Ferrero: "Zverev n.1? Meglio andarci piano..."

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Ferrero: “Zverev n.1? Meglio andarci piano…”

L’ex numero uno del mondo, nuovo coach di Alexander Zverev: “Sascha è maturo, ma è ancora all’inizio”

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Che cosa si prova a ricoprire il ruolo di supercoach?
Già mi sono già integrato bene nella squadra, questa sarà la terza settimana di fila che passo con loro. Fin dall’inizio c’è stata un’ottima intesa con Alex e con la sua famiglia, e inoltre c’è anche Marcelo Melo, il quale sta con noi perché è un caro amico di Sasha, e parla spagnolo con me. Mi sono integrato velocemente e mi sono sentito molto bene per tutta la settimana del torneo (Washington, che Zverev ha vinto). In certi momenti sono stato più nervoso, ma nel complesso sono molto contento di avere l’opportunità di allenare un giocatore di questo livello, e come si è visto, con molte possibilità. Abbiamo molte aspettative per i prossimi tornei, soprattutto agli US Open.

Tra l’altro, durante questo periodo precedente agli US Open, saranno testati due nuovi elementi del gioco: l’orologio in campo e il coaching (possibilità di dialogare con l’allenatore durante la partita). Cosa ne pensi?
L’orologio in campo può aiutare così i giocatori saranno un po’ più attenti e non bisognerà stare ad aspettare l’arbitro che chiama il warning. Per quanto riguarda il coaching… ognuno lo fa. Sarà una maniera un po’ più liberatoria per dirsi tre o quattro cose. Nel tennis si è voluti andare avanti tanti anni senza coaching, e invece adesso che si ha intenzione di implementarlo mi sembra strano. Alla fine arriveremo ad un punto in cui la gente si sarà abituata, anche adesso sono pochi gli sport che non lo permettono. Ecco perché il tennis è così speciale. La verità, non so se mi piace questo cambiamento.

Tornando a Sascha, siamo davanti ad una collaborazione fine a se stessa o all’inizio di una grande avventura?
Non lo sappiamo, è qualcosa che sta nascendo ora. Dipende se le cose andranno bene, se i risultati continueranno ad arrivare e lui riterrà che stiamo lavorando bene, allora continueremo ad andare avanti. Non sappiamo cosa accadrà in futuro, ma per il momento non si potrebbe desiderare di meglio. Quello che ci siamo detti è che staremo insieme fino agli US Open. Se tutto va bene si continuerà fino alla fine dell’anno; è quello che abbiamo discusso in occasione del primo incontro. L’importante è restare uniti, non è necessario stabilire un tempo limite.

E com’è iniziato tutto? Chi ha cercato chi?
La prima volta che lo salutai fu al Conde de Godo, ci incontrammo allo stesso ristorante. È stata una cosa breve, ‘ciao’ e ‘arrivederci’, fino a quando non ho incontrato la  squadra che lo accompagna. Poi ho ricevuto una telefonata dal manager e da lì abbiamo fissato un incontro con il giocatore a Madrid e lui ha accettato di iniziare a lavorare con me dopo Wimbledon, anche se siamo rimasti in contatto durante tutte le sue partite a Madrid, Roma e Roland Garros per conoscerci meglio.

Una volta arrivati ​​a Washington e aver iniziato a lavorare, qual è stato il primo passo?
L’inizio è semplice, si tratta di andare in campo e vedere come vanno le cose, come si comporta in certe situazioni, come reagisce dopo gli errori e i colpi andati a segno. Naturalmente, prima di tutto devo rispettare la figura paterna, è stato il suo allenatore fino ad oggi. Il mio ruolo è quello di aiutarlo soprattutto dal punto di vista mentale, per renderlo più tranquillo quando si trova in campo. Quello che lui cerca è una persona che, a colpo d’occhio, può dirgli che cosa sta succedendo in campo. Ho vissuto ogni situazione che sta per andare ad affrontare. Prima di scendere in campo si parla della tattica durante la partita, delle armi dei rivali, di come affrontare le situazioni… tutte queste cose lui le sa già da molti anni, però avere qualcuno che ci è passato può dare un aiuto extra che fa sempre comodo.

