Rublev e Chung, salto nel futuro. Kermode applaude Milano, "Le nuove regole nel tour" (Crivelli). Fed Cup, oggi la finale Bielorussia-Stati Uniti (Cocchi). Iron Rublev (Semeraro). Il futuro è Russia. Tutti i premi per Federer e gli ex nr.1 guardano (Azzolini)

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Rublev e Chung, salto nel futuro. Kermode applaude Milano, “Le nuove regole nel tour” (Crivelli). Fed Cup, oggi la finale Bielorussia-Stati Uniti (Cocchi). Iron Rublev (Semeraro). Il futuro è Russia. Tutti i premi per Federer e gli ex nr.1 guardano (Azzolini)

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Rublev e Chung, salto nel futuro (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Il più forte contro il più continuo. Perché possono cambiare le regole, può cominciare una rivoluzione, ma alla fine del percorso saranno i più dotati a spartirsi la gloria. Rublev contro Chung: verrà da uno di loro l’inaugurazione di una nuova Era, quella della Next Gen, e Milano avrà una finale degnissima da offrire ai 4700 attesi stasera in Fiera (esaurito), dopo il pienone anche per le semifinali. ll coreano è avanti 2-0 nei precedenti: ha battuto il russo qui nel round robin e c’era già riuscito a Winston Salem. Ma oggi ci sarà in palio il futuro (oltre a un notevole gruzzolo) e i precedenti conteranno poco di fronte all’idea e alla sensazione di aver scritto una piccola pagina di storia. RESPONSABILE Rublev si fa il segno della croce (ortodossa) a ogni vittoria, ma impiega appena 62 minuti a battezzare Coric, stremato dalla rimonta della sera prima contro Khachanov, inutile per la qualificazione, già in cassaforte. Ma è stato un bel segnale per chi pensava che i ragazzotti, confusi da musica a palla e novità assortite, prendessero il torneo come una sorta di esibizione. E invece in quattro giorni se le sono sonoramente suonate. Andrey, omonimo del più grande pittore russo di icone (secolo XVI), era il più alto in classifica della pattuglia (37 Atp) e dopo un paio di giorni di rodaggio, causa idiosincrasia al cambiamento, ha fatto valere il blasone grazie a una velocità di braccio terrificante: «Non sono contro le nuove regole in toto, sono contro il nuovo punteggio; mi sta bene tutta la tecnologia, ma il tennis nel suo svolgimento deve rimanere nella tradizione». Lui è cresciuto nella culla del tennis russo, lo Spartak Mosca che allevò Safin e Youzhny, tra gli altri, ma sta diventando grande a Barcellona, dove è approdato su consiglio dell’amicone Khachanov, che lì si allenava con Galo Blanco, fino almeno al divorzio di ieri. A lui è toccato in sorte coach Fernando Vicente, che ha impiegato appena una settimana a inquadrarlo: «In realtà non volevo allenarlo, mi ero preso un po’ di tempo per la famiglia e così gli ho concesso sette giorni». E si è illuminato: «E’ un talento enorme, ma deve crescere fisicamente. Soprattutto, almeno all’inizio, bisognava seguirlo in ogni cosa: mangiare, come riscaldarsi, non sapeva nemmeno iscriversi ai tornei. Gli abbiamo insegnato per prima cosa a essere responsabile». OBIETTIVO 36 Il soldatino Chung, invece, che per adesso preferisce gli occhiali da vista a un’operazione, solo tornando a casa ha capito qual era il suo posto nel mondo. A Milano ha vinto fin qui tutte le partite, l’ultima con Medvedev, grazie alla straordinaria capacità di coprire tutto il campo e a un rovescio bimane al veleno che porta con naturalezza tanto incrociato quanto lungolinea. Si è formato in Florida alla ex Accademia di Bollettieri, ma poi l’ha lasciata per la natia Suwon, dove gli capita di allenarsi con Hyung Taik Lee, il migliore di sempre del suo paese, numero 36 del mondo, obiettivo a portata di Hyeon, approdato fino al 51 (adesso è 54) : «Mi ispiro a Djokovic, vorrei vincere uno Slam ma soprattutto guadagnarmi il rispetto dei miei avversari. Per fortuna in Corea non c’è troppa pressione». SENATORI A Milano giocherà la prima finale in carriera e con un successo le prospettive e le attese prenderanno slancio. Perché il futuro non si può fermare, anche se da Londra le divinità Federer e Nadal hanno espresso chiaramente il concetto: non c’è nessun motivo per cambiare le regole. Però anche il Comitato degli Slam non è rimasto indifferente alla rivoluzione Next Gen e sta studiando l’introduzione dell’orologio dei 25″, del no let al servizio, del coaching alla fine di ogni set e il ritorno alle 16 teste di serie. Per rifare la storia

