Errani: "Colpevole di nulla, non smetto e sarò più forte" (Crivelli). La verità di Errani: "Il letrozolo non è doping per le donne" (Bonarrigo). Sarita, lacrime di rabbia: "Tante falsità, sono pulita" (Scanagatta). Le lacrime di Errani: "Dopata dal cibo, ferita dagli insulti" (Sorrentino). Sara si sfoga: "Infangata, non dopata" (Lombardo)

Rassegna stampa

Errani: “Colpevole di nulla, non smetto e sarò più forte” (Crivelli). La verità di Errani: “Il letrozolo non è doping per le donne” (Bonarrigo). Sarita, lacrime di rabbia: “Tante falsità, sono pulita” (Scanagatta). Le lacrime di Errani: “Dopata dal cibo, ferita dagli insulti” (Sorrentino). Sara si sfoga: “Infangata, non dopata” (Lombardo)

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Errani: “Colpevole di nulla, non smetto e sarò più forte” (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Mescola parole dure e lacrime, strategia d’attacco e commozione. Sara Errani spiega le sue verità sullo spinoso caso doping nel quale è stata coinvolta e prima di rispondere alle domande picchia duro su media e social network: «Sono state dette tante falsità, sono state fornite indicazioni sbagliate sulla sostanza incriminata, è stata offesa la mia reputazione ed è stata vergognosamente tirata in ballo tutta la mia famiglia. Ma io posso dormire tranquilla, perché non ho commesso alcunché». Una tesi suffragata da una dichiarazione letta all’inizio della conferenza stampa: «Sono stata giudicata colpevole per l’assunzione involontaria, per contaminazione alimentare, di una sostanza non dopante per le donne e che non ha effetti migliorativi sulle prestazioni di atlete di sesso femminile».

Sara, come si è arrivati all’ipotesi della contaminazione alimentare?

«Non so come sia successo che la pillola sia finita nel cibo, ma è l’unica spiegazione logica dopo aver scartato le altre due, e cioè l’ingestione volontaria e la contaminazione indiretta per contatto fisico con mia madre».

Lei ha detto che il letrozolo non comporta miglioramenti nelle prestazioni di atlete di sesso femminile, però dal 2005 è nell’elenco delle sostanze proibite anche per le donne.

«Ne sono consapevole. Venne inserita perché risultò che l’avessero assunta anche body builder donne, ma esistono studi scientifici che dimostrano come non produca effetti dopanti su atlete di alto livello, tenniste comprese. E’ stato anche detto che sia un coprente, ma è sbagliato: serve a limitare gli effetti collaterali dell’uso di steroidi, come la crescita del seno negli uomini. Ma noi donne il seno lo abbiamo già».

A un certo punto, pensava di poter essere assolta?

«Ci speravo e ci ho puntato. Del resto, il test (effettuato il 28 aprile, 10 giorni dopo la notifica della positività, ndr) che ho presentato all’udienza del 19 luglio certifica senza dubbio che nei capelli restano tracce solo dopo un’assunzione continuativa, mentre io non ne presentavo affatto. Non è stato accettato solo perché l’ho presentato il giorno stesso e la controparte perciò non poteva sottoporlo alla valutazione dei suoi periti. Ma se ci sarà appello della Wada o di altri organi, lo ripresenterò come prova a discarico (in realtà, essendo stato realizzato privatamente e al di fuori del protocollo antidoping, rischierebbe comunque di non avere alcun valore giuridico-scientifico, ndr)».

Si aspetta il ricorso della Wada?

«Sono preparata a ogni evenienza».

Lei è sempre stata una paladina dei tennis pulito: ritiene che questa vicenda possa aver sporcato la sua immagine?

«Non cambio certo idea: squalifica a vita per chi assume volontariamente sostanze dopanti. E lo sottolineo: volontariamente. Dal 2009 io sono stata sottoposta a 83 test: tutti negativi».

Dopo la notifica della positività il 18 aprile, lei ha comunque deciso di continuare a giocare.

«E’ stata una scelta mia, perché sapevo di non aver fatto nulla di male. Non c’era bisogno di gesti alla Sharapova, non mi sentivo e non mi sento colpevole. L’Itf mi ha inviato una lettera in cui spiegava che a discrezione dell’atleta fermarsi o meno (da un anno, non esiste più il silent ban, cioè la sospensione dell’attività senza indicare che lo stop è stato imposto per un’acclarata positività: se avesse smesso di giocare, la positività sarebbe stata subito resa pubblica, ndr)».

Non le sembra strano che notizia della positività e sentenza siano arrivate lo stesso giorno?

«Io gioco a tennis, non mi occupo di sentenze e di tempi dei processi».

