Rublev il nuovo Safin. Anche Dimitrov torna a casa (La Gazzetta dello Sport). Lorenzi e Fabbiano, due amici per il derby che vale gli ottavi (Zanni). Lorenzi ispiratore, Fabbiano impara. Ora il sogno ottavi (Lopes Pegna)

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Rublev il nuovo Safin. Anche Dimitrov torna a casa (La Gazzetta dello Sport). Lorenzi e Fabbiano, due amici per il derby che vale gli ottavi (Zanni). Lorenzi ispiratore, Fabbiano impara. Ora il sogno ottavi (Lopes Pegna)

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Rublev il nuovo Safin. Anche Dimitrov torna a casa (La Gazzetta dello Sport)

Dopo Nick Kyrgios al primo turno e Alexander Zverev al secondo, sparisce nel secondo round un altro pezzo importante di questa edizione un po’ monca degli Us Open: il numero nove del mondo Grigor Dimitrov. Tolti i favoritissimi Nadal e Federer (ma uno dei due sicuramente non arriverà in finale), fra infortuni ed eliminazioni gli Us Open sono ora un torneo più aperto senza sette dei primi 11 del mondo. A fare la festa al bulgaro è un altro giovane interessante: il ventenne Andrey Rublev, 53 Atp, che in Russia si augurano possa diventare l’erede di Marat Safin, l’ultimo del suo paese in grado di vincere uno Slam (dodici anni fa). La delusione Dimitrov ce l’ha stampata in volto. Troppo discontinuo, forse il suo difetto più grosso. A 26 anni e con quel talento avrebbe dovuto vincere molto di più. Da junior, nel 2008, aveva conquistato Wimbledon e Us Open e lo avevano battezzato Baby Fed per l’incredibile somiglianza di gestualità con lo svizzero. Ma a un ragazzino certi paragoni ingombranti possono risultare deleteri. Il 2017 è stato un anno eccellente, ma altalenante: i trionfi a Brisbane e Sofia e le semifinali agli Australian Open (si era spinto pure alle semifinali di Wimbledon nel 2014), resistendo per cinque set a Rafa Nadal. Quindi una serie di eliminazioni precoci, ma anche gli ottavi a Wimbledon, fatto fuori da Federer. E infine, dodici giorni fa si era ricandidato a possibile favorito di questo Slam conquistando il primo Master 1000 a Cincinnati. Ma questo torneo sembra stregato. Ad agosto, Alexander Zverev aveva vinto Washington e Montreal (battendo Federer), ma martedì sera è caduto per mano di Borna Coric in quattro set: «Ero il favorito di questa fetta di tabellone, ma ho giocato male e sono fuori», ha detto nero d’umore. Mentre Kyrgios si è mostrato indisponente come al solito (e multato): «Non m’impegno abbastanza e il mio allenatore dovrebbe trovarsi un atleta più serio di me».

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Lorenzi e Fabbiano, due amici per il derby che vale gli ottavi (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)

Si è dovuto aspettare 23 anni per rivedere un derby azzurro agli US Open: da Pozzi-Furlan del 1994 a Travaglia-Fognini di mercoledì. Evidentemente è piaciuto perché contro tutti i pronostici eccone subito un altro, nel terzo turno: Paolo Lorenzi contro Thomas Fabbiano. E questa di oggi sarà una sfida tricolore anche molto speciale perché manderà un italiano agli ottavi, impresa riuscita finora solo a sei azzurri, in campo maschile: Barazzutti (che poi arrivò in semifinale) nel 1977, Panatta (1978), Pozzi (1994), Sanguinetti (2005) e Fognini (2015). Per arrivare al derby Lorenzi (40 del ranking) ha mandato a casa la testa di serie n. 19, il lussemburghese Gilles Muller mentre Thomas Fabbiano (82) ha regolato l’australiano Jordan Thompson. I due azzurri si conoscono bene, spesso si allenano assieme, sono amici e ora si troveranno di fronte per un traguardo storico. «Non guardo all’età – dice Lorenzi, 35 anni, terzo turno come l’anno scorso – ma ai risultati». Mentre Fabbiano non si accontenta del proprio record personale: mai prima d’ora infatti aveva vinto un incontro in uno Slam. «Una soddisfazione enorme – ha ribadito Thomas – Io e Paolo ci siamo allenati assieme anche qui a New York, ora ci giocheremo questa sfida». Intanto ieri, a nemmeno 24 ore dalla impresa realizzata contro Fognini, è ritornato in campo Stefano Travaglia (144). Contro il serbo Viktor Troicki (52), questa volta non è riuscito a sorprendere l’avversario: 7-6(6), 7-5, 6-0 il risultato che ha mandato il serbo al terzo turno. Per Travaglia, che ieri ha avuto dei problemi alla gamba sinistra, chiamando anche un medical time out (alla fine non poteva quasi più correre), rimane comunque una grande esperienza e soprattutto la convinzione di poter competere ad alti livelli. E dopo l’ennesima sceneggiata sono arrivate le scuse di Fabio Fognini. Durante l’incontro perso con Travaglia l’azzurro aveva pesantemente insultato il giudice di sedia donna. Poi attraverso i social ha ammesso di aver sbagliato (meno male) anche se ha ribadito che la ragione, nella maggior parte delle circostanze, era la sua. Ma niente può giustificare le offese (tra l’altro sessiste) proferite da Fognini.