 

Kermode applaude Milano, “Le nuove regole nel tour” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Quando il presidente Atp Chris Kermode annunciò le novità che avrebbero accompagnato le Next Gen Finals, in tanti videro nella sua scelta un pizzico di follia senza uscita. Adesso, anche sotto la spinta dei protagonisti che le hanno testate e sulla scia del successo di pubblico, la rivoluzione è davvero partite: d’importante – dice Kermode – è che non solo i giocatori impegnati a Milano ma anche molti altri mi abbiano detto che era giusto cercare il cambiamento. Ovviamente, non mi aspetto che le regole più sensibili, come il no advantage sul 40 pari o i set a quattro, possano fare breccia da subito, e nemmeno tra cinque anni, ma tra dieci probabilmente si. E in ogni caso l’orologio dei 25 secondi tra un punito e l’altro sarà operativo molto presto*. II prossimo passo sarà il confronto con l’ambiente del tennis in generale: «Giocatori, sponsor, tifosi, coinvolgeremo tutti – spiega il presidente -. Bisogna eliminare i tempi morti, di rendere eccitante il prodotto.. Qualcuno ha avanzato l’idea che le nuove regole possano essere applicate come test ulteriore nei tornei 250, ma Kermode va oltre: «Se funzionano, le applicheremo a tutto il tour. Federer e Nadal riempiono gli stadi, ma noi dobbiamo far conoscere una nuova generazione. Il tennis è sempre stato più grande di ogni giocatore». Anche il comitato del Grande Slam pensa a qualche modifica, avrebbe rivelato una fonte al Times. Infine, Kermode promuove Milano: «Una grande organizzazione, so che il sogno è di avere un altro torneo, la città è pronta, ma intanto si goda questo evento unico che noi consideriamo una pietra miliare del futuro”.

 

Fed Cup, oggi la finale Bielorussia-Stati Uniti (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Saranno Aliaksandra Sasnovich e CoCo Vandeweghe oggi a scendere in campo alle 12.30 italiane (diretta SuperTennis) per la finale di Fed Cup 2017 tra Bielorussia e Stati Uniti che si disputa nel week-end sul veloce indoor della Chizhovka Arena di Minsk. A seguire nel secondo match di giornata Aryna Sabalenka affronta la campionessa degli Us Open di quest’anno Sloane Stephens. Domani si comincia con il match tra le numero uno dei rispettivi team e in chiusura il doppio. SENZA VIKA La Bielorussia dovrà affrontare la prima finale in Fed Cup della sua storia senza la tennista più titolata, l’ex numero uno del mondo Victoria Azarenka, che non ha ancora del tutto risolto i problemi legati alla tutela del figlio Leo dopo la separazione dal compagno. Dunque a tentare l’impresa contro il team statunitense saranno di nuovo le protagoniste che in semifinale hanno sconfitto per 3-2 la Svizzera e in precedenza per 4-1 l’Olanda. Gli Stati Uniti hanno conquistato 17 volte la Fed Cup, con una incredibile striscia consecutiva dal 1976 al 1982 ma è dal 2000 che non festeggiano la vittoria. I due Paesi hanno un solo precedente nella storia della Fed Cup, nel primo turno del World Group II del 2012, con vittoria Usa per 5-0.

 

