Speranza verde Wimbledon. Fognini ci prova con Murray (Clerici). Fognini sfida Re Murray e spaventa i britannici (Crivelli). Fognini, l’erba voglio (Marcotti). Cambio pelle (Azzolini). Gulbis: «Perdevo e stavo sul divano. Ora sono un altro» (Crivelli)

Rassegna stampa

Speranza verde Wimbledon. Fognini ci prova con Murray (Clerici). Fognini sfida Re Murray e spaventa i britannici (Crivelli). Fognini, l’erba voglio (Marcotti). Cambio pelle (Azzolini). Gulbis: «Perdevo e stavo sul divano. Ora sono un altro» (Crivelli)

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Speranza verde Wimbledon. Fognini ci prova con Murray (Gianni Clerici, La Repubblica)

Un mio amico fanatico di tennis, e ancor più di scommesse sul tennis, mi sveglia poco dopo l’alba, annunciandomi la notizia. «Fognini a 8» esclama. «A 8 è un’occasione colossale, di diventare, se non proprio ricchi, quasi». Poco esperto di scommesse come sono domando al Tennismaniaco di spiegarsi meglio. «A 8 vuol dire che, scommettendo cento euro se ne ottengono ottocento», afferma, come cosa ovvia. «E se si scommette su Murray?» domando, nella mia incompetenza. «Su Murray che ogni giorno vien sospettato di ritiro, per un’anca, la sinistra, malmessa tanto da immaginare un futuro intervento chirurgico?». «Dici bene» afferma il fan. «C’è, insieme alla vittoria di Fognini, la possibilità di un ritiro dell’inglese a causa dell’anca». «Vale?» domando. «Certo che vale. Per un ritiro si è battuti. Perché non dovrebbe valere?». «Mi pareva inumano che un infortunio non venga considerato una disgrazia». «Mi domando se tu non confonda l’umanità con l’economia». «Continuiamo con il denaro, allora» dico io. «E se vince Murray?». «Se vince Murray, e hai giocato cento, otterrai solo 5 sterline, perché è dato a venti». «Sei sicuro?». «Quanto del fatto che tu ti sbagli, nel considerarlo perdente». Mi ribello. «Non considero nessuno dei due vincente. Però ricordo, o almeno spero di ricordare che Fognini abbia battuto Murray tre volte. Una in Canada nel lontano 2007, un’altra sotto i miei occhi, e quelli di diecimila napoletani, tre anni fa. Infine a Roma, questo maggio quando il mio amico Paolo Rossi scrisse: «I primi 39 minuti, quel 6-2 al numero uno, hanno ridotto Murray a misero sparring partner». «E le sconfitte?» domanda quella testa dura. «Le sconfitte sono state tre, quante le vittorie di Fognini. Nel 2009 in un match di Montecarlo che io non ricordo, 7-6. 6-4. Le altre due, più recenti, sul cemento, la prima a Valencia 6-4, 6-2, l’ultima alle Olimpiadi, sempre sul duro, 6-1, 2-6, 6-3. «Ma tu lo giocheresti?» insiste l’accanito scommettitore-tennista. «Non so risponderti» dichiaro. «Se lo conosci abbastanza, non puoi provare a chiederglielo?». A questo punto un benefico intervento elettrico interrompe la telefonata. Più tardi, mentre sto chiacchierando di un mio romanzetto con i colleghi di una trasmissione detta Miracolo Italiano, Radio Due, chi mi passa vicino, armato di due racchette, se non Fognini? Potrei sempre dirgli la verità, mi suggerisco, dirgli che un amico mi ha chiesto di domandargli se vince. Poiché questa ipotesi mi appare poco professionale, decido di dare un’occhiata a un suo doppio, insieme a Seppi, contro due tipi che ricordo male, Kontinen e Peers. Un collega si stupisce dalla mia impreparazione ricordandomi che i due hanno vinto il Masters di doppio e, come vado al campo n.6, mi rendo conto che il doppio, del quale cent’anni fa avevo vinto 5 grossi tornei, non esiste proprio più. Lo sconosciuto finlandese e l’ignoto australiano non figurano nemmeno nella classifica di singolare, ma vengono definiti “specialisti” del doppio, e quindi riescono a battere i nostri due. Per mia fortuna la telefonata non è stata ripetuta, e quindi lo scommettitore non mi chiede come abbia giocato Fognini. Secondo me, al contrario di Murray e della sua anca, Fabio vale una scommessa. Per il resto, privo di approfondite conoscenze gastronomiche, riferisco il commento di un collega toscano sull’eliminazione di Karolina Pliskova da parte della n.108, Magdalena Rybarikova. «L’ova ceca l’era più fresca di quella boema». Sua Federarità avrebbe forse preferito un allenamento con il mio amico Ljubicic, che con l’irrispettoso serbo Dusan Lajovic. Ha un po’ faticato sino al tie-break, il Divo Roger, ma ne è uscito con un improvviso e magico 14 punti a 1. Per rimanere nelle scommesse, il Divo vincitore del torneo è offerto a 2,50.