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Lorenzi ispiratore, Fabbiano impara. Ora il sogno ottavi (Massimo Lopes Pegna, La Gazzetta dello Sport)

Thomas Fabbiano ha impiegato più di un’ora dalla fine della maratona con l’australiano Thompson per sapere che cosa lo aspettava al di là della rete del terzo turno: «Già, c’è Paolino. Giuro, non sapevo: non guardo mai il tabellone». Paolo Lorenzi è un amico, ma soprattutto un ispiratore: «Lo stimo come giocatore e come persona», dice Thomas. Il 35enne toscano è di sette anni più anziano di lui, nel tennis quasi una generazione. E’ lui, Paolino, che ha fatto capire a un gruppetto di nostri ragazzi che anche se non hai il talento di Federer o Nadal ci sono altri modi per affermarsi nel tennis: con il lavoro. Tornei Future, Challenger, migliaia di ore e chilometri su un aereo, la solitudine, poche anime ad applaudirti: più che cospicui premi in denaro, paghette. Ecco, Lorenzi si è costruito così: gli ci sono voluti 13 Slam per riuscire a conquistarsi una promozione al secondo round. A Fabbiano appena cinque. Ma anche un primo turno nei Major porta in dotazione punti e denaro. Ora sulla sua scia gli sta andando dietro questa Next Gen nostrana. Martedì sera Paolino è arrivato per il secondo anno di fila al terzo round eliminando uno tosto come Gilles Muller: «Ho giocato molto bene. Avevo studiato su YouTube il suo servizio, mai facile da leggere. Invece ho capito che lo stavo mettendo in difficoltà». Anche Thomas si promuove a pieni voti: «Ero esausto, nel quinto set lui è scappato sul 2-0, ma con la coda dell’occhio ho visto che faceva stretching. Allora ho gridato al mio allenatore: “Oh, quello è più stanco di me”. Ho infilato sei game consecutivi». Perché per vincere bisogna lottare, studiare e leggere dettagli che sembrano solo sfumature. Conferma: «Sì, perché non tutti forse si sarebbero accorti che Thompson aveva problemi». Ma non crede che questo successo l’abbia fatto svoltare. Chiarisce: «La svolta è quando entri nei primi cento e io ce l’ho fatta quest’anno. E poi salire a 82. Ora so che nei prossimi Slam sarò in tabellone e che posso programmare la stagione: questo fa la differenza». Nel 2016, Paolino si era fermato al terzo turno, eliminato da Andy Murray. Sorride: «Ve lo dirò dopo il match se Thomas è più facile di Andy». Fabbiano spiega: «Lui è un gran lavoratore, tatticamente uno dei migliori in assoluto. Non molla mai un punto, migliora ogni anno e aggiunge sempre cose nuove». Paolino replica: «Ci alleniamo spesso assieme, accade con frequenza quando gli italiani si trovano allo stesso torneo. E’ un gran momento per lui, gioca davvero bene». Quando sono a casa uno sta a Tirrenia, l’altro a Foligno. Dice il suo allenatore, Federico Torresi: «Lavora tanto. Aveva bisogno di dare ordine al suo gioco e adesso ha imparato. Prima faceva un po’ di casino, alti e bassi: ora ha iniziato a fare le scelte giuste.  Tommie predilige attaccare, comandare col dritto e recuperare posizione quando è lontano dal campo: più sta vicino più ti fa male. In sintesi, è velocissimo, resistente e ben coordinato». E contro Lorenzi? «Sono due giocatori che amano scambiare sul ritmo. Paolo è abituato a questo tipo di partite. Tommie dovrà pazientare e cercare di togliergli il tempo». La sua storia è cosi simile, infortuni a parte, a quella di Stefano Travaglia, anche lui un allievo di Torresi, che dopo aver eliminato Fognini è stato stoppato dal n. 52 Troicki (ma già 12 nel 2011). Fabio, intanto, si è scusato su Twitter per i pesanti insulti sessisti alla giudice di sedia Engzell, ma rischia solo una multa perché la frase non è stata ascoltata in campo. Gli italiani emergenti sono tutti dietro a Lorenzi a imitarne il lungo viaggio per atterrare un giorno con assiduità su questi palcoscenici. A lui questo ruolo di trascinatore piace: «Se posso aiutare qualche altro italiano ad arrivare fra i primi del mondo sono felice. Più siamo, meglio è», scherza. Il buonumore è l’antidoto alla pressione, ora che guadagna bene e non deve più raccattare punticini nelle periferie del mondo. Chi si prenderà il derby andrà agli ottavi, terreno inesplorato in uno Slam anche per Paolino. Fra i primi sedici del mondo. Se non sei Nadal o Federer, è come per la Fiorentina, squadra del cuore, vincere uno scudetto: «Lasciamo stare i miei Viola, mi sa che è un anno di sofferenza».

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