Roger & Rafa, l’America per due (Crivelli). Speranze azzurre. L’Italia dei nove (Marianantoni). Dimitrov e Kyrgios, è ora di sfruttare l’occasione (Bertolucci). La Zarina è tornata. Sharapova in uno Slam dopo 19 mesi (Cocchi). Il tennis, la malattia: la sfida di Allie. Batte l’amica e si trova in una favola (Palumbo)

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Roger & Rafa, l’America per due (Crivelli). Speranze azzurre. L’Italia dei nove (Marianantoni). Dimitrov e Kyrgios, è ora di sfruttare l’occasione (Bertolucci). La Zarina è tornata. Sharapova in uno Slam dopo 19 mesi (Cocchi). Il tennis, la malattia: la sfida di Allie. Batte l’amica e si trova in una favola (Palumbo)

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Roger & Rafa, l’America per due (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

C’è qualcosa che manca alla più spettacolare rivalità della storia dello sport? Ebbene sì: in 37 episodi di un romanzo epico e irripetibile, Roger Federer e Rafael Nadal non si sono mai sfidati agli Us Open. Nemmeno negli anni in cui le finali tra di loro decidevano gli Australian Open, il Roland Garros e Wimbledon. Ma siccome i due fenomeni in questa stagione hanno deciso di riportare indietro il tempo e di tornare a spartirsi i Major come all’epoca d’oro (Roger a Melbourne e Londra, Rafa a Parigi), New York diventa incredibilmente lo spartiacque forse decisivo per stabilire chi tra i due immortali, alla fine di questo magico 2017, sarà il numero uno del mondo. Con l’altra coppia dei Fab Four in balìa di problemi fisici (Murray si è ritirato proprio ieri, al suo posto il lucky loser Lacko, con lo scozzese tormentato dall’anca destra che nei prossimi due giorni deciderà se interrompere la stagione come Djokovic, che rivedremo nel 2018), senza Wawrinka campione uscente e senza Raonic, con Cilic zoppicante, tutti immaginano che sarà soltanto una questione tra loro. Il sorteggio, tuttavia, si è divertito a metterli dalla stessa parte, quindi la sfida all’Ok Corral, eventualmente, andrebbe in scena in semifinale, senza il pathos dell’incrocio che assegna il titolo. Comunque, i nemici-amici sono lì per fare la storia: nell’Era Open, nessuno ha mai vinto gli Us Open a 36 anni suonati, perciò Federer ha un altro record nel mirino. E poi, riuscire a rivincere tre Slam nello stesso anno dieci anni dopo sarebbe un’impresa senza aggettivi. Anzi uno ci sarebbe, ed è proprio il Divino a svelarlo: «Se ce la facessi, sarebbe qualcosa di totalmente folle. Spero solo di essere al cento per cento quando il momento diventerà caldo». Le situazioni che infiammano il cuore e le mani anche di Nadal, arrivato a Flushing Meadows da numero uno del mondo (dopo più di tre anni) e con 49 partite vinte, il massimo in stagione. Però, dopo il successo del 2013, il secondo in carriera a New York, il maiorchino non ha mai più superato gli ottavi, seppur sul calo abbiano inciso molto le condizioni fisiche. Sembrava che il cemento non fosse più casa di Rafa, poi gli Australian Open hanno smentito l’assioma e adesso si torna a fare i conti con lui: «New York è un torneo diverso da ogni altro, ad esempio le palle sono molto differenti. Ma se guardo alla mia intera carriera, qui ho sempre giocato molto bene. Sono convinto di aver fatto tutto al meglio per essere pronto per il più alto livello. Dimostrerò perché sono tornato numero uno del mondo». A voi, giganti.

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Speranze azzurre. L’Italia dei nove (Luca Marianantoni, La Gazzetta dello Sport)

