"Caro" e papà, è coaching a rovescio

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“Caro” e papà, è coaching a rovescio

Wozniacki ignora i suggerimenti del padre-allenatore, insistendo nel dirgli di sedersi altrove perché… non riesce a vederlo. Serve davvero a questo il coaching?

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Adesso che sta prendendo corpo l’idea di estendere il coaching anche al circuito maschile, c’è una attenzione ancora maggiore attorno alle brevi interazioni microfonate tra le tenniste e i loro allenatori. Questi ultimi spesso svolgono anche il ruolo di figura paterna “on tour”; non di rado sono anzi proprio i genitori biologici delle giocatrici. E così, specialmente durante un match che non sta andando nella direzione sperata, capita di poter origliare conversazioni ben lontane dai temi della tattica e della tecnica. Un ottimo (si fa per dire) esempio ce lo hanno fornito Piotr Wozniacki e sua figlia Caroline, sul Grandstand di Cincinnati, in un siparietto in polacco prontamente sottotitolato su Twitter.

Nel quarto di finale in cui è stata strapazzata da Karolina Pliskova, Wozniacki ha chiesto e ottenuto di usufruire del coaching al cambio di campo. Lei e il padre però sembravano due rette parallele, prive di punti d’incontro: mentre lui provava a parlarle di come impostare la risposta o del tempismo dei colpi, “Caro” continuava a lamentarsi di non riuscire a vederlo durante il gioco. “Il posto dove sei seduto fa schifo. Non puoi sentire niente e lui (Sascha Bajin, lo sparring partner, ndr) se ne sta lì e mi fissa e basta”. Risultati del colloquio? Zero, a parte qualche clic in rete e il solito dubbio se il coaching serva a qualcosa, o si tratti di puro voyeurismo televisivo.

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