Iron Rublev (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Il suo volto da principe crudele, fra Guerre Stellari e Dostoevskij, è già una piccola icona del tennis. Del resto, con quel nome, lo stesso del pittore e santo medioevale immortalato da un magnifico film del regista russo Tarkovsky, era quasi inevitabile. «Si, lo so chi era, ho anche il film », spiegava ridacchiando Andrey Rublev (pronuncia esatta: Rubliòf) alla vigilia delle Next Gen Finals, nelle quali è entrato da primo favorito con la miglior classifica, n. 36 Atp, degli otto qualificati. «Ma io non sono bravo con il pennello: preferisco dipingere in campo». A colori forti, peraltro, come si è visto anche ieri sera in semifinale contro un Borna Coric stanco, nervoso (con tanto di racchetta distrutta), insolitamente falloso e soprattutto impotente davanti alle accelerazioni laser del russo. Tre set a zero, uno dei match più brevi del torneo, dominato dai diritti e dai rovesci bimani folgoranti del 21enne che in molti hanno già paragonato a Evgheny Kafelnikov, detto Kalashnikov. Lui in realtà preferisce Marat Safin, l’altro nr.1 russo a cavallo del millennio, «ma – aggiunge – ammiro anche molto Nadal». Non a caso Andrey si allena in Spagna, nella stessa academy del suo amicone Khachanov, con Fernando Vicente, expo’ spagnolo che fuori dal campo se lo coccola come un attendente con il tenentino di sangue blu. Andrey è nato a Mosca, papa Andrey senior è un ex pugile che ha fatto fortuna con la ristorazione e possiede una catena di 14 locali, mamma Marina una maestra di tennis. Anche il Rublev junior si allena sul ring, e adora Mike Tyson, ma le sberle che escono da un fisico filiforme (1,88 per 65 chili) sono più merito del suo timing perfetto, dei piedi veloci e della rapidità di braccio, che dei muscoli. «Da piccolo sognavo di andarmene da Mosca – racconta – ora penso che sia la città più bella del mondo. Purtroppo è troppo fredda per allenarsi…». A Milano una finale l’aveva giocata: da under 18 al Bonfiglio, perdendola con il suo connazionale Safiullin. Al Roland Garros invece da juniores ha vinto, nel 2014, prima di passare a tempo pieno fra i pro’. Nel 2015 il debutto in Coppa Davis, quest’anno il boom: primo torneo Atp, vinto a Umago passando sopra a Fognini e Lorenzi, e soprattutto un quarto di finale agli Us Open dove ha sorpreso due Top Ten come Dimitrov e Goffin prima di sbattere contro Nadal. Al Milan e all’Inter preferisce il Real Madrid («Scusate…»), alla Scala i dischi di Celentano, può diventare il primo re del baby Masters ma le nuove regole non gli piacciono neanche un po’: «Ma come, mi alleno come un matto e poi devo giocarmi un set in un quarto d’ora? Naaa….». Non fate fretta al Piccolo Maestro, che oggi in finale se la vedrà con il soldatino sudcoreano Hyeon Chung

 

Il futuro è Russia (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Lucky Rublev, da quando ha vinto il torneo di Umag. Non il solito fortunato perdente, qualcosa di più. Sono i particolari a decretare chi ne ha più di altri, chi si ritrova per grazia ricevuta con il vento che ti spinge da dietro. E Andrey è uno capace di scalare le montagne dandosi la spinta su quei piccoli favori. Scena risaputa: lui va fuori nelle qualifiche di Umag, il torneo a poche curve dall’Italia, ma rientra nel tabellone per l’addio all’ultimo minuto del cocco di casa. E chi è il cocco bello? Borna Coric, stessa età, stessi obiettivi, salire più in alto possibile ed entrare almeno nel Master degli Allievi di fine anno. Andrey gli prende il posto, e non lo batte più nessuna. Sfila a Coric anche il posto nella classifica dei bimbi e insieme i complimenti di chi se ne intende. Ora il cocco bello è lui. E lo guarda dall’alto. Può permetterselo. Appuntamento alla Next Gen. Rublev vi giunge dopo aver criticato le nuove regole, «mi sembra già così difficile giocarsi le chance con questo tennis che non vedo davvero l’urgenza di renderlo più complicato», dice, facendo gli occhi spiritati (cosa che gli viene bene, dato che li ha già così) ma è il n. 1 perché Zverev va al Master adulto, di Londra. Non il miglior Rublev, al via delle Finals, ma lui i colpi li ha, la tigna è proverbiale, e se deve tirare tira, non si trattiene, forse nemmeno gli riesce. Coric invece batte tutti, gioca a modo, ha gambe veloci, meno colpi ma più fiato. Sembra una semifinale senza pronostico, fra i due, di difficile lettura fra chi tira e chi pedala. E invece, la semifinale non c’è. Alla sola vista di Coric, Rublev ritrova tutti i colpi e gioca con i sentimenti. Il conto finale è chiuso in tre set (4-1 4-3 e 4-1)e una racchetta fatta a pezzi. Quella di Coric. Lucky Rublev… Anche da prima di Umag, di Coric e della stessa decisione di diventare giocatore. Andrey ha la mamma maestra di tennis, Marina Marenko si chiama. È coach di giocatrici importanti e lo porta con sé, consentendogli di trasformare il campo nel suo box. Le gambe belle e tornite che gli fanno compagnia, nel suo scorrazzare felice a raccogliere palline, sono quelle di Anna Kournikova. Forse l’aria spiritata gli è venuta da li. Poi la signora Marina passa ad altre tenniste, negli ultimi tempi la Gavrilova e ancora più di recente la Khromacheva. Non ha più tempo per Lucky, e lo sbologna verso la Spagna, che già ospita l’amico del cuore di Andrey, un ragazzo saggio di cui Marina si fida, Karen Khachanov, che ha un anno in più. L’insegnamento spagnolo funziona. Rublev ne ricava un coach, Fernando Vicente (il massimo per uno che voglia giocare “come diavolo mi pare”), una certezza, che si possa colpire con la mannaia anche sulla terra rossa, e un vantaggio, quello di non aver timore di chi lo voglia tenere in campo per ore. Rublev su questo è tetragono, e condivide con Khachanov un’idea precisa: esiste un solo tennis, servizio e dritto, due colpi e via. La Russia ha portato a queste Next Gen Finals tre prodotti nati da una precisa strategia, quella della delocalizzazione. Altro modo per dirlo, la formula della delega. Finita l’era di Safin e Kafelnikov, la Grande Madre ha rinsanguato le proprie cianotiche schiere spingendo i giovani nelle migliori Accademie lontane dalla Russia. Ha delegato la Spagna, soprattutto, e ora la Francia, dopo un tentativo meno fruttuoso negli Stati Uniti. Per non dire dei russi portati via dagli stessi genitori, verso altre terre ed esperienze. Due nomi? Sasha Zverev, tanto per dire, oggi tedesca E Denis Shapovalov, russo ebreo e canadese. Ma chi è rimasto basta per disegnare un futuro a tinte forti. Daniil Medvedev è cresciuto in Francia e oggi con gli altri due, gli spagnoli Rublev e Khachanov, fa intravedere una squadra di Coppa Davis che potrebbe dominare per anni. I numeri, non sono ancora quelli dei Paesi guida, ma la Russia ristrutturata dal “sistema delle deleghe” vanta oggi 5 giocatori nei primi 100 e soprattutto, 77 tennisti in classifica Atp, di cui 67 sotto i 27 anni di età. Trentacinque gli Under 21. Uno, forse, il vincitore delle prime Next Gen Finals. Lo deciderà il match con Chung che ha battuto Medvedev 4-1 4-1 3-4 1-4 4-0.