A ottant’anni esatti dal primo italiano in gara nel singolare maschile all’Open degli Stati Uniti — Umberto Cuccioli, classe 1912, capostipite azzurro a Forest Hills 1937 — l’Italtennis uomini sbarca a Flushing Meadows con una pattuglia di 6 elementi, uno solo in meno rispetto al record assoluto stabilito 25 anni fa (era il 1992) da Pozzi, Nargiso, Camporese, Pescosolido, Caratti, Furlan e Pistolesi (il migliore fu Camporese, stoppato al terzo turno dallo spagnolo Carlos Costa). Ci sono tutti i 5 azzurri top 100 (Fognini, Lorenzi, Fabbiano, Seppi e Giannessi) più il qualificato Stefano Travaglia, numero 143 del mondo, al suo secondo Slam di fila dopo Wimbledon. Proprio lui ha pescato nell’urna il numero uno d’Italia Fognini. Tra il marchigiano e il ligure secondo derby maschile di sempre a Flushing Meadows dopo quello del 1994 tra Gianluca Pozzi e Renzo Furlan, primo turno che il qualificato Pozzi si assicurò facilmente spingendosi poi fino a un sensazionale ottavo di finale. Risultato che rappresenta comunque il secondo traguardo più alto mai centrato da un azzurro nella storia del torneo dopo la semifinale di Corrado Barazzutti nel 1977 (l’ultima edizione giocata sulla terra verde di Forest Hills), quando l’attuale capitano di Coppa Davis fu battuto in tre set da Jimmy Connors. Al quarto turno infatti si sono fermati Adriano Panatta nel 1978 (anche lui con Connors), Gianluca Pozzi nel 1994 (Karbacher), Davide Sanguinetti nel 2005 (Nalbandian) e Fabio Fognini nel 2015 (eliminato da Feliciano Lopez dopo la rimonta capolavoro su Rafael Nadal). Nel femminile invece sono soltanto 3 le azzurre in gara (Roberta Vinci, Camila Giorgi e Francesca Schiavone), record negativo degli ultimi 30 anni, come l’edizione del 1999 (Farina, Grande e Golarsa). Per trovare solo 2 iscritte bisogna risalire al 1986 con l’ottavo di Raffaella Reggi (perse in 3 set da Steffi Graf) e il primo turno di Laura Garrone. Ma il ricordo della finale tutta italiana del 2015 tra Flavia Pennetta e Roberta Vinci ci illuminerà per i prossimi cent’anni. Intanto continuano la loro serie sia la Schiavone sia Seppi: la leonessa è arrivata alla 18′ presenza consecutiva (dal 2000) e Seppi alla 14′ (dal 2004).

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Dimitrov e Kyrgios, è ora di sfruttare l’occasione (Paolo Bertolucci, La Gazzetta dello Sport)

La sensazione di questa vigilia degli Us Open è che stia per cominciare un torneo al buio, con poche certezze e molti punti interrogativi. Rafa Nadal è tornato in cima al mondo, anche se in calo di risultati dopo il decimo trionfo parigino. L’incognita sulle condizioni dei più diretti avversari e il rendimento altalenante dei giovani inseguitori lo mantengono comunque nella prima fila dell’ipotetica griglia di partenza. In Canada, e prima del torneo di Cincinnati, sono tornati ad affiorare i problemi alla schiena per Roger Federer, ma le due settimane di stop dovrebbero averlo rimesso in sesto. Senza affanni fisici, lo svizzero può aspirare al terzo Slam dell’anno e con il suo magico e elegante tennis potrebbe aggiornare il fantastico libro dei record. Alexander Zverev supera con disinvoltura gli inciampi giovanili e prosegue la scalata alle posizioni di vertice, come era facile pronosticargli fin da quando apparve sul circuito. Dopo gli ottimi risultati ottenuti nei Masters 1000 (vittorie a Roma e Montreal) dovrà mettere in mostra le sue potenzialità anche sulla lunga distanza. La recente vittoria a Cincinnati, invece, potrebbe aver definitivamente tolto dalle spalle di Grigor Diinitrov la nomea di eterno incompiuto. Giocatore di talento e dotato di personalità, ma di cuore a intermittenza, il bulgaro è chiamato a dare una chiara risposta alle sue ambizioni e a un futuro di altissimo livello. L’australiano Nick Kyrgios genera spettacolo a getto continuo, ma non ama il tennis. Non è un vincente fino in fondo, rifugge le banalità e la sua capacità di creare gioco abbaglia. E’ spettacolare e al tempo stesso incosciente. Ma deve ancora dimostrare di poter tenere a lungo un livello molto alto e soprattutto deve imparare a gestire gli incontri sulla carta più facili, quelli che non ti danno motivazioni immediate e che fin qui sono stati il principale ostacolo sulle sue ambizioni da top player. Fuori da questi cinque, sembra pressoché impossibile possa inserirsi qualcun altro, anche se il cemento concede una chance a tutti e tende a ridurre le distanze. Chi troverà le due settimane di grazia, soprattutto i grandi picchiatori al servizio, potrà sognare. Nel femminile il ventaglio delle pretendenti al titolo è praticamente illimitato: basti pensare che gli incroci dei risultati, prima della partenza del torneo, lasciano aperta la possibilità di essere numero uno del mondo a ben otto giocatrici. La Muguruza si lascia leggermente preferire per i risultati da Wimbledon in poi, ma almeno una decina di pretendenti possono avanzare pretese sul trono.