Che dire di Alexander Senior? I ruoli sono ben distinti?
L’allenatore è il padre ed è sempre stato così. Il mio è un ruolo di consulente e cerco di contribuire e aiutare il più possibile. Poi quando siamo in campo entrambi gli diciamo delle cose, dato che ogni uno vede e percepisce delle cose differenti. Non ci siamo assegnati dei compiti specifici; non è che io mi occupo della parte mentale e lui sta a guardare come vanno le volée o i servizi. È una cosa più naturale, si progredisce come squadra.

La gente si chiede se Alexander è pronto per vincere uno Slam.
Qui in ogni momento si parla di poter vincere uno Slam, mentre nella sua squadra questa frase non è stata ancora detta. È pur sempre vero che quando uno sta giocando bene e vince tutti i tornei a cui partecipa, ovviamente il suo prossimo obiettivo è vincere uno Slam. Se è pronto? Io lo vedo molto maturo, vedo che sta bene fisicamente e vedo che sta arrivando in forma agli US Open. Essendo presenti nel quadro anche Roger e Rafa, non oso dire che a New York lui abbia una chiara opportunità per farcela, questi due sono dei grandi. Però la cosa non deve trarre in inganno perché Alex ha giocato molto bene, con un sacco di fiducia ed è una persona con un’attitudine da vincente.

Nonostante non abbia ancora vinto uno Slam, quello che è chiaro a tutta la stampa internazionale, salvo disastri, è che un giorno diventerà numero 1.
Vincere Slam, diventare numero 1 del mondo… ha 20 anni! Va bene che la gente pensi queste cose, ma noi altri, dentro la squadra, non possiamo avere delle aspettative così alte, non così presto. Per prima cosa, per diventare n. 1 bisogna giocare bene per tanto tempo. È vero che sono già due stagioni che fa ad alto livello e che adesso sta conseguendo ottimi risultati, ma è ancora all’inizio. Sicuramente raggiungere la testa del ranking finirà per essere un obiettivo per lui, ma dovrà giocare molto bene negli Slam, essere regolari durante tutto l’anno e competere bene contro i migliori. La verità, io sì che lo vedo in lotta per le posizioni più alte, se non quest’anno sarà il prossimo o altrimenti quello dopo ancora, però dirlo adesso significa fare le cose di corsa. Bisogna andare più lentamente.

Cosa ti piace di lui come giocatore?
Quello che mi piace è che è molto competitivo, prima delle partite vuole sempre vincente e questo è importante, entrare in campo decisi e sicuri di sé. Con questa caratteristica ci si nasce, essere così competitivi.

E su cosa deve migliorare?
Ad esempio, a mantenere quel livello di intensità più a lungo, l’intensità con la quale ha giocato le ultime due partite, ci sono delle volte in cui cala un po’, dei game in cui commette qualche errore di troppo. Cercare di essere aggressivo tutto il tempo, sono cose che a 20 anni scivolano via e lui ha tutto il tempo per apprenderle con il tempo.

Quello che si può dire è che sembra un ragazzo molto maturo.
Fuori dal campo è un ragazzo tutto sommato normale e abbastanza intelligente per la sua età, semplice, estroverso, parla di tutto. Abbiamo legato bene, siamo abbastanza simili su alcuni aspetti generali e siamo entrati in confidenza fin dall’inizio.

Dunque, possiamo dire che la decisione di salire su questa barca è stato un grande successo.
Ho passato cinque anni senza viaggiare, creandomi una famiglia. Non ti voglio mentire, all’inizio è stata dura. Però so come funzionano queste cose, so molto bene come va questo stile di vita e che certe volte bisogna fare dei sacrifici. Adesso sono molto emozionato e sono impaziente di salire sull’aereo per andare a Montreal, e iniziare a competere anche lì.

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