 

Tutti i premi per Federer e gli ex nr.1 guardano (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Andy Murray vola basso. L’ultima cosa che i grand’ufficiali dell’Ordine dell’Impero Britannico possono permettersi è spararle grosse, figurarsi uno che lo è diventato “per i servizi resi al tennis”. Dice che alla ripresa della stagione ci sarà, forse Brisbane, di sicuro Melbourne, Australian Open. «Non per vincere», assicura. «Ci vorrà tempo. Però sono convinto che dopo i primi mesi tornerò competitivo». Lascia campo libero alle “sue” ATP Finals, non senza qualche rimpianto. Un anno fa si prendeva tutto il pacchetto spintonando via un Djokovic già al lumicino: prima vittoria al Master e prima volta n.1. È di nuovo papà, da pochi giorni, ancora una figlia: se passerà in bianco qualche nottata non sarà per il tennis in tivù. Ha meno remore Serena Williams, ma lei non è grand’ufficiale di niente. Serena a Melbourne va per vincere (con marito e figlia al seguito). E stata esplicita. Da quando è scesa dal podio più alto del ranking, il tennis femminile si sta azzuffando perla sua eredità. Kerber Pliskova, Muguruza, ora la Halep. Ma lei è pronta a riprenderselo e a metter fine alla gazzarra. E questo significa “rimettere le cose a posto”. Meno chiaro, in questa breve rassegna di ex n.1 in libera uscita, è come se la stia passando Novak Djokovic. Non benissimo, si sente dire. Ma sono voci… La bua al gomito è sempre lì, dicono. Si sta allenando con la sinistra, giusto per non perdere il timing con la palla. Forse sarà a Melbourne, lui non vuole mancare, ma non si sa in quali condizioni e se sarà troppo presto. Non vi sono certezze, ma nei giorni scorsi, invitato al “Late Night Show’ di James Corben, prima di misurarsi in una prova di tiro al bersaglio (sullo stesso Corben) gli hanno chiesto se intendesse farlo con la sinistra. E poi dicono che la gentilezza non faccia notizia. Tutto questo (e altro) alla vigilia dell’Atp Finals alla O2 Arena, che va in scena da domani con un n.1 vero (Nadal, alla quarta designazione di fine anno) e uno eterno (Federer). Le operazioni sono cominciate giovedì notte con la consegna dei premi per la stagione appena finita. Losvizzero ne ha ricevuti tre, e i primi due a loro modo troveranno un posto nel Libro dei Record: “giocatore più amato” dal pubblico per la 15° volta di fila, e “giocatore più sportivo per la 13a volta negli ultimi 14 anni, quest’ultimo premio attribuito dai colleghi

 

 

 

 

 

 

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