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Fognini sfida Re Murray e spaventa i britannici (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Si va da talentuoso a scostante, da solido a showman. I giornali inglesi si sbizzarriscono con gli aggettivi da riservare a Fognini, l’uomo che oggi incrocia Murray, ma la parola chiave, usata da tutti, è “shotmaker”, letteralmente “produttore di tiri”: in gergo tecnico, Fabio è un giocatore che può costruire un punto dal nulla sia di dritto sia di rovescio. E’ questa la caratteristica che spaventa di più i sudditi della Regina, insieme ai precedenti che certificano la capacità del nostro giocatore più forte di complicare la vita allo scozzese, perché non è da tutti avere un record pari (tre a tre) con il numero uno del mondo, per di più con un successo incontrovertibile appena un mese e mezzo fa a Roma, anche se si giocava sulla terra. E’ vero, qualcuno per esorcizzare lo spettro di quella partita si spinge a pronosticare quante racchette Fabio spaccherà durante la partita violando il tempio del Centrale ma quei tempi, con la paternità, sembrano ormai veramente alle spalle. E Fogna, che sul Centrale giocò anche nel 2012 contro Federer perdendo netto in tre set, ci spera e ci crede: «Non devo nascondermi, è lui il favorito. Sarà una partita dura, un match in salita che proverò a giocare nel migliore dei modi. Dopo Parigi ho lavorato molto dal punto di vista atletico e i risultati si vedono. Certo, io so che il mio gioco gli dà fastidio». E’ il venerdì degli italiani, di sfide all’apparenza impossibili che potrebbero esaltare l’estro e le qualità dei nostri due tennisti più talentuosi. Sarà un grande test, per Camila Giorgi, l’incrocio contro la Ostapenko, la regina del Roland Garros che a suon di martellate ha messo un’ipoteca sul futuro, infilandosi con la sfrontatezza dei vent’anni nelle maglie di un tennis femminile che sta cambiando pelle. «Io e la Ostapenko siamo simili, e non mi sorprende che abbia vinto così giovane Parigi — argomenta Camila — perché sono convinta che tutte possiamo battere tutte. Serve soltanto la continuità di rendimento». E se fosse la sua ora?

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Fognini, l’erba voglio (Gabriele Marcotti, Corriere dello Sport)