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La Zarina è tornata. Sharapova in uno Slam dopo 19 mesi (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Unstoppable, inarrestabile. Non a caso si intitola così la biografia di Maria Sharapova, la raccolta delle sue memorie che l’ha tenuta impegnata nei lunghi 15 mesi di lontananza dai campi per la squalifica al meldonium, prima del rientro ufficiale di Stoccarda a fine aprile. Inarrestabile, l’aggettivo che forse calza meglio alla siberiana arrivata a 8 anni alla corte di Bollettieri per diventare una grande tennista e che, sempre in America, a New York, si appresta a tornare in campo per l’esordio Slam del dopo-doping, il primo dopo gli Australian Open del 2016, il torneo dove venne trovata positiva alla sostanza proibita e largamente utilizzata dagli atleti russi di tutte le discipline. Una medicina che lei utilizzava da dieci anni e che solo da gennaio 2016 era entrata nella lista proibita. Negligenza, sua e del suo staff, che le è costata moltissimo umanamente e professionalmente, in immagine e classifica. Gli States che l’hanno adottata ora le concedono la wild card che il Roland Garros a maggio le aveva negato. «Abbiamo applicato la nostra politica, ovvero concedere l’invito per il main draw a una giocatrice che già ha trionfato a Flushing Meadows», spiegavano dalla Usta prevedendo polemiche da parte delle colleghe. «La giocatrice ha scontato la squalifica che le era stata comminata, pertanto non abbiamo tenuto conto di questo elemento nella scelta di concederle la wild card». Da parte sua Maria si è messa a disposizione per parlare ai giovani tennisti della Usta di quanto sia importante il programma antidoping. Insomma, uno «scambio di favori» tra la 30enne ex numero 1 al mondo e la United States Tennis Association che consentirà alla russa di giocare a New York. Non ci sarà la regina Serena Williams, che a breve partorirà il primogenito e che ha già annunciato di voler essere in campo per gli Australian Open 2018. Mancherà Vika Azarenka, anche lei ferma per motivi di famiglia, con il piccolo Leo, nato a dicembre dello scorso anno, al centro di una battaglia legale per la custodia tra lei e l’ex. Con un tennis femminile ballerino e senza una vera leader è sicuramente importante per il torneo avere una star come Maria, che a Flushing Meadows aveva trionfato nel 2006, ad appena diciannove anni. Certo, le favorite Pliskova e Muguruza saranno al via con la racchetta tra i denti, ma Maria sarà quella che catalizzerà più di tutte l’attenzione di pubblico e media, anche per il nuovo outfit nero con cristalli Swarowski, che farà rodere il fegato ai tre quarti del circuito femminile che non perde occasione di scagliarsi contro di lei con epiteti che vanno dal «falsa» a «ladra». Solo Venus Williams, di recente, si espressa favorevolmente sulla presenza di Maria a New York, andando controcorrente: «Credo che per lei questo sia un grande momento, una grande opportunità di tornare in un posto dove ha raggiunto grandi risultati». Maria, all’ennesimo ritorno dell’anno dopo aver rinunciato a Toronto e Cincinnati, non ha nulla da perdere, anche se il primo turno sarà terribile, contro la Halep numero due del tabellone. Anzi, da quanto ha raccontato in un pezzo autobiografico sul sito The Players Tribune, il momento più difficile l’ha forse passato a Roma, durante gli Internazionali quando le è stata negata la wild card per Parigi. Poche ore dopo si è procurata infortunio alla coscia sinistra che le ha impedito anche di giocare i tornei sull’erba e qualificarsi per Wimbledon: «Se questo è ciò che serve per risorgere – aveva commentato — allora sono pronta a sopportarlo. Non ci saranno parole, azioni o giochi che potranno mai impedirmi di raggiungere i miei sogni. E io ne ho tanti». L’ennesimo rientro a Stanford si è concluso anzitempo per un problema al braccio destro e adesso, ancora una volta, è tempo di ripartire da zero: «Ho sofferto, non sono invulnerabile, anche se sembra che abbia costruito un muro attorno a me, ma ho sempre pensato che rispondere agli attacchi con altri attacchi non sia la cosa giusta. Preferisco volare alto, e sapete cosa? Il tennis mi è mancato troppo, questa è l’unica cosa che conta». Inarrestabile Maria.