Farà ricorso contro la cancellazione dei punti? E se non fosse accolto, è disposta a ripartire da motto indietro in classifica?

«Ci stiamo lavorando con gli avvocati. In ogni caso, ho ancora tanta voglia di tennis, è la mia professione e la amo come e più di prima. Devo solo far passare questo momento, lasciarmelo alle spalle e sfruttare i prossimi due mesi per ritrovare le motivazioni. Ricomincerò dai tornei che la mia classifica mi permetterà (…)

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Sarita, lacrime di rabbia: “Tante falsità, sono pulita” (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)

Cinquantadue minuti all’attacco. Sara Errani, top nero su pantaloni neri, tesa e più volte in lacrime quando si accenna alla malattia della madre, è più aggressiva che nel suo tennis attendista nella conferenza stampa all’Hotel Melia di Milano. In presenza di una quarantina di giornalisti si scaglia «contro la disinformazione che tutti avete dato. Sono molto arrabbiata perché molti di voi hanno scritto cose errate sul letrozolo. Questa sostanza non altera le prestazioni sportive di una donna. Avete giocato con i sentimenti miei e della mia famiglia scrivendo falsità: le accuse contro di me sono tutte false, si è cercato di rovinare la mia reputazione». La tennista, ex numero 5 del mondo è oggi numero 98. Il 2 ottobre, allo scadere della squalifica di 2 mesi scenderà attorno alla 280.a posizione se non frapporrà appello alla sentenza che la condanna alla perdita di tutti i punti Wta conquistati dal 16 febbraio al 17 giugno. Più probabile che l’appello arrivi dalla Wada che da lei: tutto potrebbe essere rimesso in discussione, anche i soli due medi di sospensione.

La Errani, accompagnata dal fratello Davide, ribadisce i contenuti della lettera già pubblicata: a) la positività causata unicamente dalla contaminazione da cibo (l’ormai tristemente celebre “tortellino dopato” che ha contribuito non poco a scatenare battute e impietosi commenti sugli incontenibili social): «Non so come sia accaduto che una pillola del farmaco (il Femara) che prende mia madre sia caduta nel cibo… ma non può essere stato che così. La quantità registrata dal test del 16 febbraio è inferiore a quella presente in una singola pastiglia. La sentenza parla chiaro: sono stata ritenuta colpevole di assunzione involontaria di una sostanza che non ha effetti dopanti per una donna. Lo è soltanto per gli uomini, perché aumenta il testosterone. Non lo si può definire una sostanza coprente perché il suo effetto è quello di contrastare gli effetti collaterali dell’utilizzo degli steroidi…».

Temendo di usare termini farmacologici inesatti e forse di incappare in eventuali boomerang legali, Sara consulta varie note già scritte prima di rispondere alle domande — la trascrizione e il commento su www.ubitennis.com – sempre ribadendo ogni estraneità al doping, la buona fede, «non avendo fatto nulla di sbagliato ho continuato a giocare, avevo la coscienza a posto». Soprattutto ribadisce la delusione “per il cavillo giuridico” sui tempi di presentazione del test del capello che avrebbe potuta scagionarla. Avrebbe potuto dimostrare l’assenza di tracce di letrozolo nei suoi capelli diversamente da quelli della madre. Ma il Tribunale Indipendente ha ritenuto che «non c’erano ragioni per non presentarlo in anticipo». Risaliva a fine aprile, una decina di giorni dopo la comunicazione dell’Itf riguardo alla sua positività. Il test tossicologico sulle formazioni pilifere reggerebbe alla prova del tempo, a seconda della lunghezza dei capelli. Una ciocca di 12 centimetri anche 12 mesi.

Sara precisa: «Anni fa ho dichiarato che il doping dovrebbe essere punito con una squalifica a vita: la penso ancora così, ma solo al termine di un processo che evidenzi l’assunzione volontaria di una sostanza illecita, con lo scopo di migliorare le prestazioni». E poi: «Non smetterò di giocare, lo farò in quei tornei cui la mia classifica mi consentirà di partecipare. I punti Wta e i prize money sottratti? Stiamo valutando il da farsi». Davide Errani ricorda: «Dal 2009 Sara è stata sottoposta a 83 test, sia a sangue sia a urine (…)

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La verità di Errani: “Il letrozolo non è doping per le donne” (Marco Bonarrigo, Corriere della Sera)

«II letrozolo non è, ripeto non è una sostanza dopante per le donne». Sara Errani scandisce le parole al microfono con piglio da ricercatrice, citando vari lavori scientifici ai 4o cronisti convocati in un hotel di Milano. La tennista emiliana ha incassato una sentenza molto vantaggiosa per la positività a questo potente stimolatore ormonale e metabolico: due mesi di squalifica, mantenimento della vittoria azzurra contro Taipei in Federation Cup e, forse, anche dei punti Atp. A Errani non basta: vuole vincere la sfida con i giornalisti che hanno scritto «cose che vanno dal ridicolo all’assurdo, facendo totale disinformazione e gettando fango su di me e la mia famiglia».