La classifica, la superficie, lo stadio. L’abitudine a giocare partite importanti, i due titoli su questi prati. L’ultimo 12 mesi fa, che fa di Andy Murray il campione in carica. Davanti a sé Fabio Fognini, più che un avversario, “ampiamente favorito” per sua stessa ammissione, vede un’impresa. Perché tutte le circostanze sembrano dargli contro. Oggi pomeriggio il numero uno d’Italia, testa di serie n.28, sfida il numero uno del ranking mondiale e prima testa di serie di questi Championships. Una differenza di classifica che se fosse tarata sull’erba risulterebbe con ogni probabilità ancor più evidente. Perché se l’italiano, nelle otto comparsate a Wimbledon, non è mai andato oltre il terzo turno, lo scozzese può vantare non solo due successi (2013, 2016), ma anche una finale (2012), quattro semifinali, e due quarti. Di fatto, Murray è uno tra i migliori interpreti del tennis erbivoro. E poi c’è l’effetto Centre Court, lo stadio tennistico dalla più illustre e prestigiosa storia, dove Andy è di casa, mentre Fabio ha giocato una sola volta, nel 2012, perdendo contro Federer. E’ per questo che gli allibratori locali non sembrano lasciare molte chance di vittoria a Fognini. Al di là dell’immancabile tifo nazionalistico dei tabloid, le quote sono eloquenti. Murray è quotato 1 a 20, Fognini a 8. Che tradotto, significa che puntando 100 euro su Murray, in caso di successo, se ne vincono 5. La stessa cifra, scommessa sull’italiano vincente, vale 800 euro. Uno squilibrio fin troppo evidente, considerati i molti dubbi o delta vigilia sulle condizioni fisiche di Murray, che si era presentato ai blocchi di partenza del torneo con un’infiammazione all’anca. I primi due match hanno fugato, ma solo parzialmente, le preoccupazioni dei tifosi di casa. Ma è stato lo stesso Andy a smorzare gli entusiasmi di chi vede un match già vinto. «Quando è in giornata, Fabio è difficile da battere», ha dichiarato in conferenza stampa. Pensando, forse, alle prime due esibizioni londinesi dell’italiano, fin qui impeccabile. «Forse il mio miglior tennis sull’erba», ha confermato l’interessato. Saluta i Championships Paolo Lorenzi, che cede in quattro set contro il 20enne statunitense Jared Donaldson. Dopo aver vinto il suo primo match sull’erba di Wimbledon mercoledì, ieri il 35enne senese non ha saputo ripetersi contro il Next Gen di Providence, che si è imposto in tre ore di gioco.

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Cambio pelle (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Il percorso è stato aspro, senza vie di fuga, tortuoso nelle curve improvvise e quasi sempre in salita. Colpi vincenti e cattivi pensieri. Trovare se stessi non è mai agevole, tanto più se il nostro carissimo doppio, quella parte di noi che gioca a fare i dispetti, collabora poco. E Fabio e Camila, con l’altra parte di se stessi, ci stanno facendo i conti da quando giocano a tennis. La strada l’hanno affrontata, si sono guardati dentro. Lo ha fatto Fabio, con puntiglio, smussando gli angoli del suo carattere, a volte chiedendo aiuto; e lo sta facendo Camila, che ha una storia diversa e forse un carattere meno problematico di Fabio. A lei la vita ha riservato colpi durissimi, la sorella maggiore scomparsa a Parigi nel modo più tragico e banale, come sempre sono gli incidenti stradali. Il padre che si è dedicato a lei, e che molti criticano, è stata la sua salvezza. Ma ora è giunto il momento di ascoltare quello che le viene da dentro. Ci sta provando, forse ci sta riuscendo. Una con i suoi colpi, con le sue qualità fisiche, ha diritto di organizzare il suo tennis, il suo mestiere, come meglio crede. Un diritto alla maturità. Alla vigilia di due confronti che possono aggiungere molto alla carriera dei due, sembra di poter dire che Fabio e Camila sono pronti per procedere a briglie sciolte. Non c’è garanzia di vittoria, in questo, ma di uscirne a testa alta probabilmente sì. Fognini ha di fronte Murray, «uno con cui mi confronto da quando avevo 14 anni». Tre a tre nei precedenti, l’ ultimo a Roma. Significa che sanno come affrontarsi e come battersi, dunque si conoscono e si temono. Ma sull’erba è la prima volta, «e qui Andy è fra i più forti». Sarà importante prendere il comando delle operazioni. Camila avrà a che fare con Jelena Ostapenko. Un precedente del 2016, favorevole alla Giorgi. Ma Jelena è la campionessa di Francia, dunque merita il rispetto che si concede agli “slammers”. Più erbivora l’azzurra, che sui prati si libera e gioca con un trasporto particolare. Dovrà tenere la palla bassa, non permettere alla Ostapenko di saltarci sopra. Ma sono due ragazze che cercano il punto su ogni colpo, che corrono e hanno fretta. Non sarà un match lungo. In questa mutazione, Camila e Fabio hanno scelto una via comune: cambiare pelle conservando alcune peculiarità di se stessi e del loro gioco. Fognini non manca mai di esporre i colpi più ricercati del repertorio. Ci tiene a far vedere che sa lavorare di fino. Camila non arretra, mai, e se oggi è più disponibile alla ricerca del punto, e ha inserito elementi di razionalità nel proprio tennis, si propone sempre in avanzamento. Cambiare non significa cancellare le proprie doti. Se questo è chiaro, si può ripartire da qui.

