Questione di categorie

Wimbledon

Questione di categorie

Per vincere sui grandi palcoscenici occorrono grandi personalità. Venus Williams e Garbiñe Muguruza l’hanno dimostrato ancora una volta

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Due ore e 18 minuti di gioco in totale. Sono durate poco le due partite di semifinale del torneo femminile. Quattro set complessivi, di cui solo uno davvero incerto, il primo tra Williams e Konta. Per il resto i match non hanno riservato grande equilibrio o particolari colpi di scena: chi ha vinto lo ha fatto piuttosto largamente e le cose più apprezzabili sono stati i singoli punti, qualche soluzione tecnica specifica; ma non gli aspetti agonistici.

Eppure alla vigilia i confronti sembravano equilibrati, e non credo che in molti avrebbero pensato si sarebbero risolti così in fretta. Con il senno di poi, a mio avviso si può trovare una spiegazione comune alle due partite: sono emerse differenti categorie di giocatrici. Sono state l’abitudine a giocare certi eventi, la diversa confidenza a misurarsi con le partite che segnano una carriera, e che diventano parte della storia del tennis; la capacità di essere all’altezza di una semifinale e di una finale Slam. Questo a mio avviso ha contato più di tutto.

Su Venus non c’è nemmeno da argomentare. È una leggenda del tennis con risultati eccezionali (nove finali a Wimbledon, ad esempio), probabilmente sottostimati perché ha una sorella ancora più forte di lei. Ma il fatto di essere la numero due della famiglia Williams non è che la collochi poi tanto in basso nel Gotha del suo sport.

Però anche Muguruza si sta costruendo uno status di primo livello. È nata nell’ottobre 1993, quindi ha appena 23 anni. Ma ha già nel suo curriculum tre finali Slam in due tornei diversi e su due superfici diverse. Indiscutibile segno di qualità superiore di giocatrice: prima ancora che sul piano tecnico, su quello mentale.
Contro Rybarikova oggi purtroppo non c’è stata partita (6-1, 6-1). Due giorni fa, nell’intervista successiva al quarto di finale (vinto contro Vandeweghe) Magdalena aveva detto di essere rimasta sorpresa da se stessa, perché in campo non si era assolutamente sentita nervosa, addirittura meno che nell’ITF di Surbiton giocato di recente. Ma l‘emozione e lo stress tenuti a bada nei turni precedenti hanno presentato il conto tutti in una volta, in semifinale.

Rybarikova è apparsa bloccata all’inizio, e questo l’ha messa in una condizione di punteggio pessima, sotto la linea di galleggiamento. A quel punto Muguruza è stata brava e cinica a non lasciarle alcuna occasione per riemergere.
Il tennis creativo di Magdalena si è inaridito proprio nell’occasione più importante. Ma lo stress non ha influito solo sugli aspetti tattici; ha influito anche sulla sfera tecnica, perché i movimenti in campo sono apparsi differenti. Rispetto agli altri match non anticipava più la palla, i colpi da fondo avevano bisogno di un istante di troppo per essere eseguiti, e questo permetteva a Garbiñe di non essere mai in ritardo nello scambio. E così, ad esempio, la frustata di dritto perdeva gran parte della pericolosità.
Stesso problema sulle smorzate di rovescio, che avevano messo in difficoltà più di una avversaria: preparazione così lenta da renderle “telefonate”. A quel punto contava poco che fossero eseguite più o meno bene, dato che si capiva con troppo anticipo quando sarebbero partite.

A Magdalena era rimasto un arsenale spuntato, del tutto inefficace. Però vanno riconosciuti anche i meriti di Muguruza, che è stata bravissima, ad esempio, a gestire lo slice sulla diagonale dei rovesci. Sulle palle a rimbalzo sfuggente ha messo una cura e una applicazione degna di un’allieva che prova la sessione di colpi seguendo la raccomandazione del maestro di stare più bassa possibile con le gambe.
Il rovescio slice di Rybarikova aveva fatto danni seri nei turni precedenti. Ad esempio era risultato del tutto ingestibile per Lesia Tsurenko. Ma invece Garbiñe ha mostrato una attenzione tale da disinnescarlo completamente.
A questo proposito mi è tornata in mente la finale degli US Open 2015, tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci. In semifinale Roberta aveva tormentato Serena con le sue palle a rimbalzo basso, che Williams aveva faticato a controllare a causa della tensione: irrigidita di gambe non riusciva ad abbassarsi a sufficienza al momento di colpire. Pennetta al contrario, in finale si era mostrata preparatissima; anche lei come Muguruza dando a volte l’impressione di “scendere” perfino più del necessario, quasi a voler mandare un messaggio all’avversaria: “Per quanto proverai a rendere sfuggente il rimbalzo, io saprò sempre essere nella condizione di controllarlo”.

In conferenza stampa Rybarikova ha riconosciuto di non essere stata nella sua giornata migliore, ma ha anche dato merito all’avversaria per come ha giocato. E sono d’accordo con lei quando ha sottolineato la profondità dei colpi di Muguruza man mano che la partita si sviluppava. Garbiñe ha preso le misure definitivamente all’avversaria e a un certo punto giocava con una precisione e una lunghezza davvero difficili da contrastare.

Chiudere con una sconfitta 1-6, 1-6 non è mai bello, specie nell’occasione più importante. Ma a chi ha seguito per intero il torneo di Rybarikova rimarranno nella mente anche le tante deliziose soluzioni con cui ha divertito il pubblico e irretito le avversarie. Non dimentichiamo che Magdalena è colei che a Wimbledon ha sconfitto la nuova numero uno del mondo, Karolina Pliskova.

Parlavo di categorie, e di divario tra giocatrici in campo. Sotto questo aspetto Johanna Konta è stata sfortunata: con Venus Williams come avversaria non ha solo trovato la giocatrice più esperta del torneo, ma anche quella di gran lunga più titolata. La differenza è emersa nei due game che, a cose fatte, possiamo dire hanno spostato gli equilibri del match. Sono stati il nono e il decimo game del primo set.
Sul 4-4 Venus si è trovata sotto 15-40. Sul primo punto ha servito una solida prima a uscire e chiuso subito con un rovescio in contropiede: 30-40. Poi però sul 30-40 ha sbagliato la prima di servizio e si è trovata in una situazione difficile. E qui Venus ha estratto il suo jolly. Ha servito una seconda al corpo a 106 miglia orarie (170,5 Km/h): e naturalmente ha fatto punto diretto.
Cosa dire di fronte a una scelta del genere? Se avesse sbagliato il servizio saremmo qui a parlare di azzardo esagerato, di follia. Ma lei è Venus Williams e quella palla è entrata.

Non solo. Venus ha continuato a spingere, e sullo slancio ha infilato una sequenza di sette punti consecutivi. Dal 4-4, 15-40 al 5-4, 0-40 (servizio Konta): set point. Alla seconda occasione ha ottenuto il break, vinto il set, e compiuto il passo decisivo per aggiudicarsi la semifinale. Quel parziale ha spaccato la partita.
Il modo con cui Williams ha vinto il primo set si è riverberato sul secondo. Konta mi è sembrata un po’ intimidita, meno convinta che all’inizio del match, come se si fosse resa conto che la realtà di una semifinale di Wimbledon era più dura di quello che aveva immaginato nei sogni. Nemmeno l’appoggio del pubblico (per la verità molto corretto) è bastato per sostenerla e reggere il confronto con la sicurezza dell’avversaria (6-4, 6-2 il risultato finale).

Konta è una giocatrice forte, che entrerà in top 5 a fine torneo, e che continua a migliorarsi stagione dopo stagione. E sono convinto che se saprà continuare a lavorare su se stessa come ha fatto sino ad ora potrebbe comunque togliersi delle soddisfazioni importanti. Ma non è della categoria delle predestinate, che nascono con quel quid in più che consente loro di fare scelte azzardate, e molto spesso di avere comunque ragione; come Williams su quel servizio.

Per alcuni anni, dopo la diagnosi della sindrome di Sjogren  abbiamo assistito a una Venus dimessa, lontana dalla giocatrice del primo decennio del Duemila. Ma poi Williams ha recuperato la condizione fisica e progressivamente è tornata ai suoi livelli precedenti. Se Federer può ancora vincere a quasi 36 anni, non si capisce perché non possa farlo lei con appena un anno in più; stiamo parlando di fuoriclasse: e infatti nel 2017 ha già raggiunto la finale agli Australian Open e quella di Wimbledon.
Alla sua età riesce ancora a praticare un tennis che intimidisce per potenza e sicurezza le avversarie. Anche le giocatrici più sfrontate e apparentemente impermeabili alla “nobiltà” tennistica, come Jelena Ostapenko, hanno dovuto sperimentare la consistenza del suo gioco.

Per me a questo punto la favorita è lei, ma lo dico non sulla base di un ragionamento tecnico, quanto di personalità. A meno che… A meno che Muguruza non dimostri anche lei di appartenere a una categoria speciale. Potremmo scoprirlo sabato. Se Garbiñe riuscisse a vincere, metterebbe un solco in termini di risultati tra lei e le sue coetanee, e comincerebbe a misurarsi con le giocatrici più titolate di categoria superiore, come Azarenka e Kvitova. Ma è presto per parlarne; per i temi della finale rimando all’articolo di presentazione che uscirà alla vigilia della partita.

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