Nella foga nega l’evidenza: il letrozolo è una sostanza dopante dal 2001 per gli uomini e dal 2005 anche per le donne, dopo che la Wada ne ha documentato l’efficacia nell’alterare le prestazioni. «Avete citato atleti positivi a molecole totalmente diverse dalla mia — spiega Errani — confondendo le carte in tavola». Il riferimento è alla velocista brasiliana Gomez (4 anni di sospensione) e al canottiere italiano Mornati (2 anni), positivi all’anastrozolo. Le due molecole però sono gemelle come conferma la Wada assimilandole nella Categoria S4.1, inibitori dell’aromatasi. II letrozolo, più recente, è considerato anche più efficace. Ma il cuore della tesi di Sara Errani è il punto 21 della sentenza del tribunale del tennis.

Quando il capo degli arbitri chiede di citare casi di positività tra le donne, il perito dell’accusa e il procuratore fanno scena muta, orientando il giudizio della corte verso l’assoluzione. Se non ci sono precedenti documentati, come si fa a parlare di doping? Avessero cercato bene nel database Wada, gli inquirenti avrebbero trovato la pesista coreana Ryo Un Hui, oro e argento mondiale nel 2013 e 2014, squalificata per 4 anni (fino al 2019) proprio per letrozolo. E l’idea è che sia stato proprio l’operato congiunto del tribunale Itf e della federazione internazionale a complicare la situazione. Fatto più unico che raro nello sport (ma non nel tennis) la notizia della positività è arrivata contemporaneamente a quella della squalifica e senza la classica sospensione cautelare.

Errani spiega di aver «chiesto all’Itf di non essere sospesa e di non divulgare la notizia, certa di poter aver ragione in giudizio». La federazione applica sistematicamente la riservatezza nei casi di doping — che l’articolo 7.9.2 del Codice Wada propone invece come opzionale — non contribuendo alla trasparenza del suo operato. Sara Errani, affiancata dal fratello-manager Davide, ha interrotto più volte la sua appassionata difesa, cedendo all’emozione e alle lacrime. «La sentenza — ha detto — spiega chiaramente che ho pagato un errore di mia madre che ha probabilmente disperso per errore una delle medicine che prende sul tavolo della cucina. Accetto pienamente la tesi. Ma trovo intollerabile chi ha scherzato pesantemente sulla malattia di mia madre (…)

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Le lacrime di Errani: “Dopata dal cibo, ferita dagli insulti” (Andrea Sorrentino, La Repubblica)

Le si incrina la voce e le si inumidiscono gli occhi solo quando parla della sua famiglia: «È un momento difficile per noi, per me e per mia madre. Lo vivo male. Abbiamo ricevuto insulti e cattiverie, letto cose sbalorditive. Soffriamo ma sono orgogliosa dei miei, ora siamo ancora più uniti. Mia madre lotta da 12 anni con un tumore, vorrei vedere voi o i vostri cari alle prese con una cosa del genere». Per il resto, Sara Errani combatte, replica e puntualizza con fierissimo cipiglio, dopo la squalifica di due mesi da parte della Itf, la federtennis internazionale, per assunzione di letrozolo, una sostanza contenuta in un farmaco antitumorale (Femara) che secondo l’atleta («È l’unica possibilità»), in una versione accettata dall’Itf, lei avrebbe ingerito perché era finita, non si sa come né perché, nell’impasto (o nel brodo) dei tortellini che sua madre, malata di tumore da anni, stava preparando in casa.

È una difesa pugnace e aggressiva, anche se per forza di cose parziale e non limpidissima, perché bisogna districarsi tra le montagne russe, anche dialettiche, di un complicato dedalo di norme, di tribunali che non sono del tutto tribunali, di molecole, di alta chimica e di più prosaici tortellini in brodo. Errani prima accusa la stampa al completo: «Ridicola e assurda la disinformazione di giornali, tv e radio. Alcuni (comunque non Repubblica, ndr) hanno sbagliato il nome della sostanza, che non è l’enestrozolo ma il letrozolo. Altri hanno detto che il letrozolo è una sostanza dopante, mentre la sentenza del tribunale dice che è doping per i maschi ma non per le donne, e non c’è evidenza scientifica che migliori le prestazioni, invece certi leoni da tastiera mi hanno sparato… Io ho la coscienza tranquilla, la notte dormo bene. Mi attengo ai fatti come li ha appurati il tribunale: sono stata trovata positiva per contaminazione da cibo ingerito involontariamente; non ci sono prove che io abbia violato volutamente le regole; non ci sono prove che il letrozolo migliori le prestazioni. Due mesi di squalifica sono pochi? Non so, io gioco a tennis. Il tribunale doveva decidere».