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Gulbis: «Perdevo e stavo sul divano. Ora sono un altro» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

L’importanza di chiamarsi Ernests. Ci sarebbe stato bene, Gulbis, nella commedia di Oscar Wilde: aristocratico per censo (il padre è uno degli uomini più ricchi di Lettonia grazie a investimenti nei media e nell’energia), amante delle bevute e delle belle donne e in possesso di una personalità perlomeno sdoppiata, con quei giorni (pochi) illuminati da un talento senza confini che si infilano tra periodi (lunghi) di crisi tecnica e personale. Ernests è uno di quei giocatori di cui si dirà che, con un’altra testa, avrebbero potuto cambiare la storia. Ci sta, per chi a vent’anni portava in giro le stimmate del fenomeno, ha battuto due volte Federer e ha battagliato più di due ore con il miglior Nadal di sempre, a Roma, sulla terra, nel 2010. Eppure, dopo i fuochi d’artificio della semifinale di Parigi di tre anni fa che lo portò tra i primi 10, ancora una volta si lasciò travolgere dalla nausea del successo per forza: «Nella prima parte della mia carriera ho preso solo decisioni sbagliate, magari perdevo una partita e poi tornavo a casa e rimanevo dieci giorni sul divano a non fare nulla». Ha pensato al ritiro, e nell’ultimo anno si erano quasi perse le sue tracce, annichilito da infortuni assortiti a un polpaccio e a un polso. Non vinceva una partita dal Roland Garros del 2016 e qui si è iscritto solo grazie alla classifica protetta, visto che quella reale accanto al suo nome porta un terrificante 589. Ma il braccio, se il cervello è collegato e il fisico regge, resta sopraffino. Una lezione che Del Potro apprende inerme di fronte ai 25 ace del lettone, alle frustate di quel dritto brutto ma efficace, alle palle corte beffarde. Gulbis è tornato con il segreto più antico del mondo: «La cosa più importante per un uomo o per una donna è trovare il vero amore e un partner per tutta la vita. Il matrimonio è al di là di qualsiasi cosa: sono molto felice e in pace con me stesso». Dopo anni di dolce vita, la modella georgiana Tamara Kopaleyshvili gli ha preso il cuore e lui se la sposerà: «Non gioco per i soldi e la popolarità. Il tennis mi rende un uomo migliore e quando smetterà di aiutarmi, allora mi ritirerò». Ma non ancora. C’è un terzo turno regale contro Djokovic, uno show a questo punto assai atteso e tutt’altro che scontato. Nole si scrolla di dosso in 94 minuti il tenero Pavlasek, cresciuto nel suo mito, ma deve spendere le energie migliori a rintuzzare gli attacchi quotidiani di McEnroe, che lo ha paragonato a Tiger Woods per i problemi di coppia che turberebbero i suoi risultati: «Ognuno è libero di dire ciò che vuole, John si è meritato quel ruolo per tutto ciò che ha fatto nel tennis, resto un suo fan ma non voglio entrare nel personale. Non sono d’accordo con lui, tutto qui». Nervi tesi, e perfino Federer si ritrova faccia a faccia con la tensione, perché nessuno si immagina una finale che non lo contempli e perciò ogni match è un test per lui e un thriller per il pubblico. Così, per un set, l’onesto Dusan Lajovic, serbo n. 79 del ranking, gli resta pericolosamente attaccato, prima che Roger, per l’occasione piuttosto bruttino, liberi finalmente il talento: «Sono entrato in campo nervoso, può succedere anche se era soltanto un secondo turno. Poi mi sono sciolto, ma sull’erba è difficile trovare il ritmo se cominci male» recita lo svizzero che nel prossimo turno affronterà il tedesco Mischa Zverev. Però il Divino sa come uscirne: «Nel giorno libero dormirò fino a tardi, guarderò gli altri in tv e giocherò con i miei figli». L’importanza di essere Roger.

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