26 anni in settembre), ma per iniziare a vincere i Major occorre un salto di qualità sul piano della convinzione e della sicurezza nei propri mezzi.

a pagina 2: le semifinaliste e la sorpresa Martic

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