È però opportuno chiarire che la Wada ha inserito il letrozolo tra le sostanze proibite non perché sia doping, ma perché serve a coprire l’assunzione di sostanze dopanti; che il “tribunale” di cui parla Errani non è un vero tribunale ma un collegio giudicante formato da professionisti del settore ( un avvocato sportivo, una ex golfista, un medico) assistito da uno studio legale (nella fattispecie Bird&Bird); che fino al 28 agosto la Wada e la Nado Italia, presieduta dall’ex Comandante generale dei Carabinieri Leonardo Gallitelli, possono presentare ricorso, e attenzione, lì il tribunale sarebbe tale; che la stessa Errani può presentare ricorso per i punti nel ranking che la Wta le toglierà da febbraio a luglio, in cui lei ha continuato a giocare: «Perché sapevo di essere innocente. Fare ricorso? Valuteremo con gli avvocati (…)

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Sara si sfoga: “Infangata, non dopata” (Marco Lombardo, Il Giornale)

Il doping dei tortellini e il doping dei giornalisti. La conferenza stampa di Sara Errani diventa questo, perché per spiegare i motivi della squalifica di due mesi per aver assunto involontariamente una sostanza dopante, si ricorre ad un atto d’accusa da ribaltare contro «la vostra disinformazione». Ovvero la nostra. Premesso che su alcune cose scritte e lette in giro Sara ha ragione, dire «voi tutti» è come affermare che tutti i tennisti trovati positivi siano sicuramente dopati volontari: non è così, e ne è un esempio la Errani. La cui verità è diventata uno sfogo un po’ fuori le righe, tra comunicati letti, parole di fuoco e qualche momento di forte commozione parlando della famiglia («sono orgogliosa di quello che siamo»). Col fratello, responsabile della sua comunicazione, che chiosa: «Avete scritto delle falsità su nostra madre che lotta da 12 anni in silenzio contro la sua malattia: vergognatevi». Non facendo parte il Giornale di questa categoria, possiamo allora dire che la rabbia di Sara a tratti è parsa giustificata. Con toni però non sempre giustificabili.

LA VICENDA «Quando ad aprile mi hanno comunicato l’esito dei test, non ho pensato di fermarmi perché ero totalmente con la coscienza a posto. Abbiamo ricostruito il fatto, e quella dei tortellini contaminati dal farmaco che prende mia madre è la spiegazione più probabile. La sentenza parla chiaro».

LA CONDANNA «Sono stata squalificata per assunzione accidentale di cibo contaminato contenente una sostanza non dopante. E mi fa rabbia che per un cavillo non abbiano accolto come prova il test del capello. La sanzione si giustifica perché tecnicamente la responsabilità del giocatore si estende a manager, medici e familiari».

LE FALSITÀ «Ho letto cose inaudite. E stato citato l’anatrozolo che non c’entra nulla con il letrozolo: parlare di 15 casi al mondo, paragonarmi col caso del canoista Mornati, è divulgazione scorretta. Il letrozolo non è neppure dopante per le donne: è scritto nelle ricerche scientifiche e nella sentenza Iti. E dopante per gli uomini e usato nel body building. Prendersela con mia madre è inumano e triste. Avete giocato con la nostra vita». Qui scatta la lacrima.

L’ORGOGLIO «Non ho nulla di cui scusarmi. Chi dice che è positivo per un integratore o per un ritardo nelle comunicazioni, usa scuse eleganti per coprire le sue colpe. Io non ho colpe: dormo tranquilla. La mia storia è allenamento e integratori sani, dal 2009 a oggi ho subito 83 controlli tutti negativi. E sono contro il doping e per le squalifiche a vita. Quando il doping è volontario e consapevole. E provato».

LA SOLIDARIETÀ «L’ho ricevuta da alcuni colleghi: mi fa piacere, ora so su chi posso contare. Gli insulti sui social? La gente parla senza sapere, colpa di chi non fa informazione corretta».

RISULTATO «Le tre verità sono: la positività è per contaminazione da cibo, non ci sono prove che ho violato le norme antidoping, non ci sono prove che il letrazolo sia doping. C’è scritto nella sentenza, non lo dico io». Una sentenza che a questo punto è l’unica realtà a cui tutti si devono attenere: accertata e accettata da federazione internazionale e italiana (che ora si prendono la responsabilità in futuri casi simili). «Lo so che voi non avete certezze, ma io sì», chiude Sara. Ma in realtà una certezza c’è: per lei il difficile arriva ora (…)

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