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Il tennis, la malattia: la sfida di Allie. Batte l’amica e si trova in una favola (Marilisa Palumbo, Corriere della Sera)

Allie Kiick ha 22 anni e alle qualificazioni femminili per le fasi finali degli Us Open è arrivata da numero 633 al mondo, con poco più di 700 dollari in banca e sulle spalle il peso di tante, troppe battaglie. Due operazioni al ginocchio destro, due al sinistro, una mononucleosi, e soprattutto, un melanoma. Era l’agosto del 2015, lei si stava preparando per andare in piscina ad allenarsi per gli Us Open di quell’anno, quando le squillò il telefono. Il dottore che le aveva analizzato un neo sospetto le comunicava del cancro: «Pensavo che il mondo mi crollasse addosso — ricorda —. Lo sentivo pronunciare quelle parole e sapevo che le probabilità che tornassi a giocare erano basse». E invece, dice oggi, «tutta questa storia mi ha insegnato molto di me stessa e del mio carattere: siamo tutti più forti di quanto pensiamo». Per 693 giorni, fino a giugno di quest’anno, Allie non ha giocato nemmeno un match da professionista e si è mantenuta insegnando tennis ai bambini a 25 dollari l’ora. Intanto studiava biologia con l’idea di diventare un giorno assistente anestesista, una scelta fatta dopo le tante operazioni con l’idea di aiutare altre persone. La mamma Mary le paga le spese di viaggio e il costo dell’affitto di un appartamento in condivisione a Orlando, in Florida. La strada del tennis professionista sembrava finita, poi, contro ogni pronostico, è tornata, e non da sola. La straordinaria sceneggiatura del destino ha voluto che a decidere il suo passaggio al torneo, dopo tre match vinti in quattro giorni, fosse la sfida con l’amica Victoria Duval. A Orlando le due vivono a poca distanza l’una dall’altra, accanto al campus della United States tennis association. Si allenano insieme tutti i giorni e anche venerdì, prima dell’inizio della partita, si sono riscaldate insieme. Insieme, soprattutto, hanno affrontato il mostro del cancro, un linfoma di Hodgkin, nel caso di Victoria, che l’ha sconfitto con la chemioterapia nel 2014. Victoria ricorda che, durante una delle sessioni di chemio, Allie ha guidato per tre ore da Fort Lauderdale, dove viveva al tempo, per andare a trovarla fino a Bradenton dove era ricoverata, con in dono un mazzo di carte e un kit per fare dei braccialetti. «È stata speciale, solo pochi giocatori l’hanno fatto, e quei momenti più leggeri mi erano veramente d’aiuto», ha raccontato Duval al New York Times: «Abbiamo un legame unico perché entrambe sappiamo da dove veniamo e quanto è stato difficile tornare in pista». Quando dopo un solo set e un game — Allie conduceva 6-3, 1-0 — Victoria ha fatto segno all’arbitro che non ce la faceva più, piegata dai dolori alla coscia e al ginocchio, lei ed Allie si sono avvicinate alla rete, si sono abbracciate e sono uscite dal campo così, insieme, chiacchierando e ridendo. Entrambe avrebbero preferito giocare un match vero, fino alla fine, ma sono felici così. Il solo passaggio alla fase finale vale a Kiick cinquantamila dollari, anche se dovesse poi perdere la prima sfida del torneo, in cui se la vedrà con la numero 25 al mondo, l’australiana Darla Gavrilova. Dopo il match il suo primo desiderio è stato saltare su un treno che dal Queens, quartiere che ospita i campi di tennis più famosi degli Stati Uniti, la portasse a Manhattan per andarsi a comprare un paio di scarpe con i tacchi a spillo rosso brillante di Valentino, costo: mille dollari. L’unica amarezza di una giornata indimenticabile, la telefonata al padre, campione di football degli imbattuti Miami Dolphins del ’72, malato di Alzheimer: «L’ho chiamato per dirgli che mi sono qualificata, ma non capisce».

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