Un caffè con Moya (parte 2): "Nadal ora è un altro"

Editoriali del Direttore

Un caffè con Moya (parte 2): “Nadal ora è un altro”

Il primo campione di Maiorca parla di Rafa Nadal, del suo apporto di coach, dei suoi progressi. Ma, nel “salotto Lavazza”, anche di Andre Agassi e Novak Djokovic e del giovane tedesco Sascha Zverev

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Qui la prima parte

Non capita tutti i giorni di poter intervistare Carlos Moya, ex n.1 del mondo e oggi apprezzato coach di Rafa Nadal. Come ho scritto a corredo della prima video-intervista – uscita ieri – questa l’ho realizzata nel corso del Roland Garros e purtroppo non ho mai avuto il tempo di sbobinarla.

Capisco che certi lettori si sgomentino, e alcuni addirittura si scandalizzino, se si riproduce un’intervista con molti giorni di ritardo. Salvo che gli argomenti siano ancora attuali. Per me, senza essere argomenti trascendentali – sempre di tennis stiamo parlando, guai a sopravvalutare quel di cui ci occupiamo – ancora lo sono abbastanza. Sarebbe stato un peccato liquidarla in una sola uscita, sarebbe stato uno spreco buttarla via (anche perché per realizzarla io e Roberto dell’Olivo che ha fatto le riprese, abbiano perso più di un’ora, fra l’attesa e altro). E sarebbe stato scortese anche nei confronti di Lavazza che ci aveva invitati e che ci ha sempre sostenuto. In un mondo assai poco incline alla riconoscenza non credo sia un peccato manifestarla. Anzi.

Mentre eravamo a Parigi, noi tutti inviati ingolfati per 12/14 ore al giorno a seguire match, interviste, a scrivere, a fare video, facebook, twitter, a coordinarsi fra noi e con la redazione in Italia, abbiamo raccolto tanto di quel materiale che sarebbe un delitto buttare via. Altre interviste, altre curiosità. Se non abbiamo avuto respiro, e il tempo di utilizzarlo, questo non significa che non dovremmo farlo più. Io prima di partire da Parigi mi sono permesso di assegnare alcuni “compitini” ai vari collaboratori presenti al Roland Garros e piano piano so che usciranno.

Io soltanto ho diverse cose ferme, ad esempio. Come sempre. Come sempre quando torno da un torneo dello Slam in cui tutti si è lavorato duramente per cercare di offrirvi un prodotto dignitoso. Avanzano tanti spunti che magari quel certo giorno non ci è parso prioritario pubblicare, a volte li recuperiamo e a volte no. Sappiamo bene che certi lettori non saranno mai contenti, che le critiche non mancheranno, così come la sottolineatura di alcuni errori (forse evitabili, ma solo chi fa sbaglia no?), la banalità di alcune prese di posizione. Anche qui: chi le prende e si firma si espone. Chi si scatena nel tirare sassi e nascondere la mano celandosi dietro l’anonimato… beh faccia pure. Io non lo farei mai. Non mi è mai successo di dovermi nascondere per una mia opinione. Giusta o sbagliata, originale o meno, in tendenza o in controtendenza che sia la esprimo.

E non riesco a stimare, lo dico apertamente sapendo di irritare parecchi lettori (spero non la maggior parte… sapendo che i lettori sono parecchie decine di migliaia e chi scrive i post molti ma molti meno), coloro che nascondendosi preferiscono esprimere opinioni forti, talvolta decisamente maleducate, spesso anche offensive. Mi capita spesso di pensare che quelle stesse persone non avrebbero il coraggio di dire quelle stesse cose guardandomi negli occhi. Ovviamente non sto parlando di chi tifa Nadal, Fedrer, Djokovic o Murray. Ma di chi vorrebbe dare lezioni a chiunque, di quei Soloni saccenti che però hanno paura di palesarsi. Ometti, donnine, insomma. Brutta gente che infesta il web e la vita civile. Mi sembra giusto al contempo far presente, quando questi “lavori” inediti escono, segnalare dove e quando sono stati realizzati, per correttezza.

Dovevo approcciare con un certo tatto con Carlos Moya la questione del numero sempre maggiori di ex campioni che si improvvisano coach, o co-coach, dei giocatori. Sapevo che Carlos non poteva che essere favorevole a questo nuovo trend che lo vede coinvolto. Però mi pareva giusto ugualmente mettere minimamente in discussione questo ruolo, lasciando capire che alcuni lo considerano una moda, una scelta di marketing più che una scelta tecnica. Poi ovviamente c’è caso e caso, ex campione ed ex campione, chi sembri più adatto a quel ruolo e chi meno. Pochi, ad esempio, hanno mai discusso Ivan Lendl. Perché Ivan ha sempre dato l’impressione (a mio avviso fondata) di essere una persona molto seria, di una che si accosta ad un giocatore con una metodologia non improvvisata. Ma non tutti sono Ivan Lendl… per educazione, mentalità, cultura. A Carlos ho chiesto di spiegarmi se in particolare ci fosse un certo tipo di apporto che si sentiva di aver dato a Rafa Nadal.

Poi abbiamo parlato dello strano avvio del binomio Agassi-Djokovic e gli ho chiesto come si sentisse di giustificarlo – sempre ammesso e non concesso che necessitasse di una giustificazione per via del contatto sviluppato al telefono, da Montecarlo a Las Vegas e con una sola settimana di apprendistato – così come ho provato (perché l’argomento era caldo in quel momento) a farlo sbilanciare sul presente e il futuro di Sascha Zverev, a detta di molti il più interessante dei “Next-Gen”. Per carità, non ne è uscito niente di straordinario, di eccezionale, ma secondo me valeva comunque la pena proporvelo. Un po’ come tutti i contributi unici che, con maggiore o minore successo e consenso, cerchiamo di proporvi spinti da un solo grande motore: la passione per il tennis e per questo mestiere (spesso maltrattato ma bellissimo).

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