I 67 anni di Panatta. Auguri Adriano. E resisti

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I 67 anni di Panatta. Auguri Adriano. E resisti

Il 9 luglio 1950 nasceva Adriano Panatta. Il suo tennis era diverso. Il suo modo di parlare del tennis, anche

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Adriano Panatta in postazione di commento per Eurosport
 

Di solito nel giorno del compleanno di certi grandi atleti non è facile smarcarsi dal pedissequo elenco di tutti i loro successi. Si deve ricordare, rivivere, figurarsi in una nazione come l’Italia che di gioie tennistiche, almeno al maschile, non ne vive proprio dai tempi di Adriano Panatta. Peraltro con il meno convenzionale dei moschettieri azzurri è abbastanza facile. Ha vinto 10 tornei, ma i due più importanti sono finiti nella sua bacheca nel giro di due settimane.

Il suo tennis dimentico della regolarità aveva trionfato sulla terra del Foro Italico nel modo meno lineare possibile, dagli 11 match point annullati a Warwick al “gran rifiuto” del piccolo Harold Salomon che ai quarti di finale, convinto di essere stato derubato di un punto decisivo, faceva fagotto e usciva dal campo. Aveva rimontato da un passivo di 4-0 nel set decisivo. Non avrebbe immaginato di ritrovare Adriano in finale a Parigi, e di uscire dal campo ancora sconfitto. Questa volta senza poter accampare scuse. Peraltro Panatta era stato ad un passo dal mancare anche quella di finale, perché dopo i bagordi post-vittoria a Roma si era ritrovato a regalare un set e poi quasi la partita a Pavel Hutka, suo avversario di primo turno. Dopo aver annullato un match point con l’ormai iconica sequenza veronica-volée in tuffo la strada era tracciata e l’avrebbe condotto a battere ancora Solomon, facendo sfoggio di un’attitudine alla lotta che in pochi gli riconoscevano. Lo statunitense non arriva(va) al metro e settanta, ma se c’era all’epoca un tennista in grado di farti sudare ogni singolo punto era proprio il piccolo Harold.

Una sanguisuga“, lo definì lo stesso Adriano a metà tra ironia e sollievo. Con la consueta e più totale mancanza di auto-censura che qualche grattacapo gli ha creato persino dopo aver portato all’Italia la prima e unica Coppa Davis della sua storia. A lungo andare la riconoscenza scolorava negli attriti giudiziari, risalenti al periodo in cui Panatta ricopriva il ruolo di direttore degli Internazionali d’Italia. “L’uomo Panatta non si è mai rivelato all’altezza del Panatta giocatore” e “Con la FIT non ci parlo, ci parlano solo i miei avvocati” le due posizioni ormai inconciliabili. Il fatto? Per presunti illeciti commessi durante l’edizione 2002 Panatta era stato allontanato dal suo incarico. L’ex tennista ricorse in appello senza tuttavia riuscire a dimostrare la sua estraneità ai fatti. “6-0 PER LA FIT. Panatta perde anche in Appello“, così il 5 marzo 2011 titolava il sito della Federtennis. E non sarebbe neanche finita lì, perché la FIT – supportata dagli esiti processuali – avrebbe in seguito richiesto dei risarcimenti al campione romano. Dopo 10 anni di aule, nel novembre 2014 veniva ufficialmente costretto a rifondere 25500 € alla federazione, da aggiungersi ai 19000 € intercettati anni prima con il pignoramento di un conto corrente.

La fredda cerimonia celebrativa dei 40 anni del trionfo in Davis è stata, 12 mesi fa, la fotografia di un rapporto che non si è mai ricucito. Adriano ha trovato ben altra gloria a Parigi, dove ha premiato Novak Djokovic nel giorno del suo Career Grand Slam, mentre già si era ampiamente riciclato come commentatore televisivo. Ma se il Panatta tennista faceva stupendamente molte cose sul campo da tennis e poi si dimostrava un po’ allergico alla costanza di rendimento e al tenore di vita da sportivo professionista, lo stesso accade oggi per il Panatta opinionista. Diciamocelo francamente, le sue uscite poche volte finiscono per essere illuminanti in senso tecnico-tattico, a volte neanche sono vestite della della giusta pertinenza. Ma spesso, molto spesso, strappano un sorriso. Quando Adriano si dispera per una volée mal eseguita al grido di “Ah, se ci fossi stato io!” sa benissimo che i ritmi di oggi non li avrebbe retti, lui che amava il tennis giocato alle sue condizioni, quelle che gli garantivano di godersi tutto il resto. Però è divertente sentirglielo ripetere.

Panatta è “pane al pane e vino al vino”, senza concessioni ai voli pindarici della narrazione sportiva, all’ossessione del politically correct in ogni dichiarazione. E siccome già tanti affrontano il tennis come se fosse una questione di vita o di morte, è piacevole ogni tanto ascoltare qualcuno che lo riduce alla sua dimensione originaria. Un gioco, magari splendido. Ma un gioco.

Resisti Adriano. E se ogni tanto ti capita di ridere del tennis, anche senza il tuo amico Paolo di cui non sarai il solo a sentire la mancanza, aiutaci a farlo con te. Non lo ammettiamo, ma ci serve.

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