London Calling: David Goffin, il talento di un diversamente normale

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London Calling: David Goffin, il talento di un diversamente normale

Un tennis pulito, fatto di grande anticipo, è la chiave del successo del tennista belga. Che si rifiuta di essere relegato al ruolo di primo dei normotipi

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Le differenze, di stile, di colpi, di stazza, hanno sempre rappresentato un valore aggiunto nel tennis. A differenza di altri sport, i cui regolamenti impongono il confronto fra simili, uno su tutti la boxe. Dove il peso è il discrimine che consente o vieta un match. Con la racchetta, e una rete a evitare il contatto fisico, queste limitazioni non hanno senso di esistere. Quindi tennisti mignon alla Dudi Sela possono tranquillamente giocare contro giganti alla Karlovic, a patto di non essere allergici allo stucchevole refrain “Davide contro Golia”. Quando però di nome fai davvero David e sei mingherlino, potresti essere colto dalla tentazione di incarnare il ruolo dell’eroe dei normotipi, che osa sfidare chi è stato dotato dalla natura di un fisico superiore. A un tennista intelligente come Goffin, questo copione non poteva che andare stretto. Belga, classe 1990, figlio di un maestro di tennis cresciuto nel culto di Roger Federer più che delle celeberrime conterranee Henin e Clijsters, ha via via imposto nel circuito la sua baby face. Un volto che non sfigurerebbe nel palinsesto di Disney Channel.

Dopo una buona carriera da junior senza picchi particolari, il giovane David si segnala subito per il suo tennis pulitissimo, fatto di anticipi notevoli. Gioco di piedi e coordinazione sono il suo marchio di fabbrica. Potremmo definirlo il tennista a dissipazione zero, capace di trasferire sulla palla ogni singolo grammo del suo peso. Il 2012 sembra l’anno buono. Quarti a Chennai, ottavi al Roland Garros 2012, dove da lucky loser arriva a incontrare l’idolo Federer, che lo batte cedendo comunque un set. L’inizio di una promettente carriera. Ma la strada, per il nativo di Liegi, prevede ancora molta salita. Seguono un paio di stagioni interlocutorie, dove, secondo l’allenatore Van Cleemput, manca solo un po’ di convinzione nei suoi mezzi che gli garantisca continuità di rendimento. Il 2014 è l’anno della conferma, suggellato dal primo torneo vinto a Kitzbühel, in finale contro Dominic Thiem. La seconda metà dell’anno propone un Goffin davvero caldo. Un secondo titolo a Metz e una finale persa dal solito Federer nel suo feudo basilese gli fruttano una vertiginosa risalita della classifica ATP, fino al numero 22. E il titolo di Comeback Player of the Year.

Ora il ragazzo che non ama l’occhio di bue, non può sottrarsi alla sfida: diventare il primo belga (maschio, ça va sans dire) a varcare la soglia dei top 10. Nel frattempo, nel 2015 si “accontenta” di disputare la finale di Coppa Davis, persa contro la Gran Bretagna. L’anno successivo è caratterizzato da ottimi piazzamenti, come la doppia semifinale nel Sunshine Double, Indian Wells-Miami. E un colpaccio sfiorato a Wimbledon, dove negli ottavi dilapida un vantaggio di due set contro Raonic, poi finalista. Il premio di tanta costanza è l’approdo come alternate alle ATP Finals. Giocherà un match, in sostituzione dell’infortunato Monfils.

Siamo alla cronaca. Il 2017 registra il suo ritorno alla vittoria in un torneo a tre anni di distanza dal primo. Dopo aver masticato un po’ amaro nelle finali di Sofia e Rotterdam, che comunque gli garantiscono lo storico ingresso nei migliori 10, a inizio stagione,  è protagonista di una trionfale campagna asiatica, con la doppietta Shenzhen-Tokyo. Nel mezzo, la grande performance a Montecarlo, dove uno sciagurato errore dell’arbitro Mounier nell’incontro di semifinale contro Nadal fa riaffiorare antiche fragilità mentali. E il brutto infortunio alla caviglia subito al Roland Garros, che lo costringe a saltare i Championships. Stavolta, alle ATP Finals non sarà il sostituto di nessuno. La poltrona numero 7 l’ha conquistata grazie al suo talento e alla sua costanza di rendimento. Stavolta, in campo c’è David. E non si parli più di Golia, a meno che non abbiate un po’ di tosse.

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