Wimbledon numeri: il dominio discreto di Federer su Cilic

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Wimbledon numeri: il dominio discreto di Federer su Cilic

La finale di Wimbledon 2017 sotto la lente d’ingrandimento. Il dominio di Federer. Non gli sono serviti neanche troppi vincenti

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La finale dei Championships di ieri stravinta da Roger Federer darà sicuramente molti spunti di riflessione ai giornalisti di costume più che a quelli sportivi. Rimarrà un’immagine iconica dei nostri tempi quella di Federer che, pettinato e fresco di bucato come Cary Grant in “Caccia al Ladro”, al termine della sua vittoria viene accolto nella hall del Campo Centrale e congratulato dai Principi William d’Inghilterra e Alberto II di Monaco (timidamente nascosto dietro una paratia) con le rispettive regali consorti, Rod Laver, Stefan Edberg in abito sartoriale, la moglie Mirka, la sua mamma e il suo papà e adoratori vari. Chissà se anche Marin Cilic con quell’espressione “triste come una salita” e quel cognome palindromo in caso di vittoria sarebbe stato omaggiato dai medesimi personaggi e nel medesimo modo. Ci sia consentito il dubbio.

Sotto il profilo sportivo la partita, complice una menomazione al piede sinistro dello sconfitto, ha detto poco. Ecco le statistiche ufficiali:

I numeri confermano ciò che le immagini avevano ampiamente mostrato: il povero Marin Cilic più che una partita di tennis ha disputato, probabilmente a causa dalla vescica al piede sinistro, una partita a Tressette nella variante “a ciapa no”, ovvero a non prendere. Molti appassionati avranno probabilmente pensato e continueranno a pensare che lo scarso rendimento dell’ex allievo di Ivanisevic sia stato dettato principalmente da un problema di natura psicologica dettato dalla grande pressione. Ma se così fosse, non si spiegherebbe come Marin – comunque già vincitore di una prova Slam e giocatore esperto – sia partito bene, al punto di procurarsi l’unica palla break del suo incontro al quarto game. Dal settimo game in avanti, invece, ecco il diluvio. Diluvio che ha annacquato e reso innocuo l’arsenale del croato – 5 ace e 15 punti vinti alla risposta in tutto l’incontro! – costringendolo a scelte tattiche per lui anomale, ma crediamo dettate dalle condizioni fisiche precarie.

Le 23 discese a rete effettuate in tre set contro le 17 in quattro contro Querrey e il rapporto vincenti/errori non forzati (16/23) paiono indicare da un lato la sua volontà di accorciare il più possibile gli scambi dall’altro una scarsa lucidità. Le insufficienti percentuali di punti vinte con la prima e la seconda palla di servizio, rispettivamente il 65 e il 39 per cento, sono sicuramente riconducibili alla qualità della risposta del suo avversario, ma sono oggettivamente troppo modeste per un battitore del suo calibro per non essere dovute anche alle sue difficoltà negli spostamenti. Come sempre accade in questi casi, purtroppo per lo spettacolo, l’handicap di un giocatore finisce per condizionare il rendimento dell’altro.

Federer ieri è stato molto bravo a non farsi distrarre dal dramma umano che si svolgeva nella metà campo di Cilic scegliendo sempre soluzioni ad alta percentuale di realizzazione ed evitando di assumersi rischi inutili, come dimostra il risibile numero di errori non forzati da lui commessi, ovvero 8 di cui 4 nel primo set quando la partita era ancora in discussione. Impeccabile, di conseguenza, il suo rendimento al servizio, la principale arma d’offesa sull’erba: 76 per cento di prime palle in campo e 71 per cento di punti conquistati quando ha dovuto ricorrere al secondo servizio. Numeri formidabili. Per il dispiacere degli esteti del tennis, però, il campione svizzero ha usato con il contagocce i colpi vincenti e le discese a rete. Roger, infatti, in tutto il match è sceso a rete 8 volte e ha messo a segno 23 vincenti, a fronte, per esempio, delle 31 discese a rete e dei 50 vincenti realizzati in semifinale.

In sintesi, anche questi dati nel loro piccolo confermano una volta di più che la versione 2017 del Cigno di Basilea è forse…. meno cigno e più rapace. Vincere, seppure con somma eleganza e classe, evidentemente conta per lui più di qualunque altra cosa ora che il calendario segna 36 primavere. Vedremo presto se l’Aquila di Basilea continuerà a volare alto anche negli States dove, peraltro, di aquile se ne intendono.

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