Next Gen Finals: niente Palalido nel 2018. Si torna in Fiera

Editoriali del Direttore

Next Gen Finals: niente Palalido nel 2018. Si torna in Fiera

Strappata un’indiscrezione al CEO ATP Chris Kermode: “È stato un successo, penso sia meglio rifarlo qui”

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IL GRANDE SUCCESSO DI MILANO

Non avevo previsto che Federer vincesse due Slam, non avevo previsto che Nadal ne vincesse altrettanti, pensavo che il Next Generation dell’ATP sarebbe stato un flopMi sono sbagliato su tutta la linea. Non consola il mio orgoglio di “mago” aver fatto parte, su tutti e tre gli argomenti, della maggioranza degli opinionisti…non cortigiani (dei due campioni e della FIT). Ma, diversamente dai veri maghi che soffrirebbero tantissimo per aver ciccato le loro profezie, io sono invece felicissimo di non avere indovinato quelle previsioni. Felicissimo perché con Federer e Nadal ha vinto il tennis di un’epoca, e di un’epica, felicissimo perché con la risposta che ha dato l’Italia a livello di organizzazione di un evento inventato di sana pianta, come svolgimento e come logistica, possiamo una tantum essere fieri di come il nostro Paese e l’ATP hanno saputo lavorare insieme mirando ad un obiettivo di squadra e guardare con ottimismo anche all’interesse per il tennis che una città come Milano ha saputo dimostrare nonostante i tanti dubbi e lo scetticismo  della vigilia. Si temeva una pagliacciata sul campo, con i giovani tennisti a disputare una esibizione, e una cosa raffazzonata fuori dal campo. Invece i giocatori si sono impegnati alla morte, hanno giocato con i tipici sprazzi di tutti i giovani anche un bellissimo tennis, spettacolare, e da quei padiglioni più nudi che spogli della Fiera è uscita fuori una cornice e una coreografia piacevolissima.

A CESARE… KERMODE QUEL CHE È DI CESARE. MA NON SOLO A LUI

Va dato, dunque, a Cesare quel che è di Cesare. E il primo Cesare è… Chris Kermode, con la sua struttura, perché dopo anni di sostanziale immobilismo, l’ATP ha dato prova di creatività e innovazione, certamente consapevole che se la straordinaria rivalità di Federer e Nadal ha salvato il tennis da una probabile crisi che si era cominciata ad avvertire a cavallo del 2000, quando Sampras e Agassi erano vicini al canto del cigno, nemmeno il fenomeno svizzero e il fenomeno maiorchino avrebbero potuto  essere eterni. Non solo: come se non bastasse anche i loro più irriducibili avversari, i soli capaci di impensierirli seriamente, il trentaduenne Wawrinka, i trentenni Djokovic e Murray, appaiono oggi piuttosto logori, spesso infortunati, assenti per tutti gli ultimi mesi e quasi meno motivati. Per non dire un tantino imborghesiti.

Kermode ha avuto il coraggio che non avevano avuto i suoi predecessori di cercare qualcosa di nuovo, per ravvivare l’interesse, per attrarre i giovani e i giovanissimi, e ha presentato, investendo non poco a cominciare dal montepremi quasi esagerato e che pure rappresenta una minima parte di questo pesante investimento su Milano e il Next Gen, tutta una serie di novità con la dovuta umiltà. Non ha mai detto: “Dall’anno prossimo metteremo subito in atto anche nel circuito maggiore, quello vero e proprio, tutte le sperimentazioni che proveremo a introdurre nel torneo Next Gen a Milano”. Ma Kermode ha detto sempre chiaro e tondo, e non in politichese: “Sarà un esperimento. Vogliamo capire come verrebbero accolte queste idee. Magari alcune piaceranno, di certo altre no, ma vogliamo testarle”.

UNA RIVOLUZIONE EPOCALE ACCOLTA CON SCETTICISMO

Era sembrata una rivoluzione epocale per uno sport che era rimasto quasi immutato per un secolo, prima che spuntasse il tiebreak nei primi anni ’70 – grazie al fatto che il suo inventore, Jimmy Van Alen, aveva sbraitato dopo un doppio infinito giocato nella sua Newport “una vera tortura urologica” – e poi l’Hawk-Eye a cavallo del terzo millennio. E lo scetticismo era tale, e talmente diffuso, che gli abbonamenti per la settimana del Next Gen alla Fiera di Rho erano stati 98, novantotto. I soli decisi a rischiare il flop.

IL CRESCENDO ROSSINIANO

La prima giornata, il 7 novembre è stata l’unica ad aver patito veri problemi organizzativi. Il ritardo agli ingressi per il ritardo della burocrazia nel garantire i permessi di sicurezza, con il corollario di code chilometriche. Vaglielo a spiegare a chi aveva pagato bei soldini per i biglietti, carucci assai, che in soli 11 giorni allestire una scenografia di grande impatto – la facciata rossa della Scala, il piccolo albero della vita, 350 fari, 5.000 connessioni Wi-Fi, un impianto audio da 40.000 watt, i 200 metri quadrati di schermi Led –  per un torneo del tutto nuovo in un padiglione nudo come il gigantesco n.1 della Fiera non è semplice, né facile né scontato. Così Ubitennis ha doverosamente scritto che si era trattato di un inizio in salita. E che l’immagine di quell’avvio non era stata brillante. Pura cronaca. Qualcuno se n’era risentito. I cronisti scomodi raramente vengono apprezzati. Tuttavia il botteghino dice che anche in quel primo giorno c’erano state 4.359 presenze, fra paganti delle due sessioni giornaliere e abbonati. Niente male. Saranno stati loro a far da passaparola, o più probabilmente la curiosità destata dalle nuove regole a trovare, in aggiunta al bombardamento della tv federale, spazi abbastanza inconsueti per il tennis sui vari media nazionali e locali, cartacei e internettiani, ivi compreso il piccolissimo contributo di Ubitennis che dedicò una decina di articoli al torneo fin dal giorno d’esordio.

Fatto sta che ogni giorno si è registrato un crescendo rossiniano di presenze fino a raggiungere un totale assolutamente soddisfacente di 22.453 spettatori, somma di circa 5.500 mercoledì 8 Novembre, 5.200 giovedì 9, 3.500 venerdi per la sola sessione serale e le due semifinali, 3600 per la finale (che avrebbero dovute essere due, ma quella per il terzo posto non c’è stata per il forfait di Coric e la mancata sostituzione con Shapovalov: personalmente la finale per il terzo posto la trovo cosa tristissima. Lo è perfino alle Olimpiadi, dove almeno è in palio una medaglia di bronzo cui nessuna disciplina sportiva può rinunciare). Ma al di là dei numeri delle presenze, e al di là di alcune regole che non verranno probabilmente mai messe in pratica – almeno io me lo auguro –  va detto che la gente si è interessata e divertita. Giovani, certo, ma anche gli anziani. Curiosamente, ad esempio, ho trovato quasi più anziani disposti a credere nei set a 4 games, con il tiebreak sul 3 pari che i giovani (bambini esclusi, per i quali è stata una grande festa. E sono loro gli spettatori di domani).

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