Il tennis, lo sport del diavolo

Wimbledon

Il tennis, lo sport del diavolo

A volte anche episodi marginali possono influire sull’andamento di un match. L’ha sperimentato a sue spese Anett Kontaveit

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Con il day 6 di Wimbledon si è concluso il terzo turno, e ci si avvia alle partite decisive del torneo. Nell’unico match che vedeva una contro l’altra due teste di serie, Radwanska e Bacsinszky, Aga ha avuto la meglio alla distanza, rispettando così le indicazioni del ranking. Anche le altre teste di serie hanno confermato le gerarchie di classifica, sconfiggendo tutte le avversarie fuori dalle prime 32 del tabellone.
C’erano poi due match fra giocatrici non comprese fra le teste di serie, vinti da Rybarikova e Martic. Al termine delle partite di oggi questa è la situazione della parte alta del tabellone:

Kerber (1) vs Muguruza (14)
Radwanska (9) vs Kuznetsova (7)
Martic (Q) vs Rybarikova
Vandeweghe (24) vs Wozniacki (5)

A cose fatte si può dire che sia stata una giornata senza sorprese, ma in realtà sia Kerber che Wozniacki hanno rischiato seriamente l’eliminazione. Ho seguito solo parte del match di Angelique, ma ho visto i passaggi decisivi del secondo set, quando se l’è vista brutta con Shelby Rogers avanti 6-4, 4-2. E in quei frangenti per alcuni quindici ho rivisto la Kerber mai doma che insegue e recupera tutto, anche le palle che sembrerebbero completamente fuori portata. E le raggiunge. Alla fine Angelique ha prevalso per 4-6, 7-6(2), 6-4.

Bisogna tenere presente che in questo Wimbledon Kerber gioca per due obiettivi: la vittoria nel torneo e il mantenimento del numero uno del mondo. Allo stato attuale, però, la numero uno virtuale rimane Karolina Pliskova, mentre la seconda favorita è Simona Halep. Per superare Pliskova, Halep deve vincere almeno due partite, mentre Kerber tre. Se per caso arrivassero entrambe in finale si avrebbe la soluzione più semplice e diretta: numero uno a chi vince il torneo.
Dicevo che oltre a Kerber ha rischiato anche Wozniacki, ma alla fine è riuscita a spuntarla, anche lei in tre set (3-6, 7-6(3), 6-2). Confermando dunque il pronostico dei bookmaker e smentendo il mio, che avevo espresso nell’articolo di ieri.

Caroline si è trovata ancora più vicina alla sconfitta, per la precisione a due soli punti contro Anett Kontaveit, che ha servito per il match portandosi 6-3, 5-4, 30-0.
A proposito di Kontaveit: prima di questo Wimbledon non l’avevo mai vista dal vivo e mi ha fatto una grande impressione. Dovessi scegliere la giocatrice che mi sorpreso di più nella prima settimana sceglierei lei. L’ho seguita nei suoi tre match (non sempre per intero), da posizioni di campo differenti. E mi sono reso conto che gioca un tennis più difficile di quello che appare dalle riprese televisive. Infatti non sempre dalla TV si capisce quanto margine ci sia tra la parabola della palla e la rete. Ebbene, quando Anett accelera, le sue traiettorie sono costantemente radenti al nastro. Del resto colpendo con poco topspin, se passasse più alta sulla rete finirebbe irrimediabilmente lunga. Spingere così tanto con così poco margine è davvero complicatissimo, tanto che mi chiedo se con un tennis del genere riuscirà a gestire anche i periodi di forma meno scintillante, senza andare incontro a drastiche cadute nei risultati.

Pensavo a questo durante il suo terzo set, quando il difficile meccanismo del suo gioco aveva cominciato a incepparsi. Il momento della svolta è stato proprio quando Kontaveit ha servito per il match avanti 6-3, 5-4, 30-0. Sullo scambio del possibile 40-0, con un incisivo dritto incrociato aveva spinto verso il corridoio Wozniacki. A quel punto uno spettatore ha gridato come se il punto fosse già terminato e vinto, e invece Caroline ha agganciato la palla con un dritto in chop e l’ha rimessa in campo con una lenta parabola difensiva. Kontaveit, probabilmente distratta dall’urlo, per un momento ha perso di vista la situazione; invece che concludere lo scambio con un possibile vincente, si è quasi bloccata e ha goffamente spedito nel mezzo della rete il rovescio successivo.
In questi casi è difficile dimostrare certe sensazioni, ma l’impressione che ho avuto sul momento è che Anett fosse stata destabilizzata perfino oltre il logico: non solo per quel quindici ma per tutto il resto del game. Come se quell’urlo (probabilmente di un suo tifoso) avesse rotto la bolla di concentrazione dalla quale era rimasta avvolta per tutto il match. Da lì in poi ha perso altri tre punti consecutivi, e Wozniacki ha pareggiato sul 5-5. Il resto lo potete leggere nella cronaca che ho fatto della partita.

Il vantaggio di essere inviato sul posto è che a volte si possono risolvere certe curiosità chiedendo direttamente ai giocatori. Allora sono andato alla conferenza stampa di Kontaveit, che si teneva in una delle piccole stanze che vengono utilizzate quando sono previste poche persone. Oltre a me c’erano due giornalisti danesi e uno estone. Anett è arrivata da sola, e sembrava piuttosto provata dalla sconfitta. Fisicamente e moralmente. Del resto perdere così a Wimbledon non è come perdere al primo turno di un torneo qualsiasi.

Dopo un inizio generico sul match, ci pensa uno dei giornalisti danesi a fare la domanda che altrimenti avrei posto io: “Cosa è successo sul 5-4 30-0?” Anett non risponde subito. Si ferma, e attende per un momento. Poi per un altro momento; come se rivedesse la scena e temesse di iniziare nel modo sbagliato a commentarla: “Qualcuno dalla folla ha gridato”. Pausa. “Ed è stato piuttosto distraente”. Altra pausa. Dopo questo inizio incerto, la sensazione è che abbia finalmente trovato il modo che la soddisfa di commentare l’episodio, e torna a parlare sciolta: “In ogni caso non posso farmi infastidire (usa il verbo “to bother”) da un fatto del genere; deve servirmi da lezione per il futuro. Devo imparare a gestire certe “nuove situazioni” (e lo dice accompagnandolo con un sorriso amaro e ironico).

Superato questo momento, Anett risponde a tutte le domande in modo più spedito, con le idee molto chiare. Dice anche, secondo me, una piccola bugia, quando le chiedo se il risultato del terzo set è dipeso più da un calo fisico o mentale. Lei nega qualsiasi calo psicologico e attribuisce solo alla parte fisica il minor rendimento. Ma la risposta non mi sorprende: è rarissimo che un tennista riconosca di avere avuto debolezze mentali, perché per un atleta professionista è difficile ammettere che l’avversario è stato più forte “di testa”.
Quando si dice che il tennis è lo sport del diavolo, si tiene conto anche di episodi del genere: basta l’esultanza anticipata di un tifoso e certi equilibri che sembravano solidi vanno in mille pezzi in un istante.

Prima di chiudere penso meritino una piccola nota le giocatrici non teste di serie che sono approdate alla seconda settimana. Nella parte basse del tabellone ce l’ha fatta Victoria Azarenka, che però sappiamo quale lignaggio abbia: non è testa di serie solo per ragioni extratennistiche. Oggi l’hanno raggiunta Magdalena Rybarikova e Petra Martic.

Ho seguito la partita di Rybarikova ed è stata una specie di lezione a Lesia Tsurenko su come si sfrutta l’erba, rispetto a chi invece gioca sui prati come se fosse sul cemento. Colpi di volo, smorzate, slice di rovescio. Un repertorio che non tutte possiedono.

Anche Martic sa esprimersi bene sull’erba, e per alcuni aspetti tecnici assomiglia a Rybarikova: l’uso del rovescio bimane in top alternato allo slice a una mano, la variante del serve&volley, la capacità di eseguire bene le palle corte.
Martic ha raggiunto da qualificata il quarto turno in due Slam consecutivi, visto che le era riuscito anche a Parigi: ormai è virtualmente rientrata fra le prime 100 del mondo. All’inizio di aprile, dopo una sosta di quasi un anno per problemi alla spina dorsale, era numero 659 del mondo. È partita dal nulla (31 punti WTA) ed è tornata nell’elite del tennis in poco più di tre mesi. Uno dei ritorni più rapidi e di successo degli ultimi anni. Martic e Rybarikova si incontreranno fra loro e quindi una continuerà la corsa almeno sino ai quarti